Non basta Vittorio Colao per superare la diffidenza
Al di là delle «dimenticanze», il decreto Rilancio mostra ancora una volta il rapporto a dir poco non risolto del governo, e della maggioranza, con le imprese. Le «dimenticanze» (Industria 4.0, le norme che dovrebbero agevolare la partenza delle grandi opere già finanziate…) saranno oggetto di altre misure, così ci è stato detto. Anche se, visto che si tratta di provvedimenti omnibus, è singolare che si siano posticipate misure che avevano dato un’accelerata agli investimenti delle imprese, specie in ambito tecnologico. O in quello delle infrastrutture, da sempre motore della crescita. Persino nell’emergenza sanitaria è emersa una sorta di prudenza nel coinvolgere il mondo industriale e imprenditoriale. Delle difficoltà su reagenti, tamponi, test e via dicendo si è letto già molto. Il tema però non si è esaurito. Oltre a cercare vaccini, test diagnostici, i 7,5 miliardi che l’europa ha raccolto serviranno anche a far sì che questi si possano produrre e distribuire in quantità adeguate. Gli aspetti produttivi hanno un peso di non poco conto, come dimostra la carenza di cui ancora oggi soffre il Paese. L’italia in questo (trattandosi del primo polo farmaceutico in Europa, davanti anche alla Germania) deve giocare un ruolo di primo piano. Ma senza le imprese come si pensa di poter entrare in partita? Si dovrebbero convocare tavoli per trovare risposte-paese a emergenze di questa natura. La reazione dell’italia non può essere ostaggio di diffidenze o peggio di reticenze. La felice intuizione di chiamare uno dei manager più conosciuti, ammirati e rispettati al mondo come Vittorio Colao, a sostenere e strutturare la ripartenza, non deve infrangersi sul fatto che dal mondo privato, delle imprese, dell’industria, pochissimi altri siano stati coinvolti. È in queste occasioni che si dimostra di essere governo del Paese e non di parti di esso.