L’ASSICURATORE TRA CLIENTELISMO E GARANZIE DI CONSENSO
Come sarà regolato l’intervento finanziario pubblico nelle imprese? Chi sceglie come e dove operare e sulla base di quali priorità? Quanto durerà e come si agirebbe se le conseguenze non dovessero essere quelle attese? Alcune domande sul ritorno in scena dell’attore economico più ingombrante di tutti
Conoscevamo lo Stato «guardiano notturno», lo Stato gestore delle infrastrutture, lo Stato imprenditore, lo Stato regolatore. Stiamo sperimentando ora lo Stato assicuratore, che soccorre le persone e le imprese colpite dalla clausura.
Finora lo Stato assicuratore si era limitato a intervenire a favore di chi era stato colpito da calamità naturali, quindi da eventi limitati nello spazio e prodotti da terremoti o altri eventi naturali. Ora i risarcimenti riguardano danni prodotti dalla stessa azione statale, sia pure nell’interesse della salute pubblica.
Questa assunzione di una nuova responsabilità da parte dello Stato lo fa ritornare al centro della scena, dà ad esso un ruolo imponente, produrrebbe secondo alcuni addirittura un mutamento del capitalismo. Inoltre, più Stato significa anche più Europa. Assicurare risarcimenti così ingenti richiede sia allentamenti delle norme europee, sia aiuti indiretti e diretti dell’unione europea. La prima decisione che questa ha dovuto prendere è stata quella di sospendere l’efficacia delle norme che vietano gli aiuti statali, visto che gli Stati, per risarcire i danneggiati, deve erogare somme enormi (l’unione ha dovuto autorizzare 1.900 miliardi di aiuti). Poiché, poi, gli Stati da soli non avrebbero potuto impegnarsi a erogare cifre tanto alte, l’unione è intervenuta o sta intervenendo con cinque o sei strumenti vari, sia nella raccolta di risorse, sia nella loro erogazione. Non deve colpire il paradosso: tutte le decisioni statali più importanti passano ormai da Bruxelles e più potere dell’unione non vuol dire meno potere degli Stati. Anzi, questa è una situazione “win win”, cioè nella quale vi sono solo vincitori e nessun perdente.
Bonus, partecipazioni e garanzie
Gli Stati avevano altre soluzioni. Invece di assumere il ruolo di assicuratori, potevano scegliere di moltiplicare gli investimenti pubblici e di promuovere quelli privati, così rimettendo in moto l’economia, ferma a causa del temporaneo ma contemporaneo blocco di offerta e domanda. L’argomento contro questa soluzione è stata la lentezza della macchina statale, che non sarebbe riuscita ad avviare subito la costruzione di scuole, strade, verde attrezzato, autostrade, linee ferroviarie. I fatti dimostrano che l’amministrazione pubblica marcia a un settimo della velocità necessaria, ma nessuno ha accertato se, dinanzi a un compito eccezionale, essa avrebbe potuto mobilitare le sue energie e riuscire nell’impresa.
Scelta, comunque, la strada dello Stato assicuratore, diventa cruciale accertare come venga svolta questa funzione, chi siano i beneficiari, per quale durata e con quali inconvenienti.
I risarcimenti dello Stato assicuratore sono svolti con una varietà di mezzi finanziari: erogazioni a fondo perduto (anche detti bonus), partecipazioni al capitale, prestiti agevolati, concessione di garanzia statale su prestiti bancari. Un impegno finanziario così vasto ha tutti gli inconvenienti che furono lamentati mezzo secolo fa, quando gli ausili finanziari pubblici registrarono il loro massimo sviluppo (ricordo soltanto il bel libro di Donatello Serrani, «Lo Stato finanziatore», Milano, Angeli, 1971). Il pericolo maggiore è che l’intervento finanziario statale finisca per accollare alla mano pubblica la proprietà e la gestione di imprese. Si ha un bel dire che la partecipazione deve esser di minoranza e di breve durata; se anche lo fosse, che cosa impedirà che si cominci a chiedere il rispetto, anche agli enti con partecipazioni di minoranza, delle obsolete norme di contabilità statale?
Ampie platee
Il secondo ordine di problemi riguarda l’equità della distribuzione. La platea è vastissima. Nella crisi del 1929-1933, l’intervento statale si esplicò a favore di banche e industrie, oggi anche a favore di lavoratori autonomi, albergatori, artigiani e così via. Vi sono beneficiari degli interventi pubblici che non sono stati danneggiati dal blocco dell’economia; non sono state fissate priorità, preoccupandosi piuttosto di tacitare chi grida di più; c’è chi ha avuto più di quel che ha perduto, mentre vi è chi ha avuto di meno; non è sempre garantita la trasmissione del beneficio al vero danneggiato, nei casi in cui il finanziamento viene a erogato a un soggetto terzo (si pensi al «bonus vacanze»). Il terzo punto critico riguarda gli inconvenienti. La durata degli interventi: chi la stabilisce, e quando e come lo Stato potrà decidere di tirarsi fuori (lo Stato mamma, come l’ha definito Federico Fubini sul «Corriere della Sera» del 25 giugno scorso, fa comodo a molti)? Le distorsioni della concorrenza che i finanziamenti statali necessariamente comportano. I vincoli nascosti nelle erogazioni (ad esempio, la norma per cui l’impresa che ottiene prestiti garantiti dallo Stato gestisce i livelli occupazionali «attraverso accordi sindacali», dà una posizione monopolistica per legge al sindacato). Gli effetti: i finanziamenti pubblici serviranno a stimolare la domanda e a riattivare l’offerta, oppure finiranno tra i risparmi, come sembra stia accadendo? Quando i crediti si riveleranno inesigibili e sarà escussa la garanzia statale, il governo deciderà di essere parte delle procedure concorsuali, oppure convertirà i crediti in titoli di proprietà? In questo secondo caso, ricorderà che già oggi detiene partecipazioni in società che valgono un terzo della capitalizzazione totale di Piazza Affari? Con quest’ultimo passo, lo Stato assicuratore finirà per diventare Stato imprenditore.
Lo scambio
Un ultimo e molto importante «caveat» riguarda la somma di poteri che questo nuovo ruolo dello Stato metterà nelle mani della classe politica, che non seguirà certamente criteri di razionalità economica, ma sarà portato ad assecondare le sue inclinazioni verso il clientelismo in funzione della ricerca di consenso. Uno dei più acuti studiosi italiani di diritto pubblico, Giorgio Mocavini, ha recentemente pubblicato una istruttiva e acuta ricerca intitolata «Il prezzo del consenso» (Giuffrè, 2020), nella quale illustra pratica e teoria delle «compensazioni» amministrative nel governo del territorio e dell’ambiente. Chi è interessato all’«amministrazione per scambi» e al modo in cui le autorità fanno valere il loro peso quando hanno il coltello dalla parte del manico, dovrebbe leggerlo.