Il fattore dollaro
Se guardiamo ai «future» sul dollaro (al Cftc) si direbbe che la valuta americana dovrebbe indebolirsi ulteriormente: le posizioni al ribasso rappresentano la terza tendenza intrapresa dagli investitori, secondo il sondaggio realizzato in settembre da Bank of America, come ogni mese, su un panel molto rappresentativo di money manager. Ma la schiera dei ribassisti s’è assottigliata da agosto e conta appena il 6% degli operatori.
L’aria sta cambiando, scrivono gli analisti di Jpmorgan, perché le condizioni finanziarie sono mutate: in Eurozona sono diventate (relativamente) più restrittive proprio a causa del rafforzamento dell’euro, negli Stati Uniti più espansive. Inoltre, è venuto meno il fattore che più aveva contribuito alla debolezza del dollaro, poiché i contagi da coronavirus stanno calando negli Usa, ma crescendo in Europa. Infine, la decisione della Fed di tollerare un’inflazione superiore al 2%, assicura condizioni espansive per altri tre anni. Per questa ragione la banca guidata da Jamie Dimon (nella foto a fianco) non crede che il dollaro possa indebolirsi ulteriormente. Anche Bofa vede la valuta risalire a 1,14 sull’euro per fine anno. Va da sé che, con queste prospettive, vadano scemando anche le speranze di una miglior andamento delle borse europee rispetto a Wall Street.