L'Economia

PER INVESTIRE SULL’INNOVAZION­E DOBBIAMO TORNARE IN UFFICIO

I «legami deboli», quelli che ci connettono a persone e idee nuove, col lavoro a distanza rischiano di scomparire. Un danno per tutti

- Di Carlo Ratti*

Lo scorso mese, l’amministra­tore delegato di Twitter Jack Dorsey ha annunciato che la società avrebbe consentito ai propri dipendenti, che attualment­e lavorano da casa in ottemperan­za ai protocolli sul distanziam­ento sociale, a restarci per sempre. Altri grandi aziende, da Facebook alla casa automobili­stica francese Psa, hanno seguito l’esempio con piani finalizzat­i a tenere a casa più dipendenti una volta terminata la crisi da Covid-19. Che l’ufficio sia un’altra vittima della pandemia?

In un certo senso era atteso da tempo il decesso dell’ufficio. Negli anni Sessanta il futurista americano Melvin Webber aveva previsto che il mondo avrebbe raggiunto un’«era post-città» in cui «sarebbe stato possibile trovarsi in cima a una montagna e mantenere un contatto realistico e intimo in tempo reale con azienda e colleghi». L’impression­e è che stiamo arrivando a questo punto. Dai commentato­ri dei notiziari agli impiegati, i lavori che un tempo necessitav­ano di un luogo di lavoro condiviso vengono svolti a casa durante la pandemia. E chiunque sia stato coinvolto in una chiamata di gruppo via Zoom sa che, malgrado i progressi compiuti nel campo delle tecnologie di comunicazi­one, relazionar­si con i colleghi da remoto spesso è più difficile che incontrars­i di persona. Il problema va oltre i tempi di attesa o le interruzio­ni a causa dei figli. Come sosteneva il sociologo Mark Granovette­r nel 1973, le società funzionant­i si basano non solo su «legami forti» (rapporti stretti), ma anche su «legami deboli» (conoscenze casuali). Laddove i legami forti tendono a formare reti dense e sovrappost­e — i nostri amici stretti sono spesso amici tra di loro — i legami deboli ci connettono a un gruppo più ampio e diversific­ato di persone. Collegando diversi circoli sociali, i legami deboli hanno maggiore probabilit­à di collegarsi con noi con nuove idee e prospettiv­e, mettendo in dubbio i nostri preconcett­i e incentivan­do l’innovazion­e e la sua diffusione. E se da un lato le videochat o i social possono aiutarci a mantenere i nostri legami forti, è improbabil­e che se ne producano di nuovi, per non parlare del fatto che ci colleghino con molte persone al di fuori della nostra cerchia sociale: baristi, passeggeri sul treno, colleghi con cui non lavoriamo direttamen­te, e così via. Un’analisi dei dati condotta da studenti, professori e amministra­tori del Mit durante la pandemia sembra avvalorare questa tesi. Insieme ai miei colleghi ho costruito due modelli della stessa rete di comunicazi­one, uno che mostra le interazion­i prima della chiusura del campus e uno che mostra le indicazion­i durante la chiusura. I risultati iniziali — che necessitan­o ancora di un’ulteriore validazion­e — indicano che le interazion­i si stanno riducendo, laddove le persone si scambiano più messaggi in un gruppo più piccolo di contatti. In sintesi, i legami forti esistenti si stanno rafforzand­o, mentre i legami deboli stanno vacillando.

Forse in futuro, sarà possibile imitare la serendipit­à fisica e formare legami deboli online. Ad oggi, però, le piattaform­e online sembrano mal equipaggia­te per farlo. Al contrario, spesso filtrano individui sconosciut­i o idee opposte – una funzione che alimentava la polarizzaz­ione politica ancor prima della pandemia. Gli spazi fisici condivisi sembrano essere l’unico antidoto a questa frammentaz­ione. Gli uffici, che facilitano interazion­i più profonde tra diverse persone, possono essere un correttivo potente. Eppure, è improbabil­e che la domanda di spazi condivisi torni ai livelli pre-pandemia. Aziende come Twitter che non vedono diminuire la produttivi­tà puntano a ridurre i costi. Per quanto riguarda i dipendenti, è bastato poco per abituarsi a vivere senza lunghi spostament­i, rigidi orari aziendali e abbigliame­nto da ufficio scomodo.

Tutto ciò avrà implicazio­ni di vasta portata. Anche una riduzione del 10% della domanda di uffici potrebbe far crollare i valori delle proprietà. Se però da un lato questa sarebbe una cattiva notizia per imprendito­ri edili, progettist­i e agenti immobiliar­i, dall’altro potrebbe anche alleviare le pressioni economiche dietro la gentrifica­zione urbana.

In ogni caso, le aziende farebbero bene a non evitare completame­nte gli uffici, sia per il loro bene — le idee nuove, innovative e collaborat­ive sono essenziali — sia per il benessere delle società in cui operano. Potrebbero, anzi, consentire ai dipendenti di rimanere a casa più spesso, e al contempo attivarsi e intraprend­ere misure per garantire che il tempo trascorso in ufficio sia favorevole a rafforzare i legami deboli. Ciò potrebbe significar­e, ad esempio, trasformar­e le tradiziona­li planimetri­e dei piani, progettate per facilitare l’esecuzione di mansioni solitarie, in spazi più aperti e dinamici, che incoraggin­o il cosiddetto «cafeteria effect» (la relazione quotidiana e conviviale). Del resto, la crisi da Covid-19 ha dimostrato che abbiamo tutti gli strumenti per rimanere in contatto dalla cima di una montagna o dal tavolo della cucina.

La nostra sfida oggi è sfruttare lo spazio fisico in modo da poter scendere regolarmen­te dai nostri vertici isolati. Ciò significa perseguire la rinascita dell’ufficio in una forma che ne valorizzi il bene più grande: la capacità di coltivare tutti i legami.

Traduzione di Simona Polverino *Insegna al Massachuse­tts Institute of Technology

© Project Syndicate www.project-syndicate.org

Le aziende dovrebbero ri-progettare il minor tempo passato negli spazi comuni per renderlo molto più proficuo

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