«NE USCIREMO, MA LE IMPRESE DEVONO MUOVERSI IN FRETTA»
IN BALLO PER 24 MESI LA RIPARTENZA? A «W» (CON ALTRE CADUTE) LE IMPRESE DEVONO IMPARARE IN FRETTA
La questione delle catene di fornitura, la necessità di metterle in sicurezza, è una delle chiavi per rendere resiliente l’economia di un Paese
L’analisi del ceo di Boston Consulting Group sul post Covid: tocca al sistema imprenditoriale accettare la sfida di riconquistare i consumatori Sono ottimista sull’europa, banche centrali e governi hanno saputo reagire L’economia Usa eccezionalmente reattiva
Rich Lesser è dal 2013 il Chief executive officer del Boston Consulting Group, una delle maggiori e più influenti società internazionali di consulenza strategica alle imprese. È anche membro della Us Business Roundtable, l’associazione che raccoglie i Ceo delle maggiori aziende americane. Per un non lungo periodo è stato anche membro, assieme a molti top manager americani, dell’advisory group economico di Donald Trump alla casa Bianca. Ha insomma il polso della situazione economica degli Stati Uniti perché parla con i suoi massimi protagonisti. E li consiglia. Ha inoltre una visione quasi da insider nelle questioni più generali che riguardano Washington e l’amministrazione. In questa intervista, che tocca questioni globali e che Lesser ha concesso ad alcune testate europee, il Ceo dice che i problemi posti dalla pandemia sono seri e non facili da affrontare. Ma – dice – «l’economia americana è eccezionalmente resiliente».
Come legge quello che è successo con l’esplosione del coronavirus e poi con le sue conseguenze?
«Si sono palesati davanti a noi quattro elementi, assieme e improvvisamente. La pandemia che non avrebbe dovuto essere inaspettata, ma che ha preso il mondo di sorpresa. Un massiccio choc macroeconomico che ha innescato un periodo di grande volatilità. Il forte riaccendersi della questione razziale e delle ingiustizie e dell’uguaglianza, problema degli Stati Uniti ma non solo loro. La crisi climatica che ha visto abbattersi le emissioni ma per le ragioni sbagliate».
Difficile prendere decisioni e fare scelte, in questo quadro.
«Direi che abbiamo tre fasi da navigare. La prima è quella che forse sta finendo, la fase dell’appiattimento della curva dei casi di contagio. Le forme aggressive di distanziamento delle persone e le misure che sono state prese hanno appiattito la curva ma naturalmente con costi economici enormi, tra il 15 e il 20% delle attività. La seconda fase è quella della lotta tra la società che vuole riaprire e il virus, con il rischio che quest’ultimo torni. Qui si registreranno su e giù tra una comunità e l’altra e all’interno delle singole comunità, con possibili andamenti dell’economia a W, caduta-risalita-ricaduta-risalita. Una terza fase futura che sarà caratterizzata dalle cure e forse da un vaccino oggi lontano 9-12 mesi. La normalizzazione avverrà in un periodo che va dai nove ai 24 mesi. Più che un ritorno al normale preferisco però parlare di approdo a una Nuova Realtà».
Cosa si tratta di fare per arrivare a questa Nuova Realtà?
«Mettere in sicurezza le misure che tengono bassa la curva dei casi. Le imprese devono accettare la sfida posta dalla necessità di riconquistare i consumatori. Gestire il massiccio spostamento verso il digitale che si è creato nei comportamenti dei consumatori, nei modi in cui si lavora (con opportunità per le imprese), nell’intelligenza Artificiale. Rafforzare la resilienza ad esempio nel sistema sanitario, nella catena delle forniture, nei bilanci delle aziende. Poi, avere un senso dello scopo. È quello che già prima del virus noi in Bcg abbiamo chiamato Winning the Twenties: Learn fast, Vincere gli Anni Venti: imparare in fretta».
Si parla molto della distruzione delle catene di fornitura. Come la vede?
«Le imprese sono di fronte a tre necessità. Fare un bilanciamento nuovo tra inventari ed efficienza, per adattarsi al nuovo ambiente (il justin-time probabilmente non funzionerà più come prima, viste le interruzioni elle catene, ndr). Evitare i rischi legati alle riduzioni di manodopera. Capire quanto le nuove catene di approvvigionamento si estenderanno, o si accorceranno. Il reshoring (cioè il rientro di alcune produzioni dopo l’offshoring del passato, ndr) era già avviato prima della pandemia, ora avrà un’accelerazione. Nelle forniture sanitarie, ad esempio, credo che vedremo tendenze all’autosufficienza. La questione delle catene di fornitura, la necessità di metterle in sicurezza, è una delle chiavi per rendere resiliente l’economia di un Paese. Poi ci saranno gli effetti della geopolitica, i quali sono una sfida massiccia e riverbereranno sul business. Mi aspetto una certa tensione nel commercio tra Stati Uniti e Unione europea, dato il nostro presidente».
Come vede l’europa?
«Per lo più sono ottimista sull’europa. Spero che questo sia un momento distintivo, che definisce l’europa di domani. È positivo come certi Paesi europei hanno reagito alla crisi. Non era facile: ho una grande empatia per i leader del settore pubblico, in questa fase».
Aumentano i debiti pubblici ovunque, però.
«In generale, non sono favorevole ai deficit pubblici. Ma in questo caso, in questa crisi, l’alternativa sarebbe peggiore. La risposta di bilancio che è stata data dai governi e gli interventi delle banche centrali meritano in genere buoni voti, in un ambiente massicciamente incerto».
Come le pare che i Ceo americani vedano questo momento?
«L’economia americana è eccezionalmente resiliente. Il mondo del business è positivo sugli interventi della Fed e sui pacchetti bipartisan decisi dal Congresso, soprattutto per le imprese medie e piccole. Il lato macroeconomico è complessivamente positivo. Il lato negativo è la grande incertezza su come gestire la Sanità e ripartire. Ci sono ampie differenze interne agli Stati Uniti».
Nel pieno di questa crisi sanitaria ed economica, c’è stata l’uccisione di George Floyd. Come ha reagito la Corporate America?
«Ci sono state reazioni molto emotive da parte di una serie di businessmen importanti. Direi che sono quattro le parole significative che si sono imposte di fronte a questa situazione. La prima è Rabbia, che ha colto la maggior parte di noi. La seconda è Frustrazione, per quello che si può fare e non è stato fatto. La terza è Empatia, quando ascolti le storie di donne e uomini di colore, giovani e vecchi. La quarta è Risolutezza, una determinazione della business community a reagire».
Crede che i Ceo del dopo coronavirus dovranno avere qualità diverse rispetto a prima?
«A loro sarà richiesta una diversa capacità di guida e di gestione delle imprese. Direi che i Ceo dovranno avere tre caratteristiche. Dovranno puntare a un’organizzazione più fondata sull’imparare, il che richiede umiltà. Dovranno essere autentici ed empatici. Non credo che ci sarà una rivoluzione di persone ai vertici delle aziende, dopo questa crisi. Ma i Ceo dovranno avere l’abilità di tradurre gli scopi e gli obiettivi in strategia e in realtà: dimostrare di avere il diritto di esistere non solo come entità economiche».