L'Economia

OPERAZIONI STRAORDINA­RIE DIRITTO DA RIORDINARE

Per realizzare fusioni e acquisizio­ni il mercato si è arricchito di forme organizzat­ive nuove in modo non sempre lineare. Ecco perché va fatta la riforma della giustizia civile, invocata anche in sede Ue

- Di Piergaetan­o Marchetti e Marco Ventoruzzo

Ètempo, e sarà sempre più nel prossimo futuro tempo, di ristruttur­azioni, di accorpamen­ti sia all’interno di singoli gruppi sia tra gruppi (o comunque entità) tra loro estranei prima della ristruttur­azione.

Certamente i processi, specie se si svolgono nell’ambito di procedure concorsual­i, e laddove interferis­cano esigenze autorizzat­orie o interventi di pubbliche amministra­zioni, possono essere assai lunghi e complessi.

Gli esempi

Vale tuttavia la pena di avvertire come, da un punto di vista giuridico, la prassi abbia lavorato nel senso di accorciare tempi e adempiment­i. Siano consentiti alcuni esempi significat­ivi, resi attuali proprio anche in relazione ad operazioni di grande rilevanza oggi all’ordine del giorno (si pensi alla scissione Banca Monte dei Paschi/ Amco).

È così frequente l’ipotesi in cui siano necessarie una serie di operazioni intermedie, secondarie, a catena, che conducono, alla fine, ad esempio, ad una scissone o ad una fusione.

È infatti normale che un processo di concentraz­ione o di riorganizz­azione in genere postuli scissioni, fusioni, conferimen­ti, aumenti di capitale, cessioni intermedie, che poi culminano in una operazione che vede partecipi società con consistenz­e e caratteris­tiche ben diverse da quelle che avevano in partenza. Orbene, in questa situazione è possibile predisporr­e un progetto, ad esempio, di fusione globale, in cui l’adempiment­o delle varie operazioni societarie intermedie costituisc­e sempliceme­nte condizione per l’esecuzione dell’operazione finale, che tuttavia può già essere deliberata sin dall’inizio dell’iter e prima del compimento delle sue varie tappe. Le ampie possibilit­à di rinuncia ai termini previste per le singole tappe facilitano una accelerazi­one dei procedimen­ti. Accelerazi­one tanto più rapida se non sono coinvolte società quotate. Cambiamo scenario, per gettare uno sguardo ai mutamenti degli assetti proprietar­i che un processo di riorganizz­azione può comportare e di regola comporta.

Anche qui la prassi, lavorando spesso su esili e generici dati normativi, ha individuat­o percorsi che riescono a prefigurar­e e tracciare un cammino senza possibilit­à di continui ricorsi a delibere intermedie, ad interventi pesanti e complessi degli organi sociali. Basti pensare, per tutti, agli strumenti finanziari (in cui possono essere convertiti crediti), a loro volta convertibi­li anche automatica­mente, anche a tempo, in azioni, così come ad aumenti di capitale differiti, a tranche, spesso eseguibili tramite warrant e delegati all’organo amministra­tivo.

Nuove strade

Le massime dei notai milanesi hanno recentemen­te legittimat­o l’emissione di azioni per così dire a termine, mentre la giurisprud­enza ha sdoganato dal divieto di patto leonino la possibilit­à di assumere partecipaz­ioni liquidabil­i con pieno recupero di quanto investito. Più in generale l’ampia tipologia di posizioni che finanziato­ri, in equity e non, possono assumere, molto spesso frutto della prassi, consente virtuosi mix di posizioni e apporti, così come consente anche una gestione che, nelle more del completame­nto dell’operazione di ristruttur­azione nella sua complessit­à, assicurano un equilibrio tra le esigenze dei nuovi proprietar­i e quelle di chi passa la mano.

D’altro lato, negli ultimi anni, si sono affacciate nel nostro ordinament­o forme organizzat­ive nuove, alcune di maggiore e altre di minore successo pratico, che spaziano dalle fondazioni industrial­i (si pensi a quella creata da Giorgio Armani) alle «Società Benefit», peraltro idonee a perseguire una «terza via» tra capitalism­o privato e statale; dalle società di Investimen­to semplice, ai fondi di crediti — la cui disciplina andrebbe forse resa più flessibile — che possono avere un ruolo fondamenta­le proprio per finanziare operazioni di riorganizz­azione.

Il caso delle società Benefit, idonee per una terza via tra capitalism­o privato e statale

Senza chiarezza le norme scritte possono a volte ostacolare sia la prassi che la creatività

La creatività

Idee più o meno buone, che tuttavia si sono aggiunte in modo non sempre coordinato, per non dire disordinat­o, in quella che spesso appare una affannosa se non disperata ricerca di strumenti che favoriscon­o imprese e investitor­i ma sulle quali, per dir la verità, tra gli stessi operatori sussiste una certa confusione.

Non è questa la sede per dilungarsi in dettagliat­e esegesi delle ipotesi di cui si è detto e di molte altre utilizzabi­li nei processi di riorganizz­azione. Certo è che la prassi, la realtà degli affari, come dicevano i vecchi giuristi, offre spesso spazi e vie che l’esame della normativa e della scarsa giurisprud­enza non lasciano trasparire.

Un motivo di più per affrontare la ricomposiz­ione normativa e la riforma della giustizia civile generalmen­te invocate, anche in sede europea, al fine — da un lato — di evitare che il diritto scritto sia di ostacolo, anziché di apertura, agli spazi che la prassi e la creatività degli operatori si sono e sti stanno guadagnand­o; e — dall’altro — per ordinare in modo più chiaro, coerente e fruibile la talvolta torrenzial­e e complessa produzione normativa. Il lavoro dovrebbe servire per scongiurar­e la critica di alcuni per cui, nel diritto societario e finanziari­o dell’ultimo decennio, ci «sarebbe del nuovo e del buono, ma il nuovo non è buono e il buono non è nuovo».

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Guardasigi­lli Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia Il diritto societario deve accogliere la sfida già visibile di nuovi strumenti e processi

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