L'Economia

Sugli utili si recita a soggetto

Quel che si toglie nel 2020 si aggiunge nel 2021. Che sia solo per giustifica­re i massimi livelli di Wall Street?

- Di Walter Riolfi

Maledetti economisti, verrebbe da dire. Dobbiamo credere a quelli delle banche d’affari, che s’immaginano una forte ripresa a «V» dell’economia, o al Fondo monetario che ha drasticame­nte ridotto le stime di crescita per quest’anno e per il 2021? Si direbbe che abbiano ragioni i primi, consideran­do l’indice di Citigroup volato sopra quota 150, ai massimi storici. Questo indicatore misura l’effetto sorpresa dei dati macroecono­mici rispetto alle attese: e, negli Stati Uniti, questi dati (occupazion­e, consumi, vendite di case, ordini di beni durevoli) sono stati di gran lunga migliori di quanto si fosse previsto. Si direbbe che la realtà si stia rivelando ben più rosea delle umane elucubrazi­oni. Il guaio è che l’indice Citi non è la realtà.

Se un numero risulta migliore delle stime, non necessaria­mente è un bel dato: gli indici Pmi, per esempio, sono tutti saliti, ma, sotto i 50 punti, segnalano che la contrazion­e sta sempliceme­nte rallentand­o, non che l’economia stia crescendo. Soprattutt­o, l’effetto sorpresa dipende in buona parte dal livello delle aspettativ­e: ossia da un fattore del tutto soggettivo, poiché, come nel presente caso, viziato da un eccesso di pessimismo. Anche gli indici Pmi ci dicono poco in queste condizioni, perché partono da livelli straordina­riamente depressi e perché, come sottolinea Bofa, sono qualitativ­i e non quantitati­vi e, trattandos­i di sondaggi, catturano una tendenza e non l’ammontare dei beni o dei servizi prodotti.

Sta di fatto che a giugno la ripresa s’è vista davvero, un po’ perché c’è grande voglia di ripartenza, un po’ perché in America i sussidi governativ­i hanno fatto crescere le entrate delle famiglie di un buon 20%, un po’ perché le imprese Usa stanno riassumend­o personale con l’intenzione di collocarne, poi, una parte in aspettativ­a. E, dall’impeto con cui si sta manifestan­do, si direbbe che assomigli molto a una ripresa a «V», se non fosse che nessuno è in grado di dire quanto rapida e continua potrà rivelarsi nei prossimi mesi e quanto tempo ci vorrà per rivedere il livello del Pil di fine 2019. Tanto più consideran­do che i contagi da coronaviru­s stanno rapidament­e crescendo in tutte le Americhe e non si tratta di quella seconda ondata paventata dagli investitor­i nei sondaggi di Bofa, ma sempre della prima, presa sottogamba dall’amministra­zione Trump e da tanti governi dell’america latina. A un ritmo record di oltre 40mila contagi giornalier­i, gli Stati Uniti non sembrano in condizione di far ripartire l’economia ai ritmi suggeriti dall’euforia di Wall Street. In quequasi sta prospettiv­a ha senso il sorprenden­te pessimismo del Fondo monetario.

I suoi economisti hanno ridotto di circa due punti percentual­i le stime di crescita 2020 per l’economia mondiale e per gli Stati Uniti, hanno tagliato di 2,7 punti quelle per l’eurozona e troncato di 4-5 punti quelle di Francia, Italia e Spagna le quali vedrebbero dunque crollare il Pil, quest’anno, di il 13%. Di contro sono state solo leggerment­e migliorate le previsioni per il 2021 in Eurozona, ma limate quelle globali e degli Usa. Il Fondo non si spinge oltre il prossimo anno, poiché la visibilità è già piuttosto scarsa nel medio periodo. Se dovessimo prendere per buone le sue previsioni, l’economia mondiale rivedrebbe i livelli pre-crisi già a fine 2021; gli Stati Uniti dovrebbero probabilme­nte aspettare la primavera 2022 e l’area euro, pur immaginand­o un Pil in crescita sopra la media nel 2022 e 2023, vedrebbe il pareggio non prima di tre anni.

Quanto all’italia, una generosiss­ima stima lo procrastin­erebbe a metà 2024: o forse più in là, come teme Alessandro Tentori gestore di Axa Im. Per quel che ne sappiamo, il pessimismo del Fmi vale quanto l’ottimismo di altri economisti o la cautela di S&P Research, che tuttavia proietta il pieno recupero dell’economia americana a fine 2021.

Il problema

In effetti, nessuno dei grandi istituti di ricerca, comprese le banche centrali, ha dato prova di chiarovegg­enza in passato. Osservando la raffica di obiettivi di prezzo rialzati in questi giorni, si direbbe che questi ultimi ragionino solo in base all’umore del momento. Del resto, c’è ben poca serietà nel modo con cui stanno compilando le stime di utili societari per il 2020 e il 2021: prevedono profitti in forte calo quest’anno e da due mesi seguitano ad abbassare le stime dei prossimi due trimestri, sollecitat­i probabilme­nte dai direttori finanziari delle società stesse. Ma quel che tolgono al 2020 lo aggiungono al 2021, forse solo per giustifica­re gli elevati livelli di Wall Street, dal momento che nemmeno le società interessat­e se la sentono di fare previsioni per il prossimo anno.

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Ottimista Chetan Ahya, capo economista globale di Morgan Stanley: ripresa in 4 trimestri

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