ALLEATI IN BORSA MA È DUELLO SULL’INDUSTRIA CON LA FRANCIA
France Relance privilegia l’offerta, ma sogna l’autosufficienza L’eliseo evita un confronto sul futuro della globalizzazione, ma può toglierci il secondo posto nella manifattura europea
France Relance, il piano francese tutto centrato sull’offerta, rappresenta, seppur indirettamente, una formidabile sfida anche per il sistema Italia? Il nostro secondo posto (per valore aggiunto) nella manifattura europea è oggettivamente a rischio-sorpasso? Non c’è stato ancora in Italia un dibattito esplicito sul Piano Macron, solo Romano Prodi si è spinto a dire che tutto sommato «quella strategia gli piace». Del resto l’attenzione si è concentrata la scorsa settimana sulle mosse preparatorie del nostro programma per il Recovery fund e sui riflessi politici delle elezioni regionali. In diversi poi hanno lodato la tempestività dell’eliseo, ma forse solo l’economista Sandro Trento sul Foglio è entrato nel merito. Eppure sarebbe utile discuterne per avere quantomeno una bussola nel difficile cammino che ci aspetta.
Consenso e progetti
L’inquilino dell’eliseo ha fatto una scelta precisa, ha orientato tutto il suo piano sull’offerta e ha messo molto in secondo piano i provvedimenti per la domanda (Parigi, si dice, ha già fatto molto più di noi per sostenere le famiglie). Maliziosamente potremmo dire che i problemi del consenso, almeno sulla carta, Macron li ha risolti calcando la mano sulla retorica. «France Relance è stato concepito con un acceleratore di sovranità», ha scritto il presidente, aggiungendo che il suo Paese non può dipendere più dagli altri per i beni essenziali, non può più rischiare interruzioni negli approvvigionamenti critici. Da una parte, dunque, c’è l’effetto mascherine, come lo ha chiamato Prodi: aver scoperto che un bene a scarso valore aggiunto non era disponibile con il timing giusto per una scelta di divisione internazionale del lavoro (che il Covid ha mostrato come straordinariamente miope). Dall’altra, volendo trasformare le risque en chance, Macron rovescia il campo e propone una Francia autosufficiente non solo per i dispositivi medici di base ma anche dal punto di vista energetico (definisce «assurda» l’importazione di idrocarburi) e addirittura tecnologicamente sovrana. Dal punto di vista del metodo non si può che applaudire France Relance, perché appare «pensato e ambizioso» come sottolinea l’economista Andrea Goldstein; ma il limite macroscopico di questa impostazione è la scomparsa del ruolo dell’europa. «Un sovranismo economico francese non serve nemmeno a loro stessi, e in primo luogo alle grandi multinazionali transalpine — chiosa Goldstein —. L’obiettivo che deve porsi l’industria francese non è certo l’autarchia, ma un recupero di competitività rispetto alla Germania. Prendiamo l’automotive: i francesi hanno delocalizzato nelle fabbriche cacciavite, i tedeschi hanno costruito il 4.0».
E commenta Alessandra Lanza di Prometeia: «Un ritorno nazionalistico è una pura follia, non c’è la dimensione necessaria per gestire queste operazioni. L’europa farebbe bene dopo aver deciso la mutualizzazione del debito a fare il passo successivo e pensarsi come una macro-area industriale che dispone di un ottimo mercato di consumatori».
È chiaro che una traduzione italiana del Plan non ha alcun senso, perché noi abbiamo ben chiaro che il nostro futuro è l’europa e che, caso mai, la nostra forza poggia troppo sui fornitori delle grandi catene del valore e poco sui prodotti finali ad alto valore aggiunto. E anche perché, osserva Fabrizio Pagani, presidente dell’associazione Minima & Moralia, che ha elaborato un suo piano per l’utilizzo dei fondi di Nextgenerationeu, non possiamo sbilanciarci sull’offerta «ma dobbiamo tener presente la domanda dandole qualche priorità».
Che fanno gli industriali
Comunque finora la Confindustria italiana, il retroterra «sindacale» dell’offerta, in attesa dell’assemblea nazionale del 29 settembre non ha fatto sua la parola d’ordine «facciamo come in Francia». Di sicuro però il Medef francese da Macron ha ottenuto molto. Pagani aggiunge però che quella che rischia di fare la differenza tra Parigi e Roma «è la capacità di implementare le scelte adottate», mentre quanto all’obiettivo dell’autosufficienza energetica sostiene che «forse prima avranno bisogno di ristrutturare diverse centrali nucleari che hanno oltre 50 anni».
Ma il valore dell’iniziativa di Macron, almeno vista da un punto giornalistico, è ampio perché per contrastare l’illusione del sovranismo economico francese ci costringe tutti a riflettere sulle tendenze della globalizzazione. È un dibattito che, anche questo, stenta a venire fuori benché si cominci a sentire l’esigenza di catalogare la fenomenologia del post-covid.
I casi
Qualche esempio: l’export cinese che riparte alla grande ma prevalentemente grazie ai mercati asiatici, i conflitti politici su Huawei e più in generale sulla politica cinese di penetrazione nei mercati occidentali, la Via della Seta che sembra andare in soffitta. Bisognerà discuterne, non ci si può mettere nell’agenda autunnale il solo smart working.
Spiega Lanza: «Non sappiamo se la regionalizzazione della globalizzazione è una tendenza vincente, a me le scelte che vengono fatte dagli Stati e dalle imprese sembrano tutte tattiche, tutte condizionate dalla risposta al Covid. C’è ancora poco di strategico». I trend più solidi come la regionalizzazione degli scambi erano già partiti prima e comunque «penso che la forza dei problemi alla fine imporrà comunque di cooperare e anche il reshoring è facile da declamare perché genera consenso unanime, ma assai difficile da implementare».
Ma i tempi di questo game, quali che siano i suoi percorsi, saranno anche i tempi dell’europa? Difficile rispondere, si può solo registrare l’ottimismo dello stesso Prodi che vede il piano Macron come un passaggio necessario (e contraddittorio) che spingerà comunque la politica industriale europea più avanti. Qualcosa che assomiglia all’eterogenesi dei fini.