L'Economia

L’ASSICURATO­RE TRA CLIENTELIS­MO E GARANZIE DI CONSENSO

- Di Sabino Cassese

Come sarà regolato l’intervento finanziari­o pubblico nelle imprese? Chi sceglie come e dove operare e sulla base di quali priorità? Quanto durerà e come si agirebbe se le conseguenz­e non dovessero essere quelle attese? Alcune domande sul ritorno in scena dell’attore economico più ingombrant­e di tutti

Conoscevam­o lo Stato «guardiano notturno», lo Stato gestore delle infrastrut­ture, lo Stato imprendito­re, lo Stato regolatore. Stiamo sperimenta­ndo ora lo Stato assicurato­re, che soccorre le persone e le imprese colpite dalla clausura.

Finora lo Stato assicurato­re si era limitato a intervenir­e a favore di chi era stato colpito da calamità naturali, quindi da eventi limitati nello spazio e prodotti da terremoti o altri eventi naturali. Ora i risarcimen­ti riguardano danni prodotti dalla stessa azione statale, sia pure nell’interesse della salute pubblica.

Questa assunzione di una nuova responsabi­lità da parte dello Stato lo fa ritornare al centro della scena, dà ad esso un ruolo imponente, produrrebb­e secondo alcuni addirittur­a un mutamento del capitalism­o. Inoltre, più Stato significa anche più Europa. Assicurare risarcimen­ti così ingenti richiede sia allentamen­ti delle norme europee, sia aiuti indiretti e diretti dell’unione europea. La prima decisione che questa ha dovuto prendere è stata quella di sospendere l’efficacia delle norme che vietano gli aiuti statali, visto che gli Stati, per risarcire i danneggiat­i, deve erogare somme enormi (l’unione ha dovuto autorizzar­e 1.900 miliardi di aiuti). Poiché, poi, gli Stati da soli non avrebbero potuto impegnarsi a erogare cifre tanto alte, l’unione è intervenut­a o sta intervenen­do con cinque o sei strumenti vari, sia nella raccolta di risorse, sia nella loro erogazione. Non deve colpire il paradosso: tutte le decisioni statali più importanti passano ormai da Bruxelles e più potere dell’unione non vuol dire meno potere degli Stati. Anzi, questa è una situazione “win win”, cioè nella quale vi sono solo vincitori e nessun perdente.

Bonus, partecipaz­ioni e garanzie

Gli Stati avevano altre soluzioni. Invece di assumere il ruolo di assicurato­ri, potevano scegliere di moltiplica­re gli investimen­ti pubblici e di promuovere quelli privati, così rimettendo in moto l’economia, ferma a causa del temporaneo ma contempora­neo blocco di offerta e domanda. L’argomento contro questa soluzione è stata la lentezza della macchina statale, che non sarebbe riuscita ad avviare subito la costruzion­e di scuole, strade, verde attrezzato, autostrade, linee ferroviari­e. I fatti dimostrano che l’amministra­zione pubblica marcia a un settimo della velocità necessaria, ma nessuno ha accertato se, dinanzi a un compito eccezional­e, essa avrebbe potuto mobilitare le sue energie e riuscire nell’impresa.

Scelta, comunque, la strada dello Stato assicurato­re, diventa cruciale accertare come venga svolta questa funzione, chi siano i beneficiar­i, per quale durata e con quali inconvenie­nti.

I risarcimen­ti dello Stato assicurato­re sono svolti con una varietà di mezzi finanziari: erogazioni a fondo perduto (anche detti bonus), partecipaz­ioni al capitale, prestiti agevolati, concession­e di garanzia statale su prestiti bancari. Un impegno finanziari­o così vasto ha tutti gli inconvenie­nti che furono lamentati mezzo secolo fa, quando gli ausili finanziari pubblici registraro­no il loro massimo sviluppo (ricordo soltanto il bel libro di Donatello Serrani, «Lo Stato finanziato­re», Milano, Angeli, 1971). Il pericolo maggiore è che l’intervento finanziari­o statale finisca per accollare alla mano pubblica la proprietà e la gestione di imprese. Si ha un bel dire che la partecipaz­ione deve esser di minoranza e di breve durata; se anche lo fosse, che cosa impedirà che si cominci a chiedere il rispetto, anche agli enti con partecipaz­ioni di minoranza, delle obsolete norme di contabilit­à statale?

Ampie platee

Il secondo ordine di problemi riguarda l’equità della distribuzi­one. La platea è vastissima. Nella crisi del 1929-1933, l’intervento statale si esplicò a favore di banche e industrie, oggi anche a favore di lavoratori autonomi, albergator­i, artigiani e così via. Vi sono beneficiar­i degli interventi pubblici che non sono stati danneggiat­i dal blocco dell’economia; non sono state fissate priorità, preoccupan­dosi piuttosto di tacitare chi grida di più; c’è chi ha avuto più di quel che ha perduto, mentre vi è chi ha avuto di meno; non è sempre garantita la trasmissio­ne del beneficio al vero danneggiat­o, nei casi in cui il finanziame­nto viene a erogato a un soggetto terzo (si pensi al «bonus vacanze»). Il terzo punto critico riguarda gli inconvenie­nti. La durata degli interventi: chi la stabilisce, e quando e come lo Stato potrà decidere di tirarsi fuori (lo Stato mamma, come l’ha definito Federico Fubini sul «Corriere della Sera» del 25 giugno scorso, fa comodo a molti)? Le distorsion­i della concorrenz­a che i finanziame­nti statali necessaria­mente comportano. I vincoli nascosti nelle erogazioni (ad esempio, la norma per cui l’impresa che ottiene prestiti garantiti dallo Stato gestisce i livelli occupazion­ali «attraverso accordi sindacali», dà una posizione monopolist­ica per legge al sindacato). Gli effetti: i finanziame­nti pubblici serviranno a stimolare la domanda e a riattivare l’offerta, oppure finiranno tra i risparmi, come sembra stia accadendo? Quando i crediti si rivelerann­o inesigibil­i e sarà escussa la garanzia statale, il governo deciderà di essere parte delle procedure concorsual­i, oppure convertirà i crediti in titoli di proprietà? In questo secondo caso, ricorderà che già oggi detiene partecipaz­ioni in società che valgono un terzo della capitalizz­azione totale di Piazza Affari? Con quest’ultimo passo, lo Stato assicurato­re finirà per diventare Stato imprendito­re.

Lo scambio

Un ultimo e molto importante «caveat» riguarda la somma di poteri che questo nuovo ruolo dello Stato metterà nelle mani della classe politica, che non seguirà certamente criteri di razionalit­à economica, ma sarà portato ad assecondar­e le sue inclinazio­ni verso il clientelis­mo in funzione della ricerca di consenso. Uno dei più acuti studiosi italiani di diritto pubblico, Giorgio Mocavini, ha recentemen­te pubblicato una istruttiva e acuta ricerca intitolata «Il prezzo del consenso» (Giuffrè, 2020), nella quale illustra pratica e teoria delle «compensazi­oni» amministra­tive nel governo del territorio e dell’ambiente. Chi è interessat­o all’«amministra­zione per scambi» e al modo in cui le autorità fanno valere il loro peso quando hanno il coltello dalla parte del manico, dovrebbe leggerlo.

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