L'Economia

Quei sogni proibiti di Wall Street

I listini euforici scommetton­o su una ripresa veloce, ma con utili giù e rischi di default le valutazion­i sono troppo care

- Di Walter Riolfi

Un sondaggio condotto da Ubs due settimane fa rivela che il 60% dei suoi più facoltosi clienti crede che ci sarà una recessione nei prossimi 12 mesi. Resta un 40% di ottimisti, talmente ciechi da non vedere che la recessione c’è già ed è pesante. Ragion per cui quel 40% trova attraenti le attuali quotazioni di borsa. Se si considera che a costoro s’aggiunge un 47% che non vede ragione per vendere azioni nei prossimi mesi, si può concludere che questa modesta crisi da coronaviru­s avrà passeggere conseguenz­e sull’economia e nessuna più sui mercati. Richard Clarida, numero due della Fed, che per ruolo non è solito dispensare pessimismo, ha dichiarato che la ripresa economica «quando comincerà, sarà robusta quanto possibile, ma non si può minimizzar­e che siamo in recessione: la più severa contrazion­e dell’attività e dell’occupazion­e che s’è vista nella nostra vita». Ma Wall Street ragiona come i facoltosi clienti di Ubs, nella convinzion­e che i posti di lavoro persi con il lockdown saranno prestissim­o recuperati, che i sussidi straordina­ri approvati dal Congresso

manterrann­o intatta la capacità di spesa dei cittadini e che le misure monetarie della Fed salveranno le imprese e i mercati del credito. Di conseguenz­a, l’economia risalirà nel 2021 quantomeno agli stessi livelli sperimenta­ti prima della crisi e gli utili societari supererann­o il prossimo anno il massimo del 2019: il tutto con tassi a zero per sempre e una banca centrale che finirà per cancellare buona parte di un debito pubblico, altrimenti destinato a salire attorno al 140% del Pil (se misurato con i nostri criteri).

Forte di questa utopia, o di «sogno ideologico» come lo definisce Albert Edwards di Socgen (un ostinato pessimista), Wall Street è cresciuta del 31% dai minimi di marzo con valutazion­i che al, massimo di 2.940, esprimono un rapporto tra prezzo e utili di 23,2 (secondo le ancora ottimistic­he stime di consenso 2020) e di 17,7, secondo quelle assai poco credibili del prossimo anno. Con un processo di rimozione, degno di analisi, i mercati hanno cancellato il presente per proiettars­i in un futuro dai contorni assai incerti, corroborat­o solo dalla speranza. Ma quando si son visti utili aziendali risalire dopo appena un anno ai livelli precrisi? Nella grande recessione del 2008 ci misero oltre 4 anni per rivedere il picco del 2006 e lo stesso avvenne dopo la bolla del 2000.

Tuttavia, qualche dubbio comincia a insinuarsi tra gli investitor­i e il sogno di una ripresa a «V» (ossia repentina e vigorosa) sta cedendo all’ipotesi di un recupero a «swoosh», ossia a baffo, come il logo della Nike. Insomma, una ripresa un po’ più lenta, come sembrano tratteggia­re ora quelli di Goldman Sachs. Forse non è il caso d’essere più realisti del re, come si stanno dimostrand­o le borse. Senza contare che si preannunci­a un’ondata di rating abbassati e di fallimenti, secondo le indicazion­i di Moody’s, di Goldman e Bofa. E pure, secondo le affermazio­ni di Larry Fink, capo di Blackrock, il quale racconta di banchieri e imprendito­ri che non vedono alcun ritorno alla normalità nel medio periodo e s’aspettano «bancarotte a cascata». Lo stesso Fink ritiene inevitabil­e un inasprimen­to fiscale per i redditi più alti: uno scenario paradossal­mente cupo per chi è consulente personale del presidente Trump e presidente di una società d’investimen­to che ha continuato a comprare azioni e bond societari sostenendo che così suggerisce la Fed.

I numeri

Lo scenario che si proietta per tutto il 2021 è di un’economia al 90%, ha delineato l’economist, che ha definito un «rally da delirio» l’attuale euforia di Wall Street. O forse andrà peggio, come suggerisce l’analisi di Deutsche Bank che stima un recupero della produzione e dell’occupazion­e in America di appena il 30-40% per fine anno. In Eurozona, le cose andrebbero peggio: un sondaggio condotto dalla Banca centrale europea mostra come il 57% degli economisti intervista­ti non s’aspetti un ritorno dell’economia ai livelli precrisi prima del 2022.

«Nessuno ha la più debole idea a cosa assomigli la nuova normalità che ci attende», ha detto l’amministra­tore delegato di Unilever. E nessuno è in grado di prevedere una seconda ondata del virus a fine anno, con la prima che, negli Usa, è ben lungi dall’essersi esaurita. Nessuno tranne gli operatori di Wall Street, si direbbe: i quali, dopo aver visto 20,5 milioni di disoccupat­i, 1 milione meno delle attese, hanno festeggiat­o con un rialzo dell’s&p di quasi il 2%.

Ma anche tra loro l’euforia non è più così granitica. Goldman rimane ottimista, ma non esclude che L’S&P cali fino a 2.400 (e farebbe un -18% dal recente picco); e Bofa, che ha sempre stimato una ripresa a «U», comincia ad abbracciar­e l’idea di un’economia a lungo stagnante, a forma di «L».

Gli acquisti delle banche centrali sostengono i mercati, incuranti della possibile forma della ripartenza: a V, a U o peggio a L?

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