Quattro ruote una grande frenata
Rapporto Cdp, Ey, Luiss sul futuro di tecnologie e componentistica: ma lo choc può portare al rilancio Boccardelli: i privati non ce la possono fare da soli, serve un nuovo rapporto con il settore pubblico nella ricerca Il test del super prestito da 6,5 miliardi con garanzia Sace a Fiat Chrysler Automobiles
Èuna tempesta perfetta che arriva nel pieno di una trasformazione, al punto che lo scenario di uscita a questo punto è sempre più chiaramente binario: l’industria dell’auto rallenterà di colpo nel suo percorso di innovazione, oppure lo sconvolgimento della pandemia che si è abbattuto su di essa si rivelerà fra non molto un potente acceleratore degli sviluppi innescati già da prima. A quel punto la transizione che pochi mesi fa procedeva a passo spedito, tra non molto potrebbe spiccare il volo e fare sempre più in fretta vincenti e perdenti in tutto il settore dell’automotive in Europa e in Italia. Se questo secondo scenario è quello reale, la sfida per l’intera filiera italiana dell’auto non è semplicemente resistere alla recessione; è farlo sapendo che non se ne potrà uscire se non con una nuova strategia di investimenti in innovazione. È per il secondo scenario, quello di Covid come acceleratore, che propende un nuovo rapporto di Cassa depositi e prestiti, Ey e Luiss Business School sull’industria automobilistica e gli effetti della recessione da coronavirus. Lo studio fa parte di un ciclo che i tre partner stanno dedicando a tutti i settori più esposti alla crisi. Ma forse nessuno come quello dell’auto è chiamato a cambiare in corsa nel pieno della turbolenza.
Numeri
Non sorprende che i numeri siano apocalittici, più di quelli della Grande recessione di un decennio fa. In Europa il crollo di produzione stimato per quest’anno dovrebbe essere del 20% circa, mentre il ritorno ai livelli pre-crisi è atteso non prima di tre anni. «Per avere un termine di paragone — si osserva nel rapporto — nel biennio 2008-2009 il mercato perse il 15% circa, tornando in territorio positivo l’anno seguente». Oggi l’europa sta crollando da 90 a 70 milioni di veicoli prodotti in un anno, ma per l’italia la battuta d’arresto potrebbe essere anche più brusca. In aprile il collasso delle vendite è stato del 97% rispetto a un anno prima: si sono vendute circa quattromila auto, invece delle 180 mila circa dell’aprile 2019. Il calo di fatturato dell’intero settore italiano dell’automobile dovrebbe essere del 24,5% nello scenario definito «di base», ma del 42% nello scenario «grave».
«L’impatto è estremamente forte in quest’industria strategica, coon 14 milioni di occupati in Europa», osserva Andrea Montanino, capoeconomista di Cassa depositi e prestiti. «La crisi nella crisi — continua Montanino — è che noi italiani subiamo di più le conseguenze, per due ragioni: la paralisi del mercato nazionale e il ruolo fondamentale che abbiamo nella filiera tedesca dell’automotive».
Proprio le difficoltà che ha incontrato il made in Germany nel mondo nei mesi del lockdown ha impresso una violenza frenata anche alla componentistica italiana integrata all’industria tedesca.
Gli effetti sul settore rischiano di essere profondi e di avere riflessi sulla competitività dell’intero Paese, visto anche che la filiera dell’automotive in Italia è nettamente più competitiva della media della manifattura e pesa da sola per il 13,2% dell’intera spesa in ricerca e sviluppo nazionale.
In gioco c’è un fatturato diretto e indiretto che l’anno scorso valeva 176 miliardi di euro e contava oltre trecentomila occupati. «Ma già prima di Covid-19 l’occupazione nel settore era in forte crisi», osserva Stefania Radoccia, responsabile della divisione Mercati di Ey per l’area mediterranea. La dimensione media di un impresa nella componentistica auto è di 58 addetti, con notevole know-how ingegneristico, sei volte più grande di una media impresa manifatturiera ma ancora non abbastanza strutturata per tenere il ritmo della grande trasformazione globale. Dice Radoccia: «Aziende eccessivamente frammentate in Italia non erano riuscite a stare al passo dell’innovazione sull’elettrico e sull’auto a guida autonoma. Come Paese stavamo già prendendo del ritardo, come si nota dalla minore ripresa dell’occupazione nell’automotive dopo la Grande recessione».
Il rischio nella curva di uscita da Covid, quando la imboccheremo, è dunque evidente: interi segmenti della filiera rischiano di non potersi rimettere in piedi mentre il mondo cambia. Il fatto stesso che in questi mesi la performance di borsa del pioniere dell’auto elettrica Tesla sia stata nettamente migliore rispetto ai concorrenti tradizionali, da Volkswagen a Fca, dice già molto delle aspettative. Ma se le imprese italiane perdono fatturato e liquidità, resta da capire come potranno compiere gli investimenti necessari.
Nel breve Radoccia propone ancora più ricorso alla cassa integrazione e incentivi — rottamazione — per smaltire gli stock fermi nei piazzali e nei saloni dei distributori. Il problema di fondo è però ciò che verrà dopo, nel medio periodo.
Paolo Boccardelli, direttore della Luiss Business School, è convinto che l’intera industria dell’auto in Italia debba stabilire un nuovo rapporto con il settore pubblico. «Il privato non è in grado di affrontare da solo gli investimenti in ricerca che servono. Dovremo realizzare un ulteriore passo in avanti con la collaborazione fra pubblico, privato e centri universitari».
Il convitato di pietra, comprensibilmente non citato nel rapporto, è il finanziamento a Fca per 6,5 miliardi garantito dallo Stato attraverso Sace. È possibile che quella decisione si riveli solo la prima di una serie dedicata a rimettere in marcia l’intera filiera. «L’industria tedesca non potrà comunque fare a meno dei produttori italiani di componenti», dice Montanino. Qui però l’esperienza americana durante la Grande recessione contiene un’insegnamento: con il salvataggio di Gm e Chrysler la Casa Bianca nominò uno «zar dell’auto» di grande competenza industriale, Steven Rattner, per far rispettare alcune condizioni e coordinare il rilancio produttivo. In Italia invece l’unico manager chiamato ad aiutare nell’uscita dalla crisi, Vittorio Colao, è stato trattato dal governo come un alieno o un potenziale usurpatore. La differenza, per ora, è tutta qui.
Montanino (Cdp): pesa il legame stretto con la Germania Radoccia (Ey): aziende troppo frammentate per la svolta green