MI ABBONO, QUINDI COMPRO L’ECOMMERCE SI REINVENTA
La pandemia ha sconvolto un settore che in Italia si basava su turismo e moda. La crescita dell’alimentare, i modelli dei piccoli che vendono in Rete e un diverso ruolo per i social, nell’ultimo rapporto Casaleggio Associati
Un mercato diviso in due, tra chi è rimasto al palo e chi ha preso il volo. Nuovi modelli che si contendono spazi e mercati per i quali oggi c’è molta domanda, ma non altrettanta offerta. Lo spostamento da un’economia della transazione a un’economia dei flussi, dove torneranno a giocare un ruolo da protagonisti i produttori. L’affermazione progressiva del prodotto come servizio. Così appare la fotografia di quello che molti, a cominciare dalla Casaleggio Associati — che domani presenterà il suo XIV rapporto sull’ecommerce in Italia (vedi scheda) cambiando la logistica, o riducendo i prodotti in vendita. Carrefour, per esempio, ha creato una scatola con gli essentials, ovvero i prodotti essenziali, sganciati dal sito classico».
Quali nuovi scenari ha aperto l’emergenza?
«Di certo questa domanda esplosiva ha messo sul mercato i piccoli operatori. Ora le criticità, per chi ha puntato sull’ecommerce, sono triplici: gestione dell’inventario, del pagamento e logistica. Alcune piattaforme sono andate incontro ai negozianti mettendo a disposizione i loro servizi: i sistemi di pagamento offrono la possibilità di effettuare transazioni tramite cellulare, nella logistica c’è una condivisione del personale. Alcune catene di negozi hanno utilizzato gli store chiusi come magazzino da cui spedire i prodotti, perché costa meno».
Le aziende che sono partite in questi mesi non abbandoneranno più l’ecommerce?
«In certi settori arriveremo a un punto di non ritorno. Arriva un momento, non solo economico ma anche dettato dalle contingenze, in cui diventa più conveniente vendere online. In più, per molti utenti è definitivamente caduta la barriera culturale dell’acquisto online».
C’è anche una riscoperta del made in Italy?
«Sicuramente stiamo comprando sempre più prodotti italiani, se non altro per un discorso di praticità, e magari anche per un tema di patriottismo. Non va però dimenticato che gli operatori più forti sono stranieri, pensiamo ad Amazon. Le nostre aziende, a partire dai produttori, devono iniziare a investire sul contatto diretto con il cliente finale, per non finire esclusi dal mercato».
Cosa devono fare, allora, per strutturarsi in modo continuativo?
«Occorre definire la presenza online e ampliare i canali di vendita attraverso una gestione diretta o affidandosi a piattaforme di supporto. Chi non è online deve ripensare il posizionamento. Le catene del retail stanno progettando integrazioni per gestire spedizioni più rapide e meno costose, con più facilità nella consegna degli ordini locali e nella vendita dei prodotti in store, senza perdere il fatturato del punto vendita. Molti brand hanno puntato a modificare il target o i servizi o ad ampliarli».
Il ruolo dei social media nell’ecommerce si rafforzerà ancora?
«In Italia i social media sono utilizzati oggi dal 58% della popolazione, circa 35 milioni di italiani, che vi accedono per il 98% da mobile. Nel mondo oggi il 75% dei consumatori acquista un prodotto dopo averlo visto sui social: è chiaro che le aziende devono investire su Facebook e Instagram. Ma la strategia deve essere studiata con estrema attenzione».
Qual è il cambiamento radicale che il commercio dovrà affrontare nel medio-lungo periodo?
«Il gap che l’italia aveva con gli altri Paesi sull’ecommerce continuerà ad assottigliarsi. Diventerà normale comprare qualunque oggetto online. In Paesi come la Gran Bretagna stiamo già vedendo scomparire i negozi fisici in settori come l’elettronica di consumo o i libri. Si vede poi chiaramente come stiamo passando da un’economia delle transazioni a una di flussi. Vuole dire che saranno sempre più diffuse formule di abbonamento a un prodotto, piuttosto che la lista della spesa. Entreranno così sul mercato retail direttamente i produttori, su richiesta diretta del consumatore. Chiederemo agli assistenti virtuali di comprarci quel prodotto e di farlo solo a determinate condizioni: se in promozione o una volta a settimana».
Si va verso una estrema personalizzazione dell’acquisto?
«Il prodotto sarà sempre più considerato un servizio. Acquistare online diventerà un gesto legato all’entertainment: compro perché, ad esempio, ho vissuto un’esperienza su Instagram. Su questo tipo di acquisto il produttore dovrà concentrarsi perché è qui che potrà avere un margine maggiore».
«Il paradigma vincente è quello di una economia dei flussi, che rimette al centro il produttore, per dare un servizio su misura»