Small cap, scommettere sul sorpasso
I big vanno meglio, ma non sarà per sempre. Le nuove quotazioni sono tutte di «piccoli». La ripartenza dei Pir
Non è certo un vento favorevole quello che da qualche anno spira sulle small cap. Ma, dopo il forte rally delle Big, in molti ora sono pronti a scommettere su una rotazione di stile dei portafogli, a tutto beneficio delle piccole taglie azionarie. «Il contesto di breve periodo rimane sfidante, ma allo stesso tempo la crescente volatilità dovrebbe creare delle finestre per entrare nel mercato in ottica strategica e con un orizzonte di lungo termine — commenta Curt Organt, gestore del fondo T. Rowe Price Funds Sicav Us Smaller Companies Equity —. Essendo più agili e meno legate ad aspetti burocratici, le small cap tendono a rispondere più velocemente ai cambiamenti. E molto probabilmente, quando l’economia comincerà a riprendersi, saranno le prime a beneficiarne, come già successo nei cicli precedenti».
Da inizio anno, gli indici delle società a più bassa capitalizzazione sono tutti in calo: l’msci World Small Cap sta perdendo l’8,85%, l’msci Europe Small Cap è in calo del 13,50%, mentre il benchmark americano, il Russell 2000, fa segnare un -7,98%. Ma, soprattutto, complice la pandemia, quest’anno si è ampliato il divario con gli indici a più larga capitalizzazione. Per esempio, negli Stati Uniti, L’S&P 500 sta guadagnando da gennaio il 6,07%, mentre su 2 anni sale del 18,30% (-11,43% il Russell 2000). Un trend che, come sottolinea Fausto Artoni, cofondatore e presidente di Impact Sim, è stato alimentato «dalla diffusione di strumenti passivi come gli Etf, che oggi generano circa i due terzi degli scambi giornalieri. Sì, perché la riduzione delle gestioni attive penalizza anche le società a bassa capitalizzazione». Quindi, oltre a un miglioramento del quadro macro, per favorire una ripresa delle small cap è necessario anche che «i gestori attivi tornino a fare meglio degli strumenti passivi». Qualcuno lo sta già facendo, come Aberdeen, Threadneedle e Montanaro am, che con i loro fondi specializzati sulle small cap stanno guadagnando da inizio anno tra il 5% e il 6% (dati Morningstar), o come Baillie Gifford im (Europe) Limited, che è in attivo addirittura del 28,42%.
Negli ultimi anni si è creata un’anomalia di valutazioni, «con molte aziende quotate tra le small cap che presentano multipli inferiori a quelli pagati dai fondi di private equity fuori mercato», precisa Artoni. Un ritorno ai fondamentali, quindi, non potrà che fare del bene alle piccole. «Per gli investitori attivi, la minor efficienza delle small cap rende il segmento particolarmente attraente – fa notare Organt di T. Rowe Price –. Meno copertura c’è da parte di analisti e investitori, maggiori sono le opportunità sul mercato». Secondo Artoni, poi, in Italia lo scenario delle small cap è ancora più promettente, considerando che il gap di performance tra grandi e piccole è meno evidente (l’ftse Mib perde da inizio anno il 5,87%, mentre l’ftse Small Cap è in calo del 10,4%): «nella Penisola stiamo assistendo da alcuni anni a un fenomeno molto importante, la quotazione di società medio-piccole, che sono la forza e la peculiarità del tessuto industriale domestico».
Le opzioni
Uno sviluppo agevolato anche dalla creazione dell’aim, e dalla nascita dei Pir (Piani individuali di risparmio). E ora, il ritorno alle origini dei Piani (una modifica introdotta con la Legge di Bilancio 2019 aveva di fatto ingessato il mercato) potrebbe favorire la quotazione di nuove società e dare un impulso al settore. «Anche se il vantaggio fiscale dato al cliente con i Pir non basta da solo a garantire la crescita di un segmento di mercato. Quello che serve sono aziende di buona qualità, capaci di relazionarsi con azionisti di minoranza in modo corretto e con la volontà di crescere nel lungo periodo», aggiunge ancora Artoni. E in tal senso l’italia è ricca di occasioni, «con una diversificazione settoriale che spazia dal farmaceutico all’alimentare, dalla tecnologia alla meccatronica», conclude.