Webuild e la lezione del ponte di Genova
Al capoluogo ligure serviva una risposta eccezionale, per far ripartire i lavori pubblici, spiega il nuovo presidente di Webuild, Iacovone, «sarebbe importante individuare una modalità più consona e nel rispetto del quadro normativo»
Il dato più allarmante lo ha evidenziato il Fondo monetario internazionale, ricordando che se, all’indomani della pandemia, il tasso di crescita dell’economia italiana dovesse procedere con un ritmo dello 0,4-0,5% annuo occorrerebbe aspettare fino al 2043 per tornare ai livelli di ricchezza prodotti nel 2009. «Un tempo che non possiamo permetterci di aspettare. Per questo dobbiamo tornare a crescere con un passo ragionevole, finora si è discusso di elaborazione di piani e di progetti ciò che serve con urgenza sono dei modelli operativi per procedere». A ribadirlo è Donato Iacovone, dal dicembre scorso presidente di Webuild (il nuovo nome di Salini-impregilo), un incarico attraverso il quale osserva con nuove lenti il settore delle grandi opere, conservando lo spirito di analisi praticato in oltre trenta anni di carriera nella consulenza.
La ricostruzione del ponte di Genova, in tempi ragionevoli e senza ostacoli di ordine burocratico amministrativo, cosa insegna?
«Un esempio di tecnologia, capacità e tempestività applicati a un evento eccezionale, che ha richiesto una risposta eccezionale. Il tema però non è come replicare questa operazione, poiché il modello è stato studiato per Genova, in uno scenario che imponeva una risposta unica. Sarebbe piuttosto importante individuare una modalità più consona e nel rispetto del quadro normativo per proseguire con tutte le altre opere ferme o in ritardo. Per fare in modo che questi investimenti, in parte già programmati e finanziati, possano contenere l’impatto violento degli effetti di questa crisi».
L’emergenza sanitaria si sta traducendo in un forte rallentamento dell’economia con effetti di lungo termine. Quali sono le misure da adottare con urgenza?
«Per fare ripartire il prodotto interno lordo servono gli investimenti.
Tutti o quasi concordano sul ritardo italiano in termini infrastrutturali, comprese la banda larga, la rete 5G e naturalmente le opere di cui si occupa Webuild. Tenendo, tra l’altro, a mente che sul fronte degli investimenti dovremmo spendere le risorse di cui disponiamo: i fondi di coesione e di sviluppo nel periodo 2014-2020 sono stati spesi in minima parte, appena un settimo del totale. La seconda leva è l’attivazione della domanda interna. C’è, insomma, un clima di sfiducia, occorre recuperare al più presto un contesto più rassicurante, altrimenti il Paese resta congelato e faticheremo a riprendere la giusta direzione. A confermarlo è anche la lenta modalità di ritorno al lavoro, come se un pezzo del Paese fosse rimasto in lockdown, legittimando l’idea che si possa tornare a lavorare con tutta calma. Una condizione molto pericolosa ai fini di un recupero del sistema economico». Gli Stati generali convocati dal governo Conte hanno rappresentato un’occasione per discutere di infrastrutture, di grandi opere e della cornice normativa per lavorare in tempi certi e con costi efficienti. Da dove si riparte? «Per contrastare una decrescita dell’attuale portata gli investimenti sono un fattore di immediata creazione di posti di lavoro e di stimolo alla ripresa. Gli Stati generali hanno permesso alla forze in campo di condividere una stessa visione per il Paese. Ora però bisogna passare dagli Stati generali a quelli particolari. Intendo dire che bisogna passare ai dettagli operativi su come si intende procedere e recuperare la capacità progettuale, se no si resta fermi all’elaborazione di tanti belissimi piani e nulla più».
A cosa si riferisce?
«Occorre dotarsi di una macchina amministrativa più efficiente, rivedere l’abuso di ufficio e concentrare, per esempio, i controlli sulle opere con verifiche di tipo ex ante, perché gli attuali meccanismi con un marcato orientamento verso interventi di controllo ex post finisce per bloccare o rallentare l’operatività dell’intero sistema. Resta, inoltre, sul tappeto la difficoltà di convivere con gli innumerevoli livelli decisionali che riguardano il processo autorizzativo di una singola opera».
L’integrazione di Webuild con Astaldi porta in dote un portafoglio ordini da 6 miliardi di euro e l’opportunità di creare massa critica. Operativamente a che punto siete?
«Il progetto è stato approvato e i due gruppi già collaborano in diversi consorzi, non si tratta quindi di un’integrazione tra società che non hanno mai condiviso alcunché. Sebbene non integrati lavoriamo già insieme, stimiamo che sarà un processo relativamente agevole e veloce, se tutto fila liscio entro l’autunno contiamo di essere a buon punto».
Webuild ha lanciato il Progetto Italia, un’operazione di consolidamento del settore. Oltre all’integrazione di Astaldi è previsto il coinvolgimento di altri gruppi. Il prossimo potrebbe essere Trevi?
«Il proposito del progetto Italia è costituire un grande player capace di competere anche su scala internazionale. Astaldi era il primo tassello. Trevi è una delle possibilità, ma come sempre serve la volontà delle parti e più che sommare fatturato bisogna individuare le sinergie per creare valore».
Per Webuild e Progetto Italia, Astaldi era il primo tassello Trevi? È una delle prossime possibilità a patto di creare valore