L'Economia

ELISA PAGLIARANI

La general manager in Italia di Glovo, gigante delle consegne a domicilio, e vicepresid­ente di Assodelive­ry annuncia la piattaform­a per un accordo a base di minimi, bonus e diritti sindacali. E intanto il gruppo prepara le «case» dei lavoratori

- Di Dario Di Vico

«GLI ZAINI GIALLI DI GLOVO DIMOSTRANO COME SI REAGISCE ALLE CRISI: CONSOLIDAR­E E CRESCERE SI PUÒ»

Il lockdown ha cambiato in un tempo relativame­nte breve l’immagine popolare dei rider, prima cari solo ai patiti del gourmet a domicilio e ora diventati «eroi» di tutti per aver garantito un servizio essenziale. Ma l’isolamento ha mutato anche indirizzi e strategie delle compagnie di food delivery che si sono caricate nelle ore più buie di un compito quasi da servizio pubblico. E ora sono chiamate a confermare la loro maturazion­e conciliand­o le legittime esigenze di un business che vive di volumi e velocità con i diritti e le retribuzio­ni degli «eroi». Di questo e molto altro abbiamo discusso con Elisa Pagliarani, 30 anni, laureata in Ingegneria gestionale al Politecnic­o di Milano, general manager di Glovo Italia (35,6 milioni di fatturato) dove era entrata tre anni fa come semplice capo-progetto, dopo una lunga esperienza in Vodafone.

L’età di Elisa non deve stupire perché anche uno dei fondatori di Glovo è under 30, lo spagnolo Oscar Pierre, ingegnere aerospazia­le diventato capo di una delle più brillanti startup d’europa, presente in 22 Paesi, largamente partecipat­a da fondi di investimen­to e che ha di recente tagliato il nastro del miliardo di valore. Portando così a Barcellona lo scudetto di unicorno.

Durante il lockdown avete consegnato nelle case degli italiani non solo cibo ma anche i medicinali, la spesa, i regali dei parenti. E adesso avete iniziato anche a distribuir­e giornali. È un cambio di strategia o la ricerca di maggiori margini?

« Glovo è stata sin dall’inizio multi-category, anche se la domanda era meno vivace, ma il cibo resta l’80% delle nostre consegne seguito a debita distanza dalla spesa. Sicurament­e in tempo di restrizion­i alla mobilità questa predisposi­zione è apparsa più chiara al grande pubblico perché i nostri zaini gialli sono serviti non solo ad assicurare ai buongustai i loro piatti preferiti ma anche a sostenere i ristoranti e a cucire le relazioni sociali. Così in soli tre anni Glovo è passata da otto a 80 dipendenti, ha comperato Foodora Italia ed è presente in 140 città d’italia. Che è per noi dopo la Spagna il secondo mercato».

Di quanto è cresciuto il vostro giro d’affari sotto pandemia? «Nel primo mese abbiamo sofferto perché i ristoranti erano chiusi. Poi abbiamo avuto ottimi riscontri: +300% nelle consegne della spesa, +150% di medicinali e abbiamo decuplicat­o le spedizioni di oggetti da casa a casa, con gli italiani che hanno scelto il delivery per recapitare ai propri cari messaggi di affetto. A giugno con la riapertura fisica dei ristoranti non abbiamo mantenuto questi livelli, ma siamo nettamente sopra i massimi pre-covid». Essere multi-category vi aiuta sul piano dei margini operativi, decisivi in un business che per essere remunerati­vo ha bisogno di grandi volumi?

«Non è questo il motivo. Consegniam­o più prodotti per fidelizzar­e il cliente e cercare il contatto con nuovi segmenti di popolazion­e. Quanto alle commission­i che restano a noi, dobbiamo cercare il giusto equilibrio tra l’esercizio commercial­e che sta a monte e l’utente finale che sta a valle. È un test di continua contrattaz­ione».

Glovo Italia è in utile o quando pensa di andare a break-even?

«In gergo diciamo che ancora “bruciamo” risorse, restiamo in territorio negativo. Abbiamo investito in questi anni anche con le acquisizio­ni per crearci una base di mercato solida e pensiamo di raggiunger­e il pareggio di bilancio con l’esercizio 2021. Ma era nei programmi».

Avete cominciato a produrre/cucinare i piatti in proprio. Con quali obiettivi, solo di margini?

«Più che altro abbiamo cominciato a cucinare per coprire quelle tipologie di piatti che il mercato non copriva a sufficienz­a. Penso alla cotoletta o al burrito, molto richiesti entrambi e per i quali abbiamo creato due brand, Repùblica de la Milanesa e Bendito Burrito, che offriamo ai ristoranti nostri partner come completame­nto della loro offerta. Una sorta di franchisin­g».

In un business che presenta margini stretti, il tema del costo del lavoro è particolar­mente delicato. La soluzione non può essere soltanto nell’aumentare i prezzi finali. Se ordinare un ramen comincia a costare 30 euro il consumator­e ci pensa due volte.

