MANTECO: IL FUTURO DEL LUSSO? UNA RETE VERDE E MADE IN ITALY
Il «protocollo ecosostenibile» che unisce i loro cento fornitori (tutti a km zero) è la via scelta dai fratelli Mantellassi per anticipare i mercati. Succedeva nell’era pre Covid. Ora è il modello per la Ricostruzione. Insieme a un tessuto antivirus
«Bisogna dare un’idea di futuro. Lo Stato deve far sentire che c’è». E dicendolo, Marco e Matteo Mantellassi pensano più alla rete dei loro artigiani che alla loro azienda. La Manteco di Montemurlo, Prato, cuore made in Italy di un distretto tessile che è il più grande d’europa ma da anni parla soprattutto cinese, è forte abbastanza da poter superare anche questa. Il Covid-19, le settimane di lockdown, la nebbia che avvolge i prossimi mesi perché nessuno, nemmeno tra i grandi marchi del global fashion che in Manteco vengono a comprare i tessuti, ha idea di come si muoverà il mercato. Scatterà davvero, un revenge spending? E se, al contrario, una seconda ondata pandemica azzerasse anche le prossime collezioni?
Così va, oggi. Occorre convivere con l’incertezza. Imparare da un lato a gestirla, dall’altro a non farsene paralizzare e cercare, invece, di anticipare i futuri modelli di business.
Innovazione
I fratelli Mantellassi lo stanno facendo. Meglio: avevano incominciato prima che il mondo finisse sotto choc, affondato da un cigno nero che non pensavamo potesse uscire dai libri di fantascienza. Se Manteco è una delle aziende Champions de L’economia e Italypost, presenza fissa dall’inizio, lo è anche per questo: giocare d’anticipo sull’innovazione, a colpi di utili reinvestiti, è quel che ha consentito a loro e al padre Franco di passare in dieci anni da 20 a 91 milioni di ricavi, con un margine operativo lordo di 16,5 milioni, profitti netti per 13,5, situazione patrimoniale e finanziaria più che solida.
Con questi numeri 2019, affrontare le conseguenze del lockdown e iniziare a ricostruire non sarà una passeggiata ma neppure un sfida impossibile. Il crollo dell’attività lascerà segni pesanti sui conti 2020 però, se il rientro dall’emergenza sanitaria non subirà altri stop, il secondo semestre sarà quello della ripartenza. Nel suo piccolo Manteco potrà fare — come gli altri Champions, come i pochi grandi gruppi rimasti all’italia — da cinghia di trasmissione verso una ripresa che sarà comunque faticosa e lenta. Quello che a Montemurlo hanno organizzato prima, molto prima che il Covid-19 stravolgesse mercati, commerci, modelli di produzione e consumo già precorreva, in qualche modo,i ripensamenti resi poi obbligatori dal virus. Si è scoperto, per esempio, quanto possa far male ciò che fino a ieri era un vantaggio competitivo. Avere una catena di fornitori globale si è rivelato un boomerang micidiale. Quando è scoppiata l’epidemia a Wuhan non si è bloccata solo la Cina: si sono fermate tutte le aziende, in tutto il mondo, che dalla Cina dipendevano magari per un solo piccolo, banale, insignificante componente a bassissimo costo.
Manteco il problema della delocalizzazione (e dunque del «rientro») non ce l’ha. È un’eccellenza del made in Italy puro, e non solo tutti i suoi fornitori sono qui: sono anche «a chilometro zero».
Economia circolare
Il distretto tessile di Prato è ormai da anni la capitale italiana del China low cost, ma quanto di tricolore è rimasto è, per dirla con i Mantellassi, «un genius loci unico per storia, tradizione, competenze». Nel «mondo piatto» del secolo XXI il vantaggio competitivo sarebbe stato quello, hanno deciso i due fratelli, ancor più se avessero puntato prima degli altri «sull’economia circolare, sostenibile, tracciabile». Ne è nato, a inizio 2019, il Manteco System. È un protocollo «condiviso dai cento terzisti della nostra supply chain, tutta entro dieci miglia dalla nostra sede». E funziona. Un anno fa, l’allora Commissaria Ue all’industria,
Il gruppo tessile attivo nel distretto di Prato in dieci anni ha visto il proprio fatturato passare da 20 a 91 milioni