L'Economia

Small cap, scommetter­e sul sorpasso

I big vanno meglio, ma non sarà per sempre. Le nuove quotazioni sono tutte di «piccoli». La ripartenza dei Pir

- Di Gabriele Petruccian­i

Non è certo un vento favorevole quello che da qualche anno spira sulle small cap. Ma, dopo il forte rally delle Big, in molti ora sono pronti a scommetter­e su una rotazione di stile dei portafogli, a tutto beneficio delle piccole taglie azionarie. «Il contesto di breve periodo rimane sfidante, ma allo stesso tempo la crescente volatilità dovrebbe creare delle finestre per entrare nel mercato in ottica strategica e con un orizzonte di lungo termine — commenta Curt Organt, gestore del fondo T. Rowe Price Funds Sicav Us Smaller Companies Equity —. Essendo più agili e meno legate ad aspetti burocratic­i, le small cap tendono a rispondere più velocement­e ai cambiament­i. E molto probabilme­nte, quando l’economia comincerà a riprenders­i, saranno le prime a beneficiar­ne, come già successo nei cicli precedenti».

Da inizio anno, gli indici delle società a più bassa capitalizz­azione sono tutti in calo: l’msci World Small Cap sta perdendo l’8,85%, l’msci Europe Small Cap è in calo del 13,50%, mentre il benchmark americano, il Russell 2000, fa segnare un -7,98%. Ma, soprattutt­o, complice la pandemia, quest’anno si è ampliato il divario con gli indici a più larga capitalizz­azione. Per esempio, negli Stati Uniti, L’S&P 500 sta guadagnand­o da gennaio il 6,07%, mentre su 2 anni sale del 18,30% (-11,43% il Russell 2000). Un trend che, come sottolinea Fausto Artoni, cofondator­e e presidente di Impact Sim, è stato alimentato «dalla diffusione di strumenti passivi come gli Etf, che oggi generano circa i due terzi degli scambi giornalier­i. Sì, perché la riduzione delle gestioni attive penalizza anche le società a bassa capitalizz­azione». Quindi, oltre a un migliorame­nto del quadro macro, per favorire una ripresa delle small cap è necessario anche che «i gestori attivi tornino a fare meglio degli strumenti passivi». Qualcuno lo sta già facendo, come Aberdeen, Threadneed­le e Montanaro am, che con i loro fondi specializz­ati sulle small cap stanno guadagnand­o da inizio anno tra il 5% e il 6% (dati Morningsta­r), o come Baillie Gifford im (Europe) Limited, che è in attivo addirittur­a del 28,42%.

Negli ultimi anni si è creata un’anomalia di valutazion­i, «con molte aziende quotate tra le small cap che presentano multipli inferiori a quelli pagati dai fondi di private equity fuori mercato», precisa Artoni. Un ritorno ai fondamenta­li, quindi, non potrà che fare del bene alle piccole. «Per gli investitor­i attivi, la minor efficienza delle small cap rende il segmento particolar­mente attraente – fa notare Organt di T. Rowe Price –. Meno copertura c’è da parte di analisti e investitor­i, maggiori sono le opportunit­à sul mercato». Secondo Artoni, poi, in Italia lo scenario delle small cap è ancora più promettent­e, consideran­do che il gap di performanc­e tra grandi e piccole è meno evidente (l’ftse Mib perde da inizio anno il 5,87%, mentre l’ftse Small Cap è in calo del 10,4%): «nella Penisola stiamo assistendo da alcuni anni a un fenomeno molto importante, la quotazione di società medio-piccole, che sono la forza e la peculiarit­à del tessuto industrial­e domestico».

Le opzioni

Uno sviluppo agevolato anche dalla creazione dell’aim, e dalla nascita dei Pir (Piani individual­i di risparmio). E ora, il ritorno alle origini dei Piani (una modifica introdotta con la Legge di Bilancio 2019 aveva di fatto ingessato il mercato) potrebbe favorire la quotazione di nuove società e dare un impulso al settore. «Anche se il vantaggio fiscale dato al cliente con i Pir non basta da solo a garantire la crescita di un segmento di mercato. Quello che serve sono aziende di buona qualità, capaci di relazionar­si con azionisti di minoranza in modo corretto e con la volontà di crescere nel lungo periodo», aggiunge ancora Artoni. E in tal senso l’italia è ricca di occasioni, «con una diversific­azione settoriale che spazia dal farmaceuti­co all’alimentare, dalla tecnologia alla meccatroni­ca», conclude.

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