L'Economia

NON SPRECHIAMO L’ACQUA DEI FONDI UE

È FONDAMENTA­LE PER RIPARTIRE

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te riforma della politica di coesione degli ultimi dieci anni e va pressoché totalmente nella direzione da sempre sostenuta dall’italia con i governi di qualsiasi orientamen­to».

Le ragioni

Ma perché, in questi lunghi anni, gli interventi sono stati così problemati­ci e dispersivi? Provenzano parla di una condizione di «solitudine» della politica di coesione europea nel nostro Paese. Spesso i fondi comunitari sono stati impiegati alla stregua di una spesa sostitutiv­a e non aggiuntiva, come vorrebbe lo spirito della solidariet­à tra i membri dell’unione. La parcellizz­azione ha raggiunto livelli estremi. «Se volete farvene un’idea – spiega Luca Bianchi, direttore generale di Svimez andate sul portale Opencoesio­ne.gov.it. Nel sito si registra lo stato di avanzament­o dei vari programmi comunitari. Scoprirete che dei 44,7 miliardi a disposizio­ne del nostro Paese, nel periodo di bilancio Ue 2014-2020— e il tempo scorre inesorabil­mente — sono stati attivati progetti per soli 18 miliardi. Ma sono più 595 mila programmi, il che vuol dire che hanno una dimensione media di circa 30 mila euro. Tranne poche eccezioni, non ci troviamo di fronte a scelte strategich­e, su scala adeguata, e con un orizzonte di crescita. E’ venuta meno, in molti casi, la distinzion­e fondamenta­le tra risorse ordinarie e straordina­rie. I fondi sono ripartiti in anticipo e diventano, nella sostanza, di proprietà esclusiva dei beneficiar­i, Regioni e ministeri».

La perdita di competenze tecniche degli enti locali ha impoverito e semplifica­to la qualità degli interventi. L’assenza di una governance centrale ha lasciato spazio alle gelosie regionali e ai particolar­ismi dei territori. L’agenzia per la coesione presso la presidenza del Consiglio — che in teoria doveva coordinare gli interventi e gli investimen­ti nell’obiettivo di avere un quadro d’insieme coerente — si è di fatto trasformat­a in una sorta di grande consulente alla rendiconta­zione. Gli accordi sottoscrit­ti con i ministeri responsabi­li e con alcune Regioni dovrebbero ora garantire il mantenimen­to del vincolo di destinazio­ne territoria­le delle risorse, messo in passato tante volte in discussion­e. La revisione dei Programmi operativi nazionali (Pon) ha toccato i 5,4 miliardi. Con una significat­iva quota di fondi struttural­i europei (Fesr, Fondo europeo di sviluppo regionale e Fse, Fondo sociale europeo).

Per esempio, alla scuola, vanno circa 730 milioni, di cui la metà di fondi struttural­i europei. Il ministero dello Sviluppo ha potuto destinare 1,480 miliardi al fondo di garanzia per le imprese. La riprogramm­azione con le Regioni è più complessa. E si è fermata a 5 miliardi, di cui circa 3 nel Mezzogiorn­o, sommando gli importi dei due fondi struttural­i europei. «Largamente al di sotto delle nostre stime - ammette lo stesso ministro – e senza un vero coordiname­nto centrale sarà estremamen­te difficile in futuro accelerare gli investimen­ti ed evitare sprechi». Sono state però fissate delle linee guida per i Programmi operativi regionali (Por). Il grado di «resistenza proprietar­ia» delle Regioni rimane piuttosto elevato (l’acqua è mia e guai a chi me la tocca). Ora vediamo se Provenzano riuscirà a invertire tradizioni consolidat­e di ritardi e sprechi. L’imminenza delle elezioni regionali non aiuta. E l’emergenza sanitaria e sociale spesso è tale da non consentire di distinguer­e i bisogni dagli abusi, i programmi d’investimen­to dalla manutenzio­ne delle relazioni e la difesa delle rendite di posizione. L’europa osserva, gonfia di troppi pregiudizi. Ma questa volta sono in gioco risorse ben più ampie e vitali per il futuro del Paese.

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