Investimenti, una questione di risorse umane
Nel primo trimestre dell’anno il Pil tedesco si è contratto del 2,2%, quello italiano del 4,7%. Il lockdown in Germania è partito poco più tardi, ma la differente perfomance è forse spiegata da una variabile: la dinamica degli investimenti. Fatto 100 il livello del 2005, nel 2020 la Germania evidenzia uno stock di «capitale fisso» vicino a 140, l’italia prossimo a 80.
Senza una ripresa degli investimenti, la divergenza italiana rispetto all’eurozona è destinata a mettere a rischio la sopravvivenza di moneta e mercato unico. Al contempo, l’imponente mobilitazione di risorse finanziarie annunciata dalle autorità europee autorizza a ipotizzare che il nostro Paese possa avere accesso nei prossimi anni a un pool di fondi aggiuntivi compreso tra 250 e 400 miliardi. Sta a noi utilizzarli al meglio per colmare i divari di produttività.
Lo shock pandemico ha cristallizzato la consapevolezza che la sostenibilità non è una trovata commerciale, ma la pietra angolare su cui costruire un nuovo modello di sviluppo. In particolare, acquisita la G e compresa finalmente la E, l’attenzione va ora spostata sul pivot centrale dell’acronimo Esg: la dimensione sociale (salute, scuola, solidarietà, squilibri sociali e generazionali) non può essere lasciata al volontarismo dei singoli, ma richiede un patto pubblico-privato che metta in sicurezza l’impianto della nostra costituzione. Covid-19 sarà forse la pietra miliare di questo secolo; segnerà la transizione verso un nuovo equilibrio tra globalizzazione e regionalizzazione, tra liberismo e pianificazione, tra ottimizzazione e ridondanza, tra privatizzazioni ed ancoraggi pubblici. Il dibattito sul ruolo economico dello Stato deve superare le contrapposizioni ideologiche aprioristiche: una maggiore presenza pubblica nelle economie diventerà il tratto distintivo dei futuri modelli di crescita, premiando i Paesi che sapranno rendere più efficace la cooperazione pubblico-privato.
Il governo ha recepito, con qualche ritardo, l’importanza di una decisa azione di policy. Tra le misure di sostegno alle imprese e all’economia, il principale compito strategico è assegnato a «Patrimonio Rilancio» lo strumento di politica industriale delegato a Cassa depositi e prestiti. Alcuni di noi avrebbero preferito la costituzione di un Fondo azionario strategico sovrano. Lo strumento specifico risulta meno importante rispetto alle competenze, alle leve, alle linee guida che gli verranno attribuite.
L’impianto normativo delega al ministero dell’economia la definizione delle regole attuative. Ne suggeriamo una, aurea: dare priorità assoluta agli investimenti di capitale nei settori a maggiore impatto combinato su valore aggiunto nazionale e occupazione, nel rispetto dei best standard Esfg: servizi logistici, filiera agro-alimentare, servizi medicali e di diagnostica, istruzione e formazione, infrastrutture fisiche e tecnologiche, meccanica produttiva digitale; attività che costituiscono oltre un terzo del Pil. La ricostruzione dell’italia nel secondo Dopoguerra si fondò sull’alleanza tra spirito imprenditoriale privato e scelte pubbliche di politica economica. Oggi, per rimanere saldamente nel G7, occorre mobilitare il miglior capitale umano e inaugurare un modello partecipativo Stato-mercato che, mettendo la sostenibilità al centro, tratteggi le linee del Paese che vorremo essere.