Guadagnare l’8% l’anno? Fai come Harvard e Yale
Nei portafogli dei college Usa ci sono molte azioni, bond, ma anche asset reali (paragonabili ai nostri Btp Italia, titoli agganciati all’inflazione) e strategie hedge oggi a portata anche dei piccoli investitori che possono pianificare a lungo termine. R
Ese provassimo a investire come Harvard e Yale? I santuari globali delle università sono anche ottimi investitori. Da copiare (nel limite del possibile) con i nuovi fondi alternativi dedicati ai piccoli investitori o con i Btp Italia, che stanno per tornare sul mercato tra un paio di settimane. In mezzo della bufera, quando i mercati vanno giù, è facile lasciarsi prendere dal panico. Liquidare gli investimenti dopo un crollo di Borsa, però, è la peggiore decisione che si possa prendere, perché equivale a cristallizzare le perdite e preclude la possibilità di cavalcare la successiva ripresa delle quotazioni.
Un’alternativa alla fuga nella liquidità — rassicurante ma, a lungo andare, costosa — è quella di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Ritrovare le coordinate di lungo termine dell’investimento, quelle tracciate dalla storia dei mercati finanziari, che insegnano come le cadute violente siano sempre seguite da rimbalzi altrettanto vigorosi. E se è vero che per trovare una via d’uscita bisogna ancorare il portafoglio a un orizzonte di ampio respiro, allora un’idea può essere quella di imitare gli investimenti di alcuni operatori un po’ speciali, orientati per definizione al lungo, anzi, lunghissimo termine: gli enti che gestiscono gli endowment, ovvero le riserve finanziarie delle grandi università americane — oggi chiuse per l’emergenza covid, le lezioni sono online — in larga parte frutto di donazioni accumulate nel tempo e continuamente reinvestite. Con risultati di tutto rispetto e, soprattutto, relativamente stabili.
Secondo lo studio annuale realizzato dall’associazione nazionale dei college e dei responsabili del business nelle università (Nacubo), infatti, il ritorno degli investimenti è stato in media dell’5,3% nel 2019, con una media a 10 anni dell’8,4%, superiore all’obiettivo tendenziale di queste istituzioni, prossimo al 7%.
Quattro pilastri
Come investono Harvard e Yale, le due istituzioni universitarie più ricche, con un patrimonio rispettivamente pari a 39 e 30 miliardi di dollari? «Volendo semplificare, i portafogli degli endowment poggiano su quattro pilastri: accanto ai mercati azionari, ci sono gli asset reali, in grado di offrire una protezione dall’inflazione. Poi, fondi e strategie a ritorno assoluto, che promettono di consegnare rendimenti positivi in qualsiasi condizione di mercato», spiega Marco Fazi, deputy cio di Azimut capital management sgr. «Infine ci sono i mercati privati, ovvero strumenti finanziari non quotati, focalizzate sul capitale di rischio (private equity), sul debito (private debt) e sulle imprese innovative ad alto potenziale di crescita (venture capital). «Replicare questo schema è possibile anche per gli investitori privati, ma con alcune avvertenze, dice Fazi. La componente azionaria, suggerisce, potrebbe essere destinata per metà all’europa e per l’altra metà a listini internazionali. Tra i real asset possono degnamente trovare spazio i Btp agganciati all’inflazione, spiega Fazi, insieme a mercato immobiliare e infrastrutture. E i mercati privati, oggi accessibili anche a investitori privati, a partire da tagli d’investimento relativamente piccoli? «Meritano di essere presi in considerazione, a certe condizioni», argomenta il deputy cio di Azimut cm, la sgr che ha lanciato alcuni strumenti di questo tipo con soglia di ingresso a 5 mila euro.
Obiettivi
Gli obiettivi devono essere chiari, spiega Fazi, come la caratteristica illiquida di questi strumenti. Significa che bisogna restare investiti per un periodo prolungato, che può durare sette o anche dieci anni, senza possibilità di uscita anticipata. «A questo si aggiunge un livello di complessità non banale, che richiede uno sforzo adeguato in termini di comunicazione, da parte del consulente. A mio avviso — precisa Andrea Nascè, direttore financial advisory di Ersel — questi strumenti sono adatti a investitori con un profilo medio alto in termini di competenze e disponibilità finanziarie. Ciò premesso, per i risparmiatori che possono permettersi un orizzonte temporale molto lungo, ha senso cercare di avvicinarsi alla costruzione di portafogli tipica delle grandi università americane, con una quota rilevante dedicata ai private market e l’accesso ai relativi consistenti premi al rischio».
Storia e presente
Storicamente, racconta Nascé, il private equity puro — frequentato dagli investitori istituzionali nella forma più efficiente dal punto di vista operativo — ha offerto ritorni medi attorno al 13% annuo, con una forbice che va dall’8% al 22% a seconda dei vintage (annate di inizio dei fondi ndr). Nel private debt ci sono delle nicchie che ancora oggi possono consegnare oltre il 10%. La dispersione dei risultati però è molto ampia in tutti i private market. Servono competenze elevate per selezionare i team di gestione e le soluzioni più performanti. «La forma pura, del resto, pone una serie di complessità tecniche e amministrative facilmente gestibili finché si tratta di grandi investitori istituzionali, meno se si allargano lo spettro dei potenziali acquirenti», avverte Nascé. «Rendere i mercati privati più accessibili impone quindi un adeguamento dell’offerta. La semplificazione non deve superare certi limiti se non si vuole snaturare lo strumento. Altrimenti il rischio è che i rendimenti attesi finiscano per diluirsi».