IL TORO ITALIANO CHE BATTE I BIG DELLA FORMULA 1
Alphatauri è la scuderia che ha anticipato un nuovo modello di business: nasce a Faenza (erede di Minardi) ma diventa società satellite dell’impero Red Bull. Da Vettel a Verstappen, una fucina di campioni
Era il quattordici febbraio di quest’anno: dall’hangar-7 di Salisburgo spuntano le divise bianche dell’alphatauri, i piloti sembrano astronauti, da una pedana esce la nuova monoposto. Bianchissima, elegante, per rappresentare il brand di moda dell’universo Red Bull che prende il nome da una stella nella costellazione del Toro. Il luogo è fortemente simbolico: ospita una straordinaria collezione di aerei d’epoca, elicotteri, macchine da Formula 1. L’edificio è un capolavoro di architettura moderna: 1.754 vetrate, acciaio, un ristorante stellato apprezzatissimo da Roman Abramovich, il magnate russo proprietario del Chelsea, alberi in mezzo ai caccia militari della seconda guerra Mondiale.
L’hangar è stato voluto da Dietrich Mateschitz, il patron della Red Bull. Diventato miliardario con le bevande energetiche (con capitali thailandesi), è un uomo dal senso estetico raffinato ed esigente: ha impiegato anni per mettere a punto il design della lattina e un marchio facilmente riconoscibile. Da zero ha creato un impero, sa riconoscere le aziende che valgono e rilanciarle. Se oggi a Faenza esiste una scuderia capace di battere i giganti della Formula 1, il merito è anche degli austriaci che hanno preservato quel patrimonio di cultura e conoscenze, resistendo alla tentazione di spostare tutto all’estero. In Austria, o in Inghilterra, nella F1 Valley fra Oxford e Londra dove ha sede la maggioranza dei team. Fra i quali la squadra madre Red Bull, quartiere generale a Milton Keynes. È stata fatta un’altra scelta e se l’alphatauri (ex Toro Rosso e Minardi) è cresciuta oltre le aspettative è perché il dna italiano è rimasto.
Sinergie
l’imprenditore americano a buttarsi in Formula 1.
Anche la Mercedes ha replicato lo schema, ma senza intrecci proprietari o sponsorizzazione, con la Racing Point (dal 2o21 si chiamerà Aston Martin). Servono alleanze solide per contare di più a livello politico, quando si vota per cambiare le regole o per ridiscutere la distribuzione dei premi, perché la F1 è anche questa: uno scontro continuo, fuori dalla pista, su soldi e potere. E con i budget fuori controllo degli ultimi anni a causa della complessità della tecnologia dei motori ibridi — dalla prossima stagione è stato fissato il limite di spesa di 175 milioni per ogni squadra— le partnership diventano indispensabili per ammortizzare gli enormi costi in ricerca dei top team. Mercedes e Ferrari, per esempio, arrivano a spendere più di 400 milioni l’anno. Recuperandone una parte attraverso la vendita alle scuderie clienti di motori e altre componenti, poi ci sono gli sponsor e i premi per far quadrare i conti.
Made in Italy