Sugli utili si recita a soggetto
Quel che si toglie nel 2020 si aggiunge nel 2021. Che sia solo per giustificare i massimi livelli di Wall Street?
Maledetti economisti, verrebbe da dire. Dobbiamo credere a quelli delle banche d’affari, che s’immaginano una forte ripresa a «V» dell’economia, o al Fondo monetario che ha drasticamente ridotto le stime di crescita per quest’anno e per il 2021? Si direbbe che abbiano ragioni i primi, considerando l’indice di Citigroup volato sopra quota 150, ai massimi storici. Questo indicatore misura l’effetto sorpresa dei dati macroeconomici rispetto alle attese: e, negli Stati Uniti, questi dati (occupazione, consumi, vendite di case, ordini di beni durevoli) sono stati di gran lunga migliori di quanto si fosse previsto. Si direbbe che la realtà si stia rivelando ben più rosea delle umane elucubrazioni. Il guaio è che l’indice Citi non è la realtà.
Se un numero risulta migliore delle stime, non necessariamente è un bel dato: gli indici Pmi, per esempio, sono tutti saliti, ma, sotto i 50 punti, segnalano che la contrazione sta semplicemente rallentando, non che l’economia stia crescendo. Soprattutto, l’effetto sorpresa dipende in buona parte dal livello delle aspettative: ossia da un fattore del tutto soggettivo, poiché, come nel presente caso, viziato da un eccesso di pessimismo. Anche gli indici Pmi ci dicono poco in queste condizioni, perché partono da livelli straordinariamente depressi e perché, come sottolinea Bofa, sono qualitativi e non quantitativi e, trattandosi di sondaggi, catturano una tendenza e non l’ammontare dei beni o dei servizi prodotti.
Sta di fatto che a giugno la ripresa s’è vista davvero, un po’ perché c’è grande voglia di ripartenza, un po’ perché in America i sussidi governativi hanno fatto crescere le entrate delle famiglie di un buon 20%, un po’ perché le imprese Usa stanno riassumendo personale con l’intenzione di collocarne, poi, una parte in aspettativa. E, dall’impeto con cui si sta manifestando, si direbbe che assomigli molto a una ripresa a «V», se non fosse che nessuno è in grado di dire quanto rapida e continua potrà rivelarsi nei prossimi mesi e quanto tempo ci vorrà per rivedere il livello del Pil di fine 2019. Tanto più considerando che i contagi da coronavirus stanno rapidamente crescendo in tutte le Americhe e non si tratta di quella seconda ondata paventata dagli investitori nei sondaggi di Bofa, ma sempre della prima, presa sottogamba dall’amministrazione Trump e da tanti governi dell’america latina. A un ritmo record di oltre 40mila contagi giornalieri, gli Stati Uniti non sembrano in condizione di far ripartire l’economia ai ritmi suggeriti dall’euforia di Wall Street. In quequasi sta prospettiva ha senso il sorprendente pessimismo del Fondo monetario.
I suoi economisti hanno ridotto di circa due punti percentuali le stime di crescita 2020 per l’economia mondiale e per gli Stati Uniti, hanno tagliato di 2,7 punti quelle per l’eurozona e troncato di 4-5 punti quelle di Francia, Italia e Spagna le quali vedrebbero dunque crollare il Pil, quest’anno, di il 13%. Di contro sono state solo leggermente migliorate le previsioni per il 2021 in Eurozona, ma limate quelle globali e degli Usa. Il Fondo non si spinge oltre il prossimo anno, poiché la visibilità è già piuttosto scarsa nel medio periodo. Se dovessimo prendere per buone le sue previsioni, l’economia mondiale rivedrebbe i livelli pre-crisi già a fine 2021; gli Stati Uniti dovrebbero probabilmente aspettare la primavera 2022 e l’area euro, pur immaginando un Pil in crescita sopra la media nel 2022 e 2023, vedrebbe il pareggio non prima di tre anni.
Quanto all’italia, una generosissima stima lo procrastinerebbe a metà 2024: o forse più in là, come teme Alessandro Tentori gestore di Axa Im. Per quel che ne sappiamo, il pessimismo del Fmi vale quanto l’ottimismo di altri economisti o la cautela di S&P Research, che tuttavia proietta il pieno recupero dell’economia americana a fine 2021.
Il problema
In effetti, nessuno dei grandi istituti di ricerca, comprese le banche centrali, ha dato prova di chiaroveggenza in passato. Osservando la raffica di obiettivi di prezzo rialzati in questi giorni, si direbbe che questi ultimi ragionino solo in base all’umore del momento. Del resto, c’è ben poca serietà nel modo con cui stanno compilando le stime di utili societari per il 2020 e il 2021: prevedono profitti in forte calo quest’anno e da due mesi seguitano ad abbassare le stime dei prossimi due trimestri, sollecitati probabilmente dai direttori finanziari delle società stesse. Ma quel che tolgono al 2020 lo aggiungono al 2021, forse solo per giustificare gli elevati livelli di Wall Street, dal momento che nemmeno le società interessate se la sentono di fare previsioni per il prossimo anno.