Privacy, più valore in chi la tutela
La protezione dei dati digitali è diventata essenziale per l’efficienza produttiva. Zandbergen (Robeco): «Verrà premiata dal mercato. La produzione d’informazioni pro capite nel mondo sarà cinque volte il contenuto di un computer»
La raccolta di dati digitali è cresciuta moltissimo e può creare seri problemi su privacy e diritti umani: soprattutto quando si tratta di informazioni sensibili sulla salute, se impiegate nella lotta al Covid-19. «Quest’anno la quantità mondiale di dati raggiungerà i 40 mila miliardi di gigabyte, più di 5 mila gigabyte per ogni abitante del pianeta — dice Masja Zandbergen, capo della Sustainability Integration di Robeco —. È cinque volte il contenuto di un computer medio». La privacy dei dati è diventata un rischio aziendale significativo: va tutelata. È anche un tema rilevante di sostenibilità.
L’emergenza
L’emergenza Covid-19 sta mettendo alla prova i diritti umani digitali. Da un lato, le app per il tracciamento dei soggetti positivi possono salvare vite e contribuire a liberare la società dal lockdown, aiutando così l’economia; dall’altro lato, però, se non si sta attenti, si mette a rischio la privacy dei cittadini. «Si potrebbe ribattere che la privacy andrebbe sacrificata per uno scopo del genere — dice Zandbergen —, ma secondo Accessnow, organizzazione senza fini di lucro, la tutela dei diritti digitali può davvero contribuire a migliorare la salute pubblica. Siamo pienamente d’accordo. Se i diritti digitali non sono tutelati adeguatamente, il download volontario delle app di tracciamento dei positivi verrà rifiutato e, per avere successo, il servizio dovrà essere reso obbligatorio. Molti Paesi non lo accetteranno mai, impedendo ai governi di adottare strumenti di salute digitale».
La sorveglianza
I dati che riguardano la salute sono tra le informazioni più sensibili che esistano e la loro tutela è fondamentale. Il tracciamento dei dati sulla salute serve alle autorità per reagire a un’epidemia che si muove con estrema rapidità. Tuttavia, una cattiva gestione
«Nella scelta delle società dove investire guardiamo anche a come vengono difesi i dati personali e la sicurezza»
può generare sfiducia e ridurre l’utilizzo degli strumenti di salute digitale. «Un altro tema rilevante è la sorveglianza — sottolinea l’esperta di Robeco —. I governi, infatti, potrebbero sfruttare questa emergenza per adottare su larga scala strumenti di sorveglianza in parte controversi, come il riconoscimento facciale, già impiegato per il monitoraggio e il controllo dei movimenti durante l’epidemia di coronavirus».
La Cina lo usa per tracciare i soggetti contagiosi e per identificare chi non indossa la mascherina. A Mosca, invece, le autorità russe ricorrono a telecamere di videosorveglianza, sistemi di riconoscimento facciale e geolocalizzazione per fare rispettare la quarantena e seguire i positivi. «Pur nella consapevolezza che l’individualismo è un valore prevalentemente occidentale, secondo noi queste pratiche rischiano di violare gravemente le basi del diritto alla privacy, senza produrre evidenti benefici per la collettività», aggiunge Zandbergen.
Le aziende
In assenza di un quadro normativo adeguato, i diritti umani digitali sono un rischio per le società in cui investiamo. Questioni come la privacy dei dati, la cybersicurezza o l’impatto sociale dell’intelligenza artificiale possono penalizzarne le attività, mentre una buona gestione delle questioni digitali è in grado di fare la differenza. «Nei nostri processi d’investimento basati sui fondamentali, analizziamo con sistematicità il modo in cui le aziende affrontano questi temi — puntualizza Zandbergen —. Per valutare i rischi, esaminiamo non solo la solidità delle politiche di sicurezza informatica, ma anche i processi associati a eventuali violazioni e sanzioni. Anche sui risultati, alcune aziende sono più trasparenti di altre. Combinando quest’analisi ad altri aspetti rilevanti, come la corporate governance e la gestione del capitale umano, riusciamo a valutare l’impatto sulla creazione di valore delle società».