OPERAZIONI STRAORDINARIE DIRITTO DA RIORDINARE
Per realizzare fusioni e acquisizioni il mercato si è arricchito di forme organizzative nuove in modo non sempre lineare. Ecco perché va fatta la riforma della giustizia civile, invocata anche in sede Ue
Ètempo, e sarà sempre più nel prossimo futuro tempo, di ristrutturazioni, di accorpamenti sia all’interno di singoli gruppi sia tra gruppi (o comunque entità) tra loro estranei prima della ristrutturazione.
Certamente i processi, specie se si svolgono nell’ambito di procedure concorsuali, e laddove interferiscano esigenze autorizzatorie o interventi di pubbliche amministrazioni, possono essere assai lunghi e complessi.
Gli esempi
Vale tuttavia la pena di avvertire come, da un punto di vista giuridico, la prassi abbia lavorato nel senso di accorciare tempi e adempimenti. Siano consentiti alcuni esempi significativi, resi attuali proprio anche in relazione ad operazioni di grande rilevanza oggi all’ordine del giorno (si pensi alla scissione Banca Monte dei Paschi/ Amco).
È così frequente l’ipotesi in cui siano necessarie una serie di operazioni intermedie, secondarie, a catena, che conducono, alla fine, ad esempio, ad una scissone o ad una fusione.
È infatti normale che un processo di concentrazione o di riorganizzazione in genere postuli scissioni, fusioni, conferimenti, aumenti di capitale, cessioni intermedie, che poi culminano in una operazione che vede partecipi società con consistenze e caratteristiche ben diverse da quelle che avevano in partenza. Orbene, in questa situazione è possibile predisporre un progetto, ad esempio, di fusione globale, in cui l’adempimento delle varie operazioni societarie intermedie costituisce semplicemente condizione per l’esecuzione dell’operazione finale, che tuttavia può già essere deliberata sin dall’inizio dell’iter e prima del compimento delle sue varie tappe. Le ampie possibilità di rinuncia ai termini previste per le singole tappe facilitano una accelerazione dei procedimenti. Accelerazione tanto più rapida se non sono coinvolte società quotate. Cambiamo scenario, per gettare uno sguardo ai mutamenti degli assetti proprietari che un processo di riorganizzazione può comportare e di regola comporta.
Anche qui la prassi, lavorando spesso su esili e generici dati normativi, ha individuato percorsi che riescono a prefigurare e tracciare un cammino senza possibilità di continui ricorsi a delibere intermedie, ad interventi pesanti e complessi degli organi sociali. Basti pensare, per tutti, agli strumenti finanziari (in cui possono essere convertiti crediti), a loro volta convertibili anche automaticamente, anche a tempo, in azioni, così come ad aumenti di capitale differiti, a tranche, spesso eseguibili tramite warrant e delegati all’organo amministrativo.
Nuove strade
Le massime dei notai milanesi hanno recentemente legittimato l’emissione di azioni per così dire a termine, mentre la giurisprudenza ha sdoganato dal divieto di patto leonino la possibilità di assumere partecipazioni liquidabili con pieno recupero di quanto investito. Più in generale l’ampia tipologia di posizioni che finanziatori, in equity e non, possono assumere, molto spesso frutto della prassi, consente virtuosi mix di posizioni e apporti, così come consente anche una gestione che, nelle more del completamento dell’operazione di ristrutturazione nella sua complessità, assicurano un equilibrio tra le esigenze dei nuovi proprietari e quelle di chi passa la mano.
D’altro lato, negli ultimi anni, si sono affacciate nel nostro ordinamento forme organizzative nuove, alcune di maggiore e altre di minore successo pratico, che spaziano dalle fondazioni industriali (si pensi a quella creata da Giorgio Armani) alle «Società Benefit», peraltro idonee a perseguire una «terza via» tra capitalismo privato e statale; dalle società di Investimento semplice, ai fondi di crediti — la cui disciplina andrebbe forse resa più flessibile — che possono avere un ruolo fondamentale proprio per finanziare operazioni di riorganizzazione.
Il caso delle società Benefit, idonee per una terza via tra capitalismo privato e statale
Senza chiarezza le norme scritte possono a volte ostacolare sia la prassi che la creatività
La creatività
Idee più o meno buone, che tuttavia si sono aggiunte in modo non sempre coordinato, per non dire disordinato, in quella che spesso appare una affannosa se non disperata ricerca di strumenti che favoriscono imprese e investitori ma sulle quali, per dir la verità, tra gli stessi operatori sussiste una certa confusione.
Non è questa la sede per dilungarsi in dettagliate esegesi delle ipotesi di cui si è detto e di molte altre utilizzabili nei processi di riorganizzazione. Certo è che la prassi, la realtà degli affari, come dicevano i vecchi giuristi, offre spesso spazi e vie che l’esame della normativa e della scarsa giurisprudenza non lasciano trasparire.
Un motivo di più per affrontare la ricomposizione normativa e la riforma della giustizia civile generalmente invocate, anche in sede europea, al fine — da un lato — di evitare che il diritto scritto sia di ostacolo, anziché di apertura, agli spazi che la prassi e la creatività degli operatori si sono e sti stanno guadagnando; e — dall’altro — per ordinare in modo più chiaro, coerente e fruibile la talvolta torrenziale e complessa produzione normativa. Il lavoro dovrebbe servire per scongiurare la critica di alcuni per cui, nel diritto societario e finanziario dell’ultimo decennio, ci «sarebbe del nuovo e del buono, ma il nuovo non è buono e il buono non è nuovo».