Flessibile e più globale: così sarà la nuova stagione
Il settore è strategico per il made in Italy: dà origine a metà delle esportazioni. Dopo il fermo per il Covid, l’appello di Aefi: fare in fretta o subiremo la concorrenza estera
C’è la fiera che si è trasformata in piattaforma ecommerce, la kermesse di fitness rinata attraverso i corsi online e la fiera del libro che ha lanciato attività in streaming. Bloccato da mesi, il settore fieristico italiano non si arrende nonostante, calcolatrice alla mano, sia stato uno dei comparti più colpiti dal lockdown. Secondo Aefi, associazione di categoria che tiene insieme 39 quartieri fieristici e organizza oltre mille manifestazioni ogni anno, lo stop forzato si è tradotto in danni per miliardi: a luglio il 75% degli associati ha denunciato una perdita superiore al 50% del fatturato. «Siamo chiusi dal 20 febbraio — spiega Giovanni Laezza, presidente di Aefi—, ad oggi sono state cancellate 88 manifestazioni internazionali e 93 nazionali. Dovevamo realizzare 947 fiere nell’anno e chiaramente recuperare i mesi perduti a causa di Covid-19 sarà impossibile».
La crisi
Un danno che a cascata interessa anche il mondo del turismo e delle aziende. Il settore fieristico, tra eventi all’estero e in Italia, coinvolge circa 20 milioni di visitatori in un anno, 13 milioni provenienti dall’estero. Si tratta di un comparto che genera affari per 60 miliardi di euro e che risulta strategico per le imprese: le manifestazioni sono infatti l’occasione per presentare i nuovi prodotti ai potenziali clienti internazionali. «Per il 75% delle aziende — sottolinea Loredana Sarti, segretario generale di Aefi — le fiere sono un’occasione fondamentale di business. Danno origine alla metà delle esportazioni e contribuiscono a far conoscere il made in Italy nel mondo». Le fiere sono infatti una vetrina
Giovanni Laezza, presidente di Aefi Associazione Esposizioni e Fiere Italiane
per milioni di Pmi che vedono in questi eventi un momento per stringere contatti e fare promozione. «Parliamo, nella maggior parte dei casi, di imprese che realizzano prodotti di nicchia. Non produzioni di massa che potrebbero essere vendute facilmente anche online», aggiunge Sarti. Che in Italia le fiere siano strategiche lo dimostrano i numeri pre Covid: il nostro Paese conta 200 mila espositori e più di 20 mila operatori a livello globale. «Se il settore non dovesse ripartire, il rischio sarebbe quello di perdere l’anno e di non poter rispettare l’impegno nei confronti degli imprenditori che ogni anno scelgono le fiere italiane per sostenere la propria crescita», aggiunge Sarti.
La reazione
La voglia di reagire alla difficoltà del momento, però, non manca agli operatori. «In questi mesi — racconta la segretaria generale — ho visto il desiderio di non arrendersi: tra manifestazioni spostate o traslate, quando possibile in versione digitale, c’è stato grande sforzo per riposizionare i calendari. Penso agli eventi online del Fuorisalone».
Certo resta la necessità di ripartire vis a vis e per farlo occorrono regole precise. Per questo da metà marzo l’associazione ha riunito un comitato ad hoc per stabilire un protocollo efficace per garantire la sicurezza degli espositori e dei visitatori. «Si tratta— spiega — di un documento puntuale che va a precisare e arricchire le indicazioni fornite dalle linee guida delle Regioni. Cerchiamo poi di aggiornarlo costantemente all’evolversi della situazione». Fondamentale però poter pianificare e organizzare le diverse attività. «Le fiere hanno bisogno di una data certa di riapertura. Siamo realisti e ci rendiamo conto che ci vorranno mesi per ripartire. Qualche coraggioso ha già organizzato delle manifestazioni seguendo le linee guida dettate dalle regioni». La data su cui puntare secondo Aefi perun vero rilancio del settore? Il primo settembre 2020. «Attendere oltre significa avvantaggiare i competitor stranieri. E non possiamo permettercelo», conclude. Fa ben sperare intanto l’approvazione da parte del governo dell’ordine del giorno al DL Rilancio per istituire un Fondo Salva fiere.