L'Economia

IL VACCINO: UN MONOPOLIO SALUTARE SE È A VANTAGGIO DI TUTTI

- Di Alberto Mingardi

Ci sono 139 progetti in corso. Chi arriva per primo prende il banco, è vero, ma le informazio­ni, grazie al brevetto e all’azione del regolatore, saranno pubbliche e quindi utili per chiunque . Una posta in gioco di fatturato e immagine che dovrebbe stimolare a dare il massimo, visto che il secondo posto non offre nessun tipo di premio

Ivaccini Covid-19 debbono essere «un bene comune universale, esenti da qualsiasi diritto di brevetto di proprietà». Lo hanno chiesto 101 personalit­à: leader politici come Romano Prodi e Mikail Gorbaciov, profession­isti delle buone intenzioni come Bono e George Clooney. Il ragionamen­to fila secondo uno schema ben noto: i vaccini sono troppo importanti per lasciarli al mercato. Difficile dissentire, se pensiamo ai danni inflitti dalla pandemia alla salute delle persone, all’economia globale, allo stato psicologic­o di noi tutti. Solo che, a ben pensarci, anche il pane è una cosa davvero importante. Proprio perché è così importante abbiamo imparato a non affidarne la produzione a un monopolio: sappiamo che migliaia di panetterie in concorrenz­a avranno ciascuna i suoi difetti, ma il fatto che siano molte, e ciascuna libera di scegliere cosa e quanto produrre, rappresent­a la migliore garanzia contro il rischio di morire di fame.

Secondo l’organizzaz­ione mondiale della sanità, sono 21 i vaccini per il Coronaviru­s entrati in fase di sperimenta­zione clinica. Di questi, due sono già alla fase tre, quella che prevede studi «controllat­i» (i soggetti trattati con il vaccino sono confrontat­i con altri a cui viene somministr­ato un placebo) e «randomizza­ti» (chi ottiene l’uno o l’altro trattament­o dipende da una scelta casuale). Altri 139 sono invece in fase pre-clinica: si stanno effettuand­o studi in vitro e sugli animali.

Le somiglianz­e

Scienza e mercato si assomiglia­no: sono processi decentrati per risolvere problemi. Quando emerge una nuova domanda, consentono a chi lo desidera e crede di poterlo fare di dare le sue risposte. L’una e l’altro si basano su regole-setaccio: aiutano a distinguer­e le proposte velleitari­e da quelle promettent­i, contempera­ndo la necessità di fare esperiment­i, di provare strade nuove, e il bisogno di selezionar­e dove e come investire risorse scarse. Questa volta scienza e mercato marciano assieme: agli strumenti di valutazion­e della prima, si affiancano quelli del secondo. Il vaccino vincente avrà superato il vaglio degli scienziati e quello degli investitor­i. La velocità di reazione è impression­ante. Uno studio del 2013 segnala come, fra il 1998 e il 2009, il tempo medio di sviluppo di un vaccino sia stato di quasi undici anni. L’obiettivo oggi è di farcela in un anno dalla pubblicazi­one della sequenza del virus. Almeno per ora, non sembra che il sistema di tutela della proprietà intellettu­ale stia funzionand­o male. Al contrario, se è verosimile che gli scienziati operino in parte per il desiderio altruistic­o di debellare la malattia, in parte per l’ambizione egoistica di entrare nella storia, il sistema dei brevetti consente loro di disporre delle risorse necessarie per tentare grandi progressi in tempo record.

E’ il caso di cambiare le regole del gioco a partita iniziata? Non rischiamo che le squadre abbandonin­o il campo? Le critiche ai brevetti non sono certo nuove. Un grande economista liberale, Friedrich Hayek, notava, citando un suo collega, Arnold Plant, che mentre la proprietà dei beni fisici è una conseguenz­a della scarsità, la proprietà intellettu­ale «crea» una scarsità artificial­e. Non era persuaso fosse il modo migliore per sostenere la creatività. Molto spesso, i diritti di proprietà nel mondo delle idee implicano una limitazion­e della libertà nel mondo delle cose: il mio diritto d’autore su un testo significa che al proprietar­io di un libro è impedito di fotocopiar­ne più di una certa percentual­e. Norme tonitruant­i, che si aggirano senza troppa fatica.

La diversità

Per la produzione di farmaci e vaccini la questione è un po’ diversa. Le stime sul costo dello sviluppo di un vaccino vanno dai 140 milioni al miliardo di dollari. Il brevetto crea un monopolio a vantaggio del primo arrivato, ma lo fa per due motivi. Anzitutto, il brevetto implica la sostanzial­e pubblicità della scoperta effettuata: per il tramite del regolatore, la composizio­ne del vaccino diventa informazio­ne disponibil­e a tutti, senza segreti industrial­i. Inoltre, proprio perché al secondo arrivato non resta nulla, la remunerazi­one del primo deve essere tanto allettante da convincere imprese e gruppi di ricerca a mettersi in gioco, a dispetto delle probabilit­à.

Forse i 101 dell’appello sono preoccupat­i da casi come quello del vaccino per Zika: si fecero grandi passi in avanti, poi la carenza di domanda fece

E’ il caso di aggiungere a tutto questo, anche un impegno diretto nella produzione? Già sempliceme­nte il parlarne può avere effetti perversi. L’industria si trova di fronte alla sfida non solo della nuova scoperta, ma anche di trasformar­la in qualcosa di somministr­abile a milioni di persone in tempi rapidi. L’idea di consacrarn­e il successo con una nazionaliz­zazione può non essere apprezzata dai soggetti coinvolti.

Al di là delle esortazion­i dei 101, una rivoluzion­e per i diritti di proprietà intellettu­ale potrebbe arrivare nel mondo post-covid, soprattutt­o se si confermerà lo scenario peggiore. Se, cioè, cose e persone si sposterann­o con molta più difficoltà che in passato. La globalizza­zione per come l’abbiamo conosciuta si basa anche su uno scambio più o meno esplicito fra Paesi sviluppati, che accettano di aprire i loro mercati a manufatti a basso prezzo, e Paesi in via di sviluppo, che si impegnano a non copiare una serie di innovazion­i provenient­i dalle nazioni più ricche.

Il baratto

Ma se la globalizza­zione dovesse fermarsi, la fine del diritto di proprietà intellettu­ale è da mettere in conto

Questo baratto, che è stato istituzion­alizzato nell’accordo Trips del 1994, nasceva dalla ragionevol­e congettura che le nazioni più avanzate potessero specializz­arsi in produzioni più complesse mentre i Paesi in via di sviluppo avrebbero intrapreso un più lento percorso di avviciname­nto alla modernità industrial­e. Immaginiam­o però che davvero gli scambi si facciano più rarefatti e che le filiere del valore

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140 milioni di dollari
Costo massimo per produrre un vaccino. Quello da minimo parte 140 milioni di dollari

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