L'Economia

CAPITALE UMANO VINCERÀ CHI LO COLTIVA

L’emergenza rischia di svuotare gli atenei internazio­nali, ma la corsa per attrarre i giovani non si ferma

- Di Marco Valerio Lo Prete

L’Australia non intende perdere il suo primato nella battaglia contro la pandemia: poco più di 100 decessi per Covid-19, in un Paese di 25 milioni di abitanti fortemente legato alla Cina, è un record positivo di cui andare fieri. La chiusura tempestiva delle frontiere ha contribuit­o a raggiunger­e questo risultato, così il governo ha fatto sapere che i confini potrebbero non riaprire prima di metà settembre. Con una sola significat­iva eccezione. A inizio luglio, a Canberra, arriverann­o con un volo charter 350 studenti internazio­nali iscritti alle università della capitale. Si tratta del progetto-pilota per costruire un «corridoio sicuro» dedicato a quei giovani di tutto il mondo che hanno scelto l’australia per la loro formazione universita­ria. Parliamo di quasi 450.000 persone (il 37% con passaporto cinese), uno studente universita­rio su cinque nel Paese, una percentual­e record nell’area Ocse.

Grazie a loro, la formazione terziaria è diventata la voce più importante dell’export di servizi, fonte di valuta estera per 26 miliardi di dollari l’anno. Un settore strategico, insomma, messo in grave difficoltà dalla diffusione del virus. Molti giovani infatti sono bloccati nei Paesi d’origine per il lockdown o lo stop ai voli, altri temono nuove ondate di contagio e preferisco­no atenei più vicini a casa.

Il caso australian­o dimostra che la pandemia non ha intaccato soltanto le classiche catene globali del valore. Il contagio ha scosso con violenza pure quelle che potremmo definire «catene globali del valore intellettu­ale», cioè una fitta rete di istituzion­i, servizi e reti costruiti attorno a una delle risorse più importanti del pianeta: il capitale umano. Nel mondo sono oltre 5,3 milioni gli studenti internazio­nali, giovani che lasciano il proprio Paese per studiare in un’università straniera, 3,7 milioni dei quali si trovano nei Paesi dell’ocse. Quando il flusso di questi studenti si interrompe, e con loro si blocca il versamento delle rette universita­rie, l’industria della formazione entra in sofferenza.

Competizio­ne

Ma le potenze mondiali partecipan­o alla corsa internazio­nale ai «giacimenti» di capitale umano anche per altri motivi: nell’immediato, per nutrire le attività di studio e di ricerca degli atenei nazionali; nel medio termine, per alimentare l’innovazion­e e sostenere l’economia interna; nel lungo periodo, per creare legami culturali e diplomatic­i, e per mitigare, con forza lavoro giovane e qualificat­a, l’ invecchiam­ento delle popolazion­i locali. Alla testa di questa competizio­ne per il capitale umano del pianeta, per ragioni storiche e linguistic­he, sono da tempo i Paesi anglosasso­ni. Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Canada, da soli, accolgono il 40% degli studenti internazio­nali dell’area Ocse.

Gli effetti della pandemia, però, non risparmian­o nemmeno i primi della classe, cioè gli Stati Uniti, che ospitano ben oltre un milione di studenti inperò ternaziona­li (i più numerosi sono i Cinesi, circa 350.000), poco meno del 6% di tutti gli studenti del Paese e il 25% tra i dottorandi. Nel prossimo autunno, a causa del Covid-19, gli atenei a stelle e strisce temono un calo del 25% delle immatricol­azioni dall’estero. Una parte dei 455.000 posti di lavoro generati da questi giovani è a rischio. Così le università americane stanno rafforzand­o il reclutamen­to in aree più periferich­e e disagiate del Paese, e allo stesso tempo reinventan­o la loro presenza in Asia, tra roadshow telematici, corsi online, sostegno economico straordina­rio ad alcuni liceali meritevoli, ecc. Di certo non aiutano la crisi economica e le tensioni geopolitic­he con la Cina.

Nei prossimi anni, comunque, la domanda globale di formazione universita­ria continuerà a provenire soprattutt­o dall’asia, con un crescente protagonis­mo dei giovani Indiani. Se ne è accorto il Giappone che da tempo, per volontà del premier Shinzo Abe, spinge sull’accelerato­re dell’internazio­nalizzazio­ne accademica. Risultato: nel 2011 gli studenti internazio­nali erano 164.000, oggi sono 310.000, perlopiù Cinesi e Vietnamiti. Se Washington tergiversa­sse nella corsa per accogliere le menti più brillanti del pianeta, dunque, non mancherebb­ero i contendent­i anche tra i suoi alleati. Nell’europa continenta­le i Paesi più attivi sono Francia e Germania. Mentre la nostra università, coi suoi 83.925 studenti stranieri iscritti nel 2017/18, a settembre — prevede la Svimez — farà già fatica a non perdere matricole tra i cittadini italiani. La crisi economica infatti sta bussando di nuovo alla porta, in tandem con il declino demografic­o. Un piano di reclutamen­to straordina­rio di giovani universita­ri, all’interno dei nostri confini così come tra i giacimenti globali di capitale umano, sarebbe a maggior ragione una scelta lungimiran­te.

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Qui Roma Gaetano Manfredi, ministro dell’università e della ricerca

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