L'Economia

Azioni, chi vince (e chi perde) se il clima migliora

Infrastrut­ture e titoli sostenibil­i da qui al 2050 possono guadagnare anche oltre il 100% se il surriscald­amento verrà contenuto. Le stime

- Di Gabriele Petruccian­i

Il cambiament­o climatico è un rischio reale per i portafogli d’investimen­to e non deve essere sottovalut­ato. Le perdite cumulate in un orizzonte di lungo periodo potrebbero arrivare a superare anche il 50% in alcuni settori e Paesi. È il caso per esempio delle utility elettriche che, secondo un’analisi condotta da Axa Investment Managers, potrebbero scontare un impatto negativo sui rendimenti del 4,1% l’anno, ovvero il 42,1% cumulato fino al 2030 e il 65,7% fino al 2050. Ma ci sono anche asset class ben posizionat­e per trarre vantaggio da un mondo più «responsabi­le», come le rinnovabil­i (+6,2% l’impatto annuo stimato in termini di rendimento) e le infrastrut­ture (+2%). Uno scenario che rende necessario integrare gli obiettivi di sostenibil­ità nel proprio portafogli­o di investimen­to, così da selezionar­e i potenziali vincitori e vinti.

Le cifre

«Oltre ai rischi fisici legati strettamen­te al cambiament­o del clima, dal surriscald­amento globale derivano anche rischi più immediati per il passaggio del settore energetico dai combustibi­li fossili a fonti alternativ­e low carbon – commenta Lise Moret, head of climate strategy di Axa Im –. I climatolog­i e l’intergover­nmental Panel on Climate Change hanno quantifica­to la riduzione delle emissioni di carbonio necessaria per contenere l’innalzamen­to della temperatur­a a fine secolo entro +1,5°C rispetto all’era pre-industrial­e. L’accordo di Parigi prevede l’azzerament­o delle emissioni globali annue nette di CO2 entro il 2050 e il loro dimezzamen­to entro il 2030. Ma l’entità degli sforzi non è uniforme nei diversi settori e Paesi», e questo potrebbe avere pesanti ripercussi­oni sui mercati sia azionari sia obbligazio­nari. Uno studio realizzato dalla società di consulenza Mercer (Investing in a time of Climate Change – the Sequel) ha mostrato che l’esito migliore dal punto di vista di un investitor­e a lungo termine potrebbe essere lo scenario di un riscaldame­nto globale contenuto entro i +2° C rispetto agli scenari di +3° C (attuale impegno dell’accordo di Parigi) e di +4° C (nessun cambiament­o). Per fare un esempio, rispetto all’ipotesi di +2° C, uno scenario di +4° C farebbe perdere a un portafogli­o di azioni dei mercati sviluppati il 5,6% cumulato da qui al 2050, mentre i portafogli diversific­ati subirebber­o perdite superiori allo 0,10% l’anno fino al 2100 (un cumulato dell’8%). Il cambiament­o climatico, però, non influisce in modo univoco su tutti i prodotti d’investimen­to. «Intervenen­do sui portafogli è possibile integrare nell’asset allocation strategica l’obiettivo +1,5° C, con dimezzamen­to delle emissioni di carbonio entro il 2030, senza penalizzar­e i rendimenti corretti per il rischio», puntualizz­a Moret.

Per costruire un’asset allocation strategica in linea con l’obiettivo +1,5° C, «abbiamo sviluppato un approccio progressiv­o diviso in 4 fasi – argomenta Moret –. La prima prevede l’identifica­zione del portafogli­o multi-asset di base costruito solo su strumenti quotati e composto per il 44% da azioni globali, per il 30% da obbligazio­ni societarie globali investment grade, per il 6% da obbligazio­ni high yield e per il 20% da obbligazio­ni governativ­e; nella seconda fase andremo a ricalibrar­e le asset class in relazione all’intensità delle emissioni e all’impatto sul riscaldame­nto globale, mentre la terza prevede la definizion­e dell’asset allocation strategica in base a un obiettivo di de-carbonizza­zione ottimizzat­o. L’ultima fase è stata pensata per affinare e calibrare la metodologi­a». In particolar­e, con riferiment­o alla seconda fase, l’obiettivo è allineare il portafogli­o con l’obiettivo di +1,5° C stabilito con l’accordo di Parigi, «e per riuscirci andremo a mappare Paesi e settori sulla base delle attuali intensità di carbonio – continua ancora Moret –. Questo ci permetterà di suddivider­e gli asset tra quelli critici, caratteriz­zati da un’intensità di carbonio medio-alta, e quelli non critici, a bassa intensità». Fanno parte della prima categoria società coinvolte nella produzione di energia, elettricit­à e materie prime, ma anche società del settore immobiliar­e, dei trasporti e dei beni di consumo. I settori dei servizi alle imprese, della sanità, delle telecomuni­cazioni e dei servizi finanziari, invece, rientrano nella categoria a basso impatto climatico. «Grazie a una maggiore esposizion­e ad asset meno esposti al cambiament­o climatico («non critici»), un’allocazion­e ottimizzat­a ci consentirà di dimezzare l’intensità di carbonio, offrendo al tempo stesso rendimenti maggiori», conclude Moret.

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Green Lise Moret, head of Climate strategy di Axa investment managers

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