«È così ma va trovato un equilibrio. Non dimentichi che si possono raggiunger­e ancora economie di scala e maggiore efficienza proprio aumentando la presenza dei nostri

partner sul territorio. Più è capillare, più si riduce il tragitto del rider e si velocizza tutto il processo».

Ma qual è la vostra strategia in materia di costo del lavoro, peraltro destinato comunque a salire? « Come Assodelive­ry, di cui sono vicepresid­ente, l’associazio­ne di categoria che include anche Deliveroo, Just Eat, Social Food e Uber Eats, siamo pronti a elaborare una proposta. La legge firmata dal ministro Nunzia Catalfo ci obbliga a trovare un accordo tra le parti entro novembre 2020, altrimenti saremo costretti a pagare i nostri rider a tempo e non più a prestazion­e. Le ricordo però che la legge ha scelto per i rider lo status giuridico del lavoratore autonomo. Ci aspettiamo che si apra un tavolo con contropart­i rappresent­ative e notiamo una maggiore consapevol­ezza del passato».

Ci sono dunque i presuppost­i perché anche gli “essenziali” abbiano un moderno contratto di lavoro?

«Pur nell’ambito di un negoziato pensiamo che ci sia spazio per offrire loro un minimo garantito, dispositiv­i di sicurezza, corsi di formazione, bonus per il maltempo e il lavoro notturno e la formalizza­zione dei diritti sindacali, compresa l’offerta di spazi fisici per esercitare l’azione di rappresent­anza».

Pur rispettand­o il carattere proprietar­io e riservato dell’algoritmo, siete disposti a rendere trasparent­i e oggetto di trattativa i profili di gestione dei rapporti di lavoro (turnistica e compensi)?

«Per quanto riguarda Glovo, la struttura del compenso e le modalità di prenotazio­ne dei turni sono informazio­ni da sempre consultabi­li online. I corrieri danno le proprie disponibil­ità due volte a settimana tramite un calendario virtuale, senza alcun obbligo di collaborar­e nella fascia oraria prenotata.

È vero, la soluzione per il costo del lavoro non può essere soltanto aumentare i prezzi. Deve anche crescere la presenza sul territorio

All’interno di quella fascia, poi, è a discrezion­e del rider decidere se effettuare la consegna o meno, senza che questo abbia un impatto sulle consegne future».

Ma il mutamento della composizio­ne dei rider con la netta prevalenza, sotto lockdown, di giovani extra-comunitari non è destinato a cambiare anche le loro rivendicaz­ioni? Sarà più difficile che in un mercato del lavoro che promette alta disoccupaz­ione struttural­e questi ragazzi si considerin­o lavoratori saltuari, come può essere invece portato a pensare uno studente italiano.

«Il fenomeno di cui lei parla interessa solo Milano, a Roma o a Rimini non è così. E comunque non è affatto detto che il mutamento della composizio­ne porti alla richiesta di lavoro fisso. Il loro tempo medio di permanenza è di quattro mesi e questo dato prescinde dalla nazionalit­à dei rider. E noi comunque ci facciamo carico di garantire percorsi di mobilità del lavoro. Abbiamo creato corsi profession­ali per pizzaioli, ad esempio, e in estate mettiamo in contatto per un’opportunit­à di lavoro nostri rider con i ristoranti partner. Tutte queste iniziative hanno come contenitor­i i Glover Center. Per ora sono solo tre ma contiamo di aprirne di più».

Che cosa sono?

«Delle basi distribuit­e sul territorio che servono per i corsi sulla sicurezza stradale, le pratiche amministra­tive, le pause. Sono delle case della community dei rider. In futuro serviranno anche a evitare che. in attesa della chiamata, i fattorini si radunino in slarghi o piazzole al sole o al freddo».

Ci sono state di recente polemiche sulla dotazione di mascherine oppure sul trasferime­nto degli account che rende impossibil­e l’identifica­zione del rider che bussa a casa.

«Per le mascherine inizialmen­te abbiamo subito gli stessi ritardi di tutti, a causa della difficoltà di approvvigi­onamento. Quanto agli account, siamo contrari al prestito anche temporaneo, è personale e non può essere trasferito. Per prevenirne l’utilizzo improprio, effettuiam­o controlli a campione e abbiamo inserito delle modalità che non permettono l’uso dello stesso account da più di un dispositiv­o».

Vista la vostra natura di reti a tutto tondo capaci di offrire addirittur­a servizio pubblico, pensate di rivolgervi agli enti locali in chiave di partnershi­p?

«Con un paio di sindaci abbiamo avuto dei momenti di approfondi­mento, non escludo che si possa andare avanti ma non lo reputo necessario».

Durante le settimane più dure dell’epidemia avete registrato dei piccoli focolai tra i rider e come li avete gestiti?

«Abbiamo attivato un’assicurazi­one anti-covid, ma di fatto è servita poco perché il numero dei positivi si conta sulle dita di una mano».

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