IL VACCINO: UN MONOPOLIO SALUTARE SE È A VANTAGGIO DI TUTTI
Ci sono 139 progetti in corso. Chi arriva per primo prende il banco, è vero, ma le informazioni, grazie al brevetto e all’azione del regolatore, saranno pubbliche e quindi utili per chiunque . Una posta in gioco di fatturato e immagine che dovrebbe stimolare a dare il massimo, visto che il secondo posto non offre nessun tipo di premio
Ivaccini Covid-19 debbono essere «un bene comune universale, esenti da qualsiasi diritto di brevetto di proprietà». Lo hanno chiesto 101 personalità: leader politici come Romano Prodi e Mikail Gorbaciov, professionisti delle buone intenzioni come Bono e George Clooney. Il ragionamento fila secondo uno schema ben noto: i vaccini sono troppo importanti per lasciarli al mercato. Difficile dissentire, se pensiamo ai danni inflitti dalla pandemia alla salute delle persone, all’economia globale, allo stato psicologico di noi tutti. Solo che, a ben pensarci, anche il pane è una cosa davvero importante. Proprio perché è così importante abbiamo imparato a non affidarne la produzione a un monopolio: sappiamo che migliaia di panetterie in concorrenza avranno ciascuna i suoi difetti, ma il fatto che siano molte, e ciascuna libera di scegliere cosa e quanto produrre, rappresenta la migliore garanzia contro il rischio di morire di fame.
Secondo l’organizzazione mondiale della sanità, sono 21 i vaccini per il Coronavirus entrati in fase di sperimentazione clinica. Di questi, due sono già alla fase tre, quella che prevede studi «controllati» (i soggetti trattati con il vaccino sono confrontati con altri a cui viene somministrato un placebo) e «randomizzati» (chi ottiene l’uno o l’altro trattamento dipende da una scelta casuale). Altri 139 sono invece in fase pre-clinica: si stanno effettuando studi in vitro e sugli animali.
Le somiglianze
Scienza e mercato si assomigliano: sono processi decentrati per risolvere problemi. Quando emerge una nuova domanda, consentono a chi lo desidera e crede di poterlo fare di dare le sue risposte. L’una e l’altro si basano su regole-setaccio: aiutano a distinguere le proposte velleitarie da quelle promettenti, contemperando la necessità di fare esperimenti, di provare strade nuove, e il bisogno di selezionare dove e come investire risorse scarse. Questa volta scienza e mercato marciano assieme: agli strumenti di valutazione della prima, si affiancano quelli del secondo. Il vaccino vincente avrà superato il vaglio degli scienziati e quello degli investitori. La velocità di reazione è impressionante. Uno studio del 2013 segnala come, fra il 1998 e il 2009, il tempo medio di sviluppo di un vaccino sia stato di quasi undici anni. L’obiettivo oggi è di farcela in un anno dalla pubblicazione della sequenza del virus. Almeno per ora, non sembra che il sistema di tutela della proprietà intellettuale stia funzionando male. Al contrario, se è verosimile che gli scienziati operino in parte per il desiderio altruistico di debellare la malattia, in parte per l’ambizione egoistica di entrare nella storia, il sistema dei brevetti consente loro di disporre delle risorse necessarie per tentare grandi progressi in tempo record.
E’ il caso di cambiare le regole del gioco a partita iniziata? Non rischiamo che le squadre abbandonino il campo? Le critiche ai brevetti non sono certo nuove. Un grande economista liberale, Friedrich Hayek, notava, citando un suo collega, Arnold Plant, che mentre la proprietà dei beni fisici è una conseguenza della scarsità, la proprietà intellettuale «crea» una scarsità artificiale. Non era persuaso fosse il modo migliore per sostenere la creatività. Molto spesso, i diritti di proprietà nel mondo delle idee implicano una limitazione della libertà nel mondo delle cose: il mio diritto d’autore su un testo significa che al proprietario di un libro è impedito di fotocopiarne più di una certa percentuale. Norme tonitruanti, che si aggirano senza troppa fatica.
La diversità
Per la produzione di farmaci e vaccini la questione è un po’ diversa. Le stime sul costo dello sviluppo di un vaccino vanno dai 140 milioni al miliardo di dollari. Il brevetto crea un monopolio a vantaggio del primo arrivato, ma lo fa per due motivi. Anzitutto, il brevetto implica la sostanziale pubblicità della scoperta effettuata: per il tramite del regolatore, la composizione del vaccino diventa informazione disponibile a tutti, senza segreti industriali. Inoltre, proprio perché al secondo arrivato non resta nulla, la remunerazione del primo deve essere tanto allettante da convincere imprese e gruppi di ricerca a mettersi in gioco, a dispetto delle probabilità.
Forse i 101 dell’appello sono preoccupati da casi come quello del vaccino per Zika: si fecero grandi passi in avanti, poi la carenza di domanda fece
E’ il caso di aggiungere a tutto questo, anche un impegno diretto nella produzione? Già semplicemente il parlarne può avere effetti perversi. L’industria si trova di fronte alla sfida non solo della nuova scoperta, ma anche di trasformarla in qualcosa di somministrabile a milioni di persone in tempi rapidi. L’idea di consacrarne il successo con una nazionalizzazione può non essere apprezzata dai soggetti coinvolti.
Al di là delle esortazioni dei 101, una rivoluzione per i diritti di proprietà intellettuale potrebbe arrivare nel mondo post-covid, soprattutto se si confermerà lo scenario peggiore. Se, cioè, cose e persone si sposteranno con molta più difficoltà che in passato. La globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta si basa anche su uno scambio più o meno esplicito fra Paesi sviluppati, che accettano di aprire i loro mercati a manufatti a basso prezzo, e Paesi in via di sviluppo, che si impegnano a non copiare una serie di innovazioni provenienti dalle nazioni più ricche.
Il baratto
Ma se la globalizzazione dovesse fermarsi, la fine del diritto di proprietà intellettuale è da mettere in conto
Questo baratto, che è stato istituzionalizzato nell’accordo Trips del 1994, nasceva dalla ragionevole congettura che le nazioni più avanzate potessero specializzarsi in produzioni più complesse mentre i Paesi in via di sviluppo avrebbero intrapreso un più lento percorso di avvicinamento alla modernità industriale. Immaginiamo però che davvero gli scambi si facciano più rarefatti e che le filiere del valore