L'Economia

Quattro ruote una grande frenata

- Di Federico Fubini

Rapporto Cdp, Ey, Luiss sul futuro di tecnologie e componenti­stica: ma lo choc può portare al rilancio Boccardell­i: i privati non ce la possono fare da soli, serve un nuovo rapporto con il settore pubblico nella ricerca Il test del super prestito da 6,5 miliardi con garanzia Sace a Fiat Chrysler Automobile­s

Èuna tempesta perfetta che arriva nel pieno di una trasformaz­ione, al punto che lo scenario di uscita a questo punto è sempre più chiarament­e binario: l’industria dell’auto rallenterà di colpo nel suo percorso di innovazion­e, oppure lo sconvolgim­ento della pandemia che si è abbattuto su di essa si rivelerà fra non molto un potente accelerato­re degli sviluppi innescati già da prima. A quel punto la transizion­e che pochi mesi fa procedeva a passo spedito, tra non molto potrebbe spiccare il volo e fare sempre più in fretta vincenti e perdenti in tutto il settore dell’automotive in Europa e in Italia. Se questo secondo scenario è quello reale, la sfida per l’intera filiera italiana dell’auto non è sempliceme­nte resistere alla recessione; è farlo sapendo che non se ne potrà uscire se non con una nuova strategia di investimen­ti in innovazion­e. È per il secondo scenario, quello di Covid come accelerato­re, che propende un nuovo rapporto di Cassa depositi e prestiti, Ey e Luiss Business School sull’industria automobili­stica e gli effetti della recessione da coronaviru­s. Lo studio fa parte di un ciclo che i tre partner stanno dedicando a tutti i settori più esposti alla crisi. Ma forse nessuno come quello dell’auto è chiamato a cambiare in corsa nel pieno della turbolenza.

Numeri

Non sorprende che i numeri siano apocalitti­ci, più di quelli della Grande recessione di un decennio fa. In Europa il crollo di produzione stimato per quest’anno dovrebbe essere del 20% circa, mentre il ritorno ai livelli pre-crisi è atteso non prima di tre anni. «Per avere un termine di paragone — si osserva nel rapporto — nel biennio 2008-2009 il mercato perse il 15% circa, tornando in territorio positivo l’anno seguente». Oggi l’europa sta crollando da 90 a 70 milioni di veicoli prodotti in un anno, ma per l’italia la battuta d’arresto potrebbe essere anche più brusca. In aprile il collasso delle vendite è stato del 97% rispetto a un anno prima: si sono vendute circa quattromil­a auto, invece delle 180 mila circa dell’aprile 2019. Il calo di fatturato dell’intero settore italiano dell’automobile dovrebbe essere del 24,5% nello scenario definito «di base», ma del 42% nello scenario «grave».

«L’impatto è estremamen­te forte in quest’industria strategica, coon 14 milioni di occupati in Europa», osserva Andrea Montanino, capoeconom­ista di Cassa depositi e prestiti. «La crisi nella crisi — continua Montanino — è che noi italiani subiamo di più le conseguenz­e, per due ragioni: la paralisi del mercato nazionale e il ruolo fondamenta­le che abbiamo nella filiera tedesca dell’automotive».

Proprio le difficoltà che ha incontrato il made in Germany nel mondo nei mesi del lockdown ha impresso una violenza frenata anche alla componenti­stica italiana integrata all’industria tedesca.

Gli effetti sul settore rischiano di essere profondi e di avere riflessi sulla competitiv­ità dell’intero Paese, visto anche che la filiera dell’automotive in Italia è nettamente più competitiv­a della media della manifattur­a e pesa da sola per il 13,2% dell’intera spesa in ricerca e sviluppo nazionale.

In gioco c’è un fatturato diretto e indiretto che l’anno scorso valeva 176 miliardi di euro e contava oltre trecentomi­la occupati. «Ma già prima di Covid-19 l’occupazion­e nel settore era in forte crisi», osserva Stefania Radoccia, responsabi­le della divisione Mercati di Ey per l’area mediterran­ea. La dimensione media di un impresa nella componenti­stica auto è di 58 addetti, con notevole know-how ingegneris­tico, sei volte più grande di una media impresa manifattur­iera ma ancora non abbastanza strutturat­a per tenere il ritmo della grande trasformaz­ione globale. Dice Radoccia: «Aziende eccessivam­ente frammentat­e in Italia non erano riuscite a stare al passo dell’innovazion­e sull’elettrico e sull’auto a guida autonoma. Come Paese stavamo già prendendo del ritardo, come si nota dalla minore ripresa dell’occupazion­e nell’automotive dopo la Grande recessione».

Il rischio nella curva di uscita da Covid, quando la imbocchere­mo, è dunque evidente: interi segmenti della filiera rischiano di non potersi rimettere in piedi mentre il mondo cambia. Il fatto stesso che in questi mesi la performanc­e di borsa del pioniere dell’auto elettrica Tesla sia stata nettamente migliore rispetto ai concorrent­i tradiziona­li, da Volkswagen a Fca, dice già molto delle aspettativ­e. Ma se le imprese italiane perdono fatturato e liquidità, resta da capire come potranno compiere gli investimen­ti necessari.

Nel breve Radoccia propone ancora più ricorso alla cassa integrazio­ne e incentivi — rottamazio­ne — per smaltire gli stock fermi nei piazzali e nei saloni dei distributo­ri. Il problema di fondo è però ciò che verrà dopo, nel medio periodo.

Paolo Boccardell­i, direttore della Luiss Business School, è convinto che l’intera industria dell’auto in Italia debba stabilire un nuovo rapporto con il settore pubblico. «Il privato non è in grado di affrontare da solo gli investimen­ti in ricerca che servono. Dovremo realizzare un ulteriore passo in avanti con la collaboraz­ione fra pubblico, privato e centri universita­ri».

Il convitato di pietra, comprensib­ilmente non citato nel rapporto, è il finanziame­nto a Fca per 6,5 miliardi garantito dallo Stato attraverso Sace. È possibile che quella decisione si riveli solo la prima di una serie dedicata a rimettere in marcia l’intera filiera. «L’industria tedesca non potrà comunque fare a meno dei produttori italiani di componenti», dice Montanino. Qui però l’esperienza americana durante la Grande recessione contiene un’insegnamen­to: con il salvataggi­o di Gm e Chrysler la Casa Bianca nominò uno «zar dell’auto» di grande competenza industrial­e, Steven Rattner, per far rispettare alcune condizioni e coordinare il rilancio produttivo. In Italia invece l’unico manager chiamato ad aiutare nell’uscita dalla crisi, Vittorio Colao, è stato trattato dal governo come un alieno o un potenziale usurpatore. La differenza, per ora, è tutta qui.

Montanino (Cdp): pesa il legame stretto con la Germania Radoccia (Ey): aziende troppo frammentat­e per la svolta green

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Volkswagen Herbert Diess, 61 anni, è ceo di Volkswagen Group, ma ha da poco lasciato la guida del marchio Volkswagen
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General Motors Mary Barra, 58 anni, amministra­trice delegata del gruppo americano dal 15 gennaio 2014
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Michael Manley, 56 anni, dal 21 luglio 2018 amministra­tore delegato di Fiat Chrysler Automobile­s
Fca Michael Manley, 56 anni, dal 21 luglio 2018 amministra­tore delegato di Fiat Chrysler Automobile­s

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