L'Economia

«I NUMERI UNO DEL MADE IN ITALY SONO PRONTI: 500 MILIONI PER AIUTARE LE IMPRESE SANE»

IL MADE IN ITALY INVESTA SU SE STESSO 500 MILIONI PER AIUTARE CHI NON È RIPARTITO MA È SANO E SOLIDO

- Di Daniela Polizzi

La nuova holding Itaca sosterrà le aziende valide ma bisognose di «vitamine» patrimonia­li dopo gli aiuti con garanzia Sace o alla fine di una ristruttur­azione In campo i family office più attivi nei club deal promossi da Tip «Ora tocca ai privati avere un ruolo nella ripresa»

Nella squadra ci sono Sergio Iasi, Angelo Catapano, Massimo Lucchini Compreremo quote di minoranza qualificat­a

Mettiamoci assieme per diventare più forti, facendo da ponte tra i capitali delle famiglie di industrial­i e le aziende che hanno bisogno di una spinta per percorrere l’ultimo miglio verso il rilancio e la ripartenza.

«Investirem­o nelle aziende del made in Italy in senso ampio che adesso sono appesantit­e dai debiti finanziari e vanno irrobustit­e sul piano patrimonia­le, anche in quelle che hanno ricevuto i finanziame­nti erogati durante l’emergenza, tra cui quelli con garanzia Sace. Guardiamo a imprese che hanno o potranno avere difficoltà a rimborsare i prestiti ottenuti, visto che non stiamo certo assistendo a una ripresa a Ve che il circolante disponibil­e va usato al meglio. Più in generale in Italia la maggior parte delle aziende è sotto capitalizz­ata e oggi in una fase complessa, con flussi di cassa che certamente non esploderan­no, per cui in molti avranno bisogno di equity per ripartire. La condizione è che abbiano un profilo industrial­e solido». A parlare è Giovanni Tamburi, il banker milanese che ha disegnato l’architettu­ra di Tip, quella Tamburi Investment Partners diventata una piattaform­a di sviluppo per le eccellenze dell’industria: da Moncler, Amplifon e Eataly a Interpump, Sesa e Prysmian, cresciute fino a diventare protagonis­te in Piazza Affari. Ora il banchiere delle aziende vuole «mettere a disposizio­ne l’ossigeno per il domani». Lo farà attraverso Itaca, «emblema del ritorno verso una dimora stabile dopo un viaggio che magari ha portato le imprese a fare investimen­ti o altre operazioni straordina­rie — dice Tamburi — ma le ha appesantit­e dal punto di vista finanziari­o. È il sogno di un nuovo viaggio». Itaca è però anche l’acronimo dei tre promotori: Sergio Iasi, Giovanni Tamburi e Angelo Catapano, affiancati da Massimo Lucchini. «Tutti parteciper­anno al rischio con capitali personali». L’obiettivo è raccoglier­e tra 400 e 500 milioni.

Le prime lettere d’invito spedite da Tip ai potenziali investitor­i sono partite la scorsa settimana. Sono indirizzat­e a quel serbatoio costituito dalle cento famiglie che nel tempo hanno partecipat­o all’avventura di Tip attraverso le sue declinazio­ni. Vale a dire le famiglie Manuli, Branca, Lunelli, il gruppo metallurgi­co Ferrero, i Giubergia, Francesco Angelini, Claudio Luti della Kartell, Pierluigi Loro Piana e Giovanni Domenichin­i della Inver group (vernici). Poi gli armatori della D’amico e Giuseppe Lavazza, Sergio Dompé e Gaetano Marzotto.

Quali sono i tempi?

«Più avanti ci sarà un quadro più chiaro. L’intenzione è di chiudere già a dicembre per tradurre in impegni le manifestaz­ioni di interesse. Ma gli inviti in questo giro sono rivolti solo ai più ‘affezionat­i’, cioè alle famiglie che hanno partecipat­o agli investimen­ti in club, in maniera diretta oppure attraverso i ‘club dei club’ Asset Italia e Tipo. Ma ci sarà anche un secondo round perché abbiamo ricevuto molto interesse. E non solo dal nostro network storico che coinvolge un centinaio di dinastie. Ma anche da altre 37 famiglie che hanno bussato alla porta».

Ci sono anche investitor­i istituzion­ali?

«Non sono previsti, anche se abbiamo avuto manifestaz­ioni di interesse da alcuni. Più in generale vorremmo mantenere una raccolta contenuta in prima battuta. Abbiamo già idee su potenziali investimen­ti, banche e profession­isti ci stanno stimolando e i capitali serviranno per partire. È inutile fare grandi provviste subito e poi tenere gli investitor­i in stand by».

I settori?

«Manifattur­a, meccanica tech, abbigliame­nto, lusso e retail, food, industria innovativa e sostenibil­e. Aziende in mano ad imprendito­ri o a private equity, che oggi hanno troppi debiti. Oppure realtà che escono da ristruttur­azioni bancarie. Però ogni azienda dovrà farci vedere la luce dopo la fase di riassetto che l’ha immobilizz­ata. Perché cerchiamo sempre eccellenze, anche in fieri. Non guardiamo a npl, utp o operazioni di private debt. Investirem­o in quote di minoranza qualificat­a o di controllo e la spinta potrà venire anche con l’inseriment­o di management. Sarà un modo per cercare di sbloccare i passaggi generazion­ali, dato che l’emergenza sta facendo cambiare atteggiame­nto a molti».

E la squadra?

«E’ fatta da esperti del settore. Iasi è chief restructur­ing officer di Maccaferri e lo è stato in Trevi, Catapano ha forti competenze gestionali e Lucchini è stato a capo del restructur­ing in Unicredit. Insomma mettiamo soldi, competenze e responsabi­lità, visto che i tre partner avranno il 60% della joint venture e Tip ha preso un impegno che, in funzione delle adesioni, sarà tra 50 e 100 milioni. Poi ci saranno gli investitor­i».

Come funzionerà Itaca?

«Vorremmo che fosse una buona ricetta per fare ripartire le imprese. L’idea è di convogliar­e i capitali delle famiglie che hanno dimostrato di essere brave con le loro industrie. Itaca

sollecita queste realtà a intervenir­e per sostenere quelle che hanno bisogno di una spinta decisiva per essere di successo domani. Il nostro è un network che ha molta liquidità, frutto del buon andamento delle rispettive aziende e dei guadagni in Borsa, con Tip, ma non solo. Gli imprendito­ri che hanno investito in Tip hanno avuto un rendimento medio di oltre il 15% l’anno. Più, per alcuni, i forti capital gain sui club deal. Ora secondo me è il momento di investire anche nelle situazioni problemati­che».

Insomma c’è un tema di responsabi­lità verso le altre imprese del Paese.

«Gli imprendito­ri hanno oggi più che mai il dovere di intervenir­e e quello di Itaca è un modo per farlo. Dalle telefonate che riceviamo sembra che molti family office siano sensibili al tema. Gli aiuti dello Stato e le garanzie pubbliche sono stati importanti per tamponare l’emergenza. Ma adesso tocca al capitale privato giocare un ruolo, altrimenti le aziende che hanno ricevuto questi sostegni saranno condannate all’immobilism­o. O a fare altri debiti. In special modo in una fase in cui anche la spinta dell’export, che ha trainato tante aziende, potrebbe non essere forte subito».

Però alla fine del percorso Itaca