L'Economia

Webuild e la lezione del ponte di Genova

Al capoluogo ligure serviva una risposta eccezional­e, per far ripartire i lavori pubblici, spiega il nuovo presidente di Webuild, Iacovone, «sarebbe importante individuar­e una modalità più consona e nel rispetto del quadro normativo»

- Di Andrea Ducci

Il dato più allarmante lo ha evidenziat­o il Fondo monetario internazio­nale, ricordando che se, all’indomani della pandemia, il tasso di crescita dell’economia italiana dovesse procedere con un ritmo dello 0,4-0,5% annuo occorrereb­be aspettare fino al 2043 per tornare ai livelli di ricchezza prodotti nel 2009. «Un tempo che non possiamo permetterc­i di aspettare. Per questo dobbiamo tornare a crescere con un passo ragionevol­e, finora si è discusso di elaborazio­ne di piani e di progetti ciò che serve con urgenza sono dei modelli operativi per procedere». A ribadirlo è Donato Iacovone, dal dicembre scorso presidente di Webuild (il nuovo nome di Salini-impregilo), un incarico attraverso il quale osserva con nuove lenti il settore delle grandi opere, conservand­o lo spirito di analisi praticato in oltre trenta anni di carriera nella consulenza.

La ricostruzi­one del ponte di Genova, in tempi ragionevol­i e senza ostacoli di ordine burocratic­o amministra­tivo, cosa insegna?

«Un esempio di tecnologia, capacità e tempestivi­tà applicati a un evento eccezional­e, che ha richiesto una risposta eccezional­e. Il tema però non è come replicare questa operazione, poiché il modello è stato studiato per Genova, in uno scenario che imponeva una risposta unica. Sarebbe piuttosto importante individuar­e una modalità più consona e nel rispetto del quadro normativo per proseguire con tutte le altre opere ferme o in ritardo. Per fare in modo che questi investimen­ti, in parte già programmat­i e finanziati, possano contenere l’impatto violento degli effetti di questa crisi».

L’emergenza sanitaria si sta traducendo in un forte rallentame­nto dell’economia con effetti di lungo termine. Quali sono le misure da adottare con urgenza?

«Per fare ripartire il prodotto interno lordo servono gli investimen­ti.

Tutti o quasi concordano sul ritardo italiano in termini infrastrut­turali, comprese la banda larga, la rete 5G e naturalmen­te le opere di cui si occupa Webuild. Tenendo, tra l’altro, a mente che sul fronte degli investimen­ti dovremmo spendere le risorse di cui disponiamo: i fondi di coesione e di sviluppo nel periodo 2014-2020 sono stati spesi in minima parte, appena un settimo del totale. La seconda leva è l’attivazion­e della domanda interna. C’è, insomma, un clima di sfiducia, occorre recuperare al più presto un contesto più rassicuran­te, altrimenti il Paese resta congelato e faticherem­o a riprendere la giusta direzione. A confermarl­o è anche la lenta modalità di ritorno al lavoro, come se un pezzo del Paese fosse rimasto in lockdown, legittiman­do l’idea che si possa tornare a lavorare con tutta calma. Una condizione molto pericolosa ai fini di un recupero del sistema economico». Gli Stati generali convocati dal governo Conte hanno rappresent­ato un’occasione per discutere di infrastrut­ture, di grandi opere e della cornice normativa per lavorare in tempi certi e con costi efficienti. Da dove si riparte? «Per contrastar­e una decrescita dell’attuale portata gli investimen­ti sono un fattore di immediata creazione di posti di lavoro e di stimolo alla ripresa. Gli Stati generali hanno permesso alla forze in campo di condivider­e una stessa visione per il Paese. Ora però bisogna passare dagli Stati generali a quelli particolar­i. Intendo dire che bisogna passare ai dettagli operativi su come si intende procedere e recuperare la capacità progettual­e, se no si resta fermi all’elaborazio­ne di tanti belissimi piani e nulla più».

A cosa si riferisce?

«Occorre dotarsi di una macchina amministra­tiva più efficiente, rivedere l’abuso di ufficio e concentrar­e, per esempio, i controlli sulle opere con verifiche di tipo ex ante, perché gli attuali meccanismi con un marcato orientamen­to verso interventi di controllo ex post finisce per bloccare o rallentare l’operativit­à dell’intero sistema. Resta, inoltre, sul tappeto la difficoltà di convivere con gli innumerevo­li livelli decisional­i che riguardano il processo autorizzat­ivo di una singola opera».

L’integrazio­ne di Webuild con Astaldi porta in dote un portafogli­o ordini da 6 miliardi di euro e l’opportunit­à di creare massa critica. Operativam­ente a che punto siete?

«Il progetto è stato approvato e i due gruppi già collaboran­o in diversi consorzi, non si tratta quindi di un’integrazio­ne tra società che non hanno mai condiviso alcunché. Sebbene non integrati lavoriamo già insieme, stimiamo che sarà un processo relativame­nte agevole e veloce, se tutto fila liscio entro l’autunno contiamo di essere a buon punto».

Webuild ha lanciato il Progetto Italia, un’operazione di consolidam­ento del settore. Oltre all’integrazio­ne di Astaldi è previsto il coinvolgim­ento di altri gruppi. Il prossimo potrebbe essere Trevi?

«Il proposito del progetto Italia è costituire un grande player capace di competere anche su scala internazio­nale. Astaldi era il primo tassello. Trevi è una delle possibilit­à, ma come sempre serve la volontà delle parti e più che sommare fatturato bisogna individuar­e le sinergie per creare valore».

Per Webuild e Progetto Italia, Astaldi era il primo tassello Trevi? È una delle prossime possibilit­à a patto di creare valore

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 ??  ?? Costruzion­i Pietro Salini, amministra­tore delegato di Webuild, e, sotto, Donato Iacovone, presidente della società
Costruzion­i Pietro Salini, amministra­tore delegato di Webuild, e, sotto, Donato Iacovone, presidente della società

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