Alla cantina serve un fisco amico
L’impatto è stato devastante, l’industria enologica italiana sta vivendo una sorta di crash test utilizzato in edilizia o nell’automotive. Secondo le stime, le prime sette settimane dell’emergenza coronavirus hanno provocato una riduzione del 2% dei volumi di tutto il settore beverage e del 10% del valore. Ma in prospettiva le perdite saranno molto più importanti. Si tratta di un‘emergenza particolarmente grave perché il settore del vino è direttamente collegato ai consumi di ristoranti, alberghi e locali di ritrovo e il settore horeca è uno tra quelli che ha subito le maggiori conseguenze negative dal lockdown. Le aziende vinicole italiane si affidano, per circa l’80% a questo comparto e i cali finora hanno toccato 350 milioni di euro al mese. Una proiezione che porterebbe le perdite annuali in 3/4 miliardi. Ma la crisi e la chiusura delle attività hanno colpito in modo molto diverso le imprese del settore, che vanno dai produttori in proprio, alle cooperative ai grandi gruppi internazionali, dagli esportatori agli imbottigliatori. Il comparto registra una perdita che va dal 75-80% per le aziende che vivono esclusivamente sull’horeca, al 20% per chi lavora con la grande distribuzione. «Sicuramente il settore enologico è stato colpito pesantemente dalla chiusura del canale horeca che rappresenta il 30% del vino venduto e il 55% del valore — ammette Sandro Boscaini, presidente di Federvini —. Lo stop a wine bar e ristorazione è stato pesante per il mercato interno: si vende meno vino, ma si vende ancora meno il vino di qualità, è una sofferenza anche qualitativa».
Federvini propone criteri di sostenibilità per tagliare la produzione ed evitare il crollo dei prezzi. Boscaini: «Defiscalizzare gli utili da export e stop agli anticipi sulle accise»
Misure
Adesso però non è solo tempo di bilanci, ma anche di misure correttive a tutto campo: dalla produzione alla distribuzione fino all’export. «Abbiamo introdotto la proposta di vendemmia verde — continua Boscaini
— per tagliare una percentuale di produzione. L’eccesso di prodotto rimane uno dei pericoli in vista della prossima vendemmia: potrebbe essere l’occasione per introdurre parametri di sostenibilità riducendo la sovraproduzione. Questo insieme alla necessità di disciplinare la sovrapproduzione in certe aree del paese: la produzione di uva da tavola è troppo alta, intasa il mercato con vino di scarsa qualità. Attualmente l’italia produce 500 quintali per ettaro e in questa fase sarebbe bene fermarsi a 300».
Il settore «beverage» denuncia un calo di valore pari al 10%, 350 milioni al mese. Le idee per il recupero
L’estero
Migliore la situazione per il mercato estero. Molti paesi hanno sofferto e malgrado abbiano avuto un lockdown più breve che in Italia, la chiusura del canale horeca ha rallentato enormemente i consumi. «Le esportazioni appresentano una parte essenziale per il nostro settore — ricorda il presidente di Federvini —. Purtroppo la pandemia ripropone il problema italiano su sala mondiale: il blocco dei pubblici esercizi ci penalizza su tutti i mercati internazionali. La nostra proposta è quella di defiscalizzare il fatturato proveniente dall’export. Sarebbe un aiuto importante per chi sta comunque producendo uno sforzo importante per continuare a sostenere la rete di mercato internazionale. Si parla di dirottare alla distillazione i fondi Ue destinati alla promozione (marketing, fiere, incontri con i buyer). Ricordiamo che questi fondi saranno essenziali per far ripartire il mercato del prossimo anno».
Altro settore in forte sofferenza è quello degli spirits che vivono una