TENTAZIONE SPEZZATINO PER I NUOVI PREDATORI
Apple, Amazon, Google, Microsoft e Facebook valgono oggi più di 5 mila miliardi di dollari, grazie all’impennata di domanda tecnologica seguita al coronavirus. Resistono alla crisi perché hanno le casse piene, ma divorano realtà minori e startup. Perciò n
Tra le vittime del coronavirus non ci sono i cinque Big tech americani. Anzi. La crisi li ha resi ancor più grandi, forti e popolari. Ma questo può diventare un boomerang dopo la fine dell’emergenza, motivando una nuova ondata di richieste per spezzare il monopolio che questi colossi esercitano sulle nostre vite. Ora sono tre le società che valgono in Borsa oltre mille miliardi — un trilione — di dollari: Microsoft, Apple e Amazon. Insieme alle altre due — Alphabet (Google) e Facebook — che compongono il quintetto delle aziende più grandi al mondo, la loro capitalizzazione arriva a 5.223 miliardi, tanto quanto l’intera economia del Giappone — la terza potenza economica mondiale — o come la somma delle economie di Italia e Gran Bretagna.
L’allarme
Da quando lo scorso 13 marzo è stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale negli Stati Uniti, la patria dei Big tech e il loro primo mercato, le loro quotazioni sono risalite trascinando all’insù non solo il Nasdaq, la Borsa dei titoli tecnologici, ma anche l’indice generale S&P 500, di cui i cinque colossi coprono un quinto del valore. Un record di concentrazione.
Certo, l’enorme danno che il Covid-19 sta causando alle economie di tutto il mondo continuerà ad avere un impatto negativo anche su ricavi e profitti dei Big Tech. Ma loro hanno riserve liquide e posizioni di dominio tali da poter resistere meglio di tutti i concorrenti. Inoltre le loro tecnologie sono di fatto indispensabili sia agli individui sia alle aziende per sopravvivere nel nuovo mondo post coronavirus.
Basti pensare ai «servizi nella nuvola» di Amazon, Microsoft e Alphabet grazie ai quali le aziende possono continuare a funzionare con i dipendenti che lavorano da casa. Allo shopping online di qualsiasi genere, dall’alimentare ai vestiti all’elettronica, possibile con Amazon mentre i negozi normali sono chiusi. Al mantenere i rapporti sociali con amici e parenti attraverso i network e le app di Facebook: Messenger, Instagram e Whatsapp. O, ancora, ai servizi di streaming di video e musica offerti da Apple, Amazon Prime e Youtube (Alphabet) mentre cinema, teatri e stadi sono chiusi.
I bilanci del primo trimestre 2020 hanno confermato la tenuta. I risultati di Apple sono stati migliori delle stime degli analisti perché il calo delle vendite dell’iphone è stato compensato dal flusso di introiti generato dai 550 milioni di abbonati ai suoi servizi, l’ultimo dei quali è lo streaming di film e altri contenuti originali targati Mela. Il fatturato della «nuvola» Azure di Microsoft sta crescendo del 60% annuo, insidiando qui il primato di Amazon. Ma intanto il business dell’ecommerce di
Amazon è così florido che l’azienda di Jeff Bezos ha assunto 175 mila persone nelle ultime settimane. Mentre la pubblicità online su Google (Alphabet) e Facebook è calata da parte di alcune categorie di inserzionisti, come quelli del settore turistico, ma aumentata da parte dei marchi che vendono direttamente online ai consumatori e per alcuni prodotti come i videogame. E Facebook ha visto crescere a 3 miliardi il numero di suoi «amici» e utenti. Sembrano dimenticate le campagne come #Deletefacebook (cancella Facebook) nate dopo gli scandali per la sua cattiva gestione dei dati privati degli utenti.
La privacy
Le preoccupazioni per la tutela della privacy, in generale, sono passate in secondo piano rispetto a quelle per la salute. E così quando Apple e Google hanno annunciato una collaborazione per sviluppare un software che aiuti a rintracciare i malati di Covid-19 e avvisare chi ha avuto contatti con loro, molti — come le autorità francesi e tedesche — hanno protestato non perché il progetto non protegge abbastanza la privacy individuale, ma al contrario, perché la protegge troppo.
La crisi sta inoltre decimando le startup e spingendo alla bancarotta molti concorrenti dei Big tech che, con le casse piene di dollari, possono lanciarsi in acquisizioni a basso prezzo, aumentando ulteriormente la loro posizione dominante.
Tutti buoni motivi perché cresca fra i politici e le autorità di controllo l’ala intransigente che chiede misure antitrust. Non c’è più solo la senatrice Democratica Elizabeth Warren del Massachusetts a chiedere lo «spezzatino» dei Big tech. Suo alleato è ora il senatore Repubblicano Josh Hawley del Missouri, che chiede anche lui un maggior scrutinio sui cinque colossi. «Il mio scenario da incubo — ha detto Hawley a Politico — è uno choc economico che lascia tutte le aziende di Main Street senza connessioni a Wall Street, e ogni startup tecnologica che sta cercando di competere con i Big affamata di denaro e vulnerabile a essere acquisita in modo predatorio. Non possiamo stare a guardare e lasciare che Amazon, Facebook, Google e gli altri divorino tutti gli innovatori nella nostra economia». E Rachel Bovard, consulente senior dell’internet accountability project, un gruppo di conservatori finanziato in parte da Oracle a favore di misure antitrust: «Il virus ha smascherato quanto siano grandi e potenti queste aziende. Sta dimostrando che il controllo antitrust è giustificato o dovrebbe essere migliorato. Sarà particolarmente vero quando l’emergenza sarà superata e guarderemo al disastro delle piccole imprese». Non importa quanto i Big tech siano popolari e amati dal pubblico. «In America abbiamo una storia di sfide anche contro le aziende più popolari se violano la legge — ha detto Gene Kimmelman, consulente senior adviser di Public Knowledge, un gruppo che si batte per l’internet aperta —. Dopo il coronavirus, alcuni rivenditori online e distributori online di contenuti saranno ancora più dominanti. Dovremo affrontare questo problema».