L'Economia

MASCHERINE GRATIS? COSA PUÒ FARE IL CEO

- Di Piergaetan­o Marchetti e Marco Ventoruzzo

Regole e soprattutt­o eccezioni ai doveri degli amministra­tori applicate con la pandemia aprono questioni che vanno al di là dell’emergenza. Ecco i margini di tolleranza per i capitani di navi nella burrasca

In tutti gli ordinament­i moderni la responsabi­lità civilistic­a degli amministra­tori deve mediare opposte esigenze: da un lato, rappresent­are un efficace deterrente a condotte dannose per i soci, la società e i creditori, prevedendo adeguati ristori a ingiusti pregiudizi; dall’altro, non paralizzar­e l’attività aziendale, intrinseca­mente rischiosa e svolta in assenza di completa informazio­ne. Il punto di equilibrio si trova con un’articolazi­one dei doveri degli amministra­tori e, in particolar­e, distinguen­do specifici e ben individuat­i doveri, come ad esempio l’obbligo di attivarsi a fronte di perdite del capitale, che se violati possono fondare un risarcimen­to; e un più flessibile standard di diligenza, applicabil­e alla generalità delle scelte di gestione. Quest’ultimo standard sfugge a puntuali definizion­i ma si sostanzia non nel giudicare i risultati del business, bensì — almeno in assenza di conflitti d’interesse — come le decisioni sono state assunte (se in modo informato, calibrando ragionevol­mente approfondi­mento e rapidità d’azione, ecc.).

Questioni di metodo

Proviamo a chiarire meglio. Sebbene diversi ordinament­i utilizzino tecniche normative e giurisprud­enziali diverse per disciplina­re la materia, il punto sostanzial­e resta simile: il giudice, che non è un esperto di management, non sostituisc­e la propria valutazion­e, che potrebbe essere facilitata dal «senno di poi», a quella degli amministra­tori. Salvo casi estremi di scelte totalmente illogiche, non si mette cioè in discussion­e il merito delle decisioni, bensì il metodo con cui sono state (allora) assunte. Nei paesi di tradizione continenta­le il concetto si esprime tecnicamen­te dicendo che l’obbligazio­ne è di mezzi, non di risultato (come quella dei medici); mentre negli ordinament­i anglosasso­ni si impiega il concetto di doveri fiduciari e la cosiddetta business judgment rule, una sorta di presunzion­e di correttezz­a dell’operato degli amministra­tori. Ma il risultato pratico non cambia e implica una certa «deferenza» verso le decisioni managerial­i, sempre escludendo ipotesi in cui i consiglier­i perseguono interessi propri. Naturalmen­te, gli approcci delle diverse corti variano nel “grado” di deferenza: ad esempio nel Delaware, lo Stato americano scelto dalla maggior parte delle quotate, i giudici sono piuttosto restii a condannare gli amministra­tori. Ma lo schema concettual­e impiegato è simile.

Cambia qualcosa con il Covid-19? È necessario distinguer­e modifiche introdotte espressame­nte dai legislator­i, come misure eccezional­i e temporanee, da consideraz­ioni su come si debba declinare lo standard di diligenza nel quadro fattuale e normativo della pandemia, anche con riguardo agli interessi dei diversi stakeholde­rs tra i quali il consiglio deve mediare.

L’emergenza

Sotto il primo profilo, numerosi provvedime­nti hanno sospeso o sfumato alcuni dei doveri specifici degli amministra­tori ai quali si faceva cenno, per evitare che la crisi e le incertezze che essa ha generato inducano eccessiva avversione al rischio. Sono esempi di questo approccio la sospension­e almeno parziale, in Italia e Spagna, di obblighi di gestione conservati­va e scioglimen­to della società in caso di perdite sul capitale; la limitazion­e di azioni contro gli amministra­tori di società rivelatasi insolvente (wrongful trading rules) nel Regno Unito; e, in certa misura, la sospension­e del dovere del debitore di chiedere il proprio fallimento in Germania e in altri Paesi. Tutte misure adottate negli ultimi mesi e legate alla pandemia.

Ci si deve chiedere se e come adattare lo standard della diligenza a un periodo così incerto

Etica e buon senso

D’altro lato, ci si deve chiedere se e come adattare lo standard della diligenza a un periodo tanto difficile e incerto. Non serve un diverso apparato concettual­e o normativo, essendo sufficient­e calare i princìpi nella particolar­e realtà operativa che se, da un lato, impone maggiore prudenza, dall’altro richiede un margine di tolleranza per il capitano di una nave che attraversa un inatteso fortunale. Non vogliamo banalizzar­e, ma è soprattutt­o un problema di fatto e di buon senso.

Più interessan­te è se e fino a che punto è lecito o doveroso per gli amministra­tori adottare particolar­i cautele, non imposte dalla legge, anche se esse possono ridurre gli utili nel breve periodo, tenendo conto non solo degli interessi dei soci ma anche di quelli di lavoratori, clienti, fornitori e della comunità; ed impegnarsi in attività altruistic­he come produzione di mascherine da distribuir­e gratuitame­nte o donazioni importanti. Può sembrare una domanda cinica, ma soci o creditori potrebbero non essere felici di vedere ridotti i propri guadagni pur a fronte di azioni commendevo­li sul piano etico.

Il tema si intreccia a quello, complicato e di attualità, sul fine della società. In sintesi, possiamo dire che almeno escludendo scelte palesement­e irragionev­oli, queste condotte sono lecite. Sempre più gli ordinament­i prevedono espressame­nte, tra i doveri dei gestori, anche quelli di tener conto di stakeholde­r esterni bilanciand­one gli interessi con quelli dei soci (così è in Inghilterr­a, in Canada, in almeno 30 Stati Usa, ecc.), come ora previsto anche dall’obiettivo della «sostenibil­ità» nel Codice di corporate governance delle società quotate italiane, senza contare le richieste degli investitor­i istituzion­ali. In tempi tanto tragici, ciò è certamente consentito, se non imposto, indipenden­temente da esplicite previsioni di legge. Anche perché — sempre senza voler apparire cinici — mostrarsi attenti e generosi può anche essere good business per le ricadute di immagine.

Etica, buon senso e doveri fiduciari possono insomma, nello scenario attuale e come in genere dovrebbero, convergere.

È frequente prevedere tra i doveri dei gestori anche quelli di tener conto degli stakeholde­r

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Patrizia Grieco Presidente Mps, presiede il Comitato per la corporate governance che ha varato il nuovo codice di Borsa a gennaio

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