Mercati «privati» al 20% nel mix per i risparmiatori
Imercati privati valgono quasi il 40 per cento nel portafoglio dell’università di Yale, tra private equity e venture capital. Sono attorno al 20% nel caso della Harvard management company, che gestisce le riserve finanziarie del prestigioso college americano. Qui va aggiunta una dose consistente di hedge fund, pari quasi a un terzo del paniere. «Bisogna ricordare che queste istituzioni hanno accesso ai migliori hedge fund manager a livello mondiale, spesso sotto forma di gestioni dedicate, con profili commissionali molto competitivi in ragione delle somme investite», precisa Andrea Nascè, direttore financial advisory di Ersel. Per il grande pubblico invece, a ben vedere, gli hedge fund negli ultimi cinque anni sono stati aridi di soddisfazioni: un
banale portafoglio 50% azionario e 50% obbligazionario ha fatto meglio, complice l’eccezionale stimolo monetario che ha alimentato il lungo rally di equity e reddito fisso. «Tuttavia, esiste ancora qualità anche nel mondo degli alternativi più liquidi, sia in forma hedge, sia in forma ucits (fondi armonizzati ndr). Occorre affidarsi però a chi conosce bene i gestori ed è in grado di fare una buona consulenza su questi temi specifici», ricorda Nascé. Che peso possono avere i private market all’interno di un portafoglio retail o private? «Una quota attorno al 20% non è fuori misura — dichiara Marco Fazi, deputy cio di Azimut capital management sgr —. E la quota va calata ovviamente sulle caratteristiche e le esigenze dei singoli clienti». Rispettando anche il principio di diversificazione, ad esempio, suggerisce Nascé, attraverso i classici fondi di fondi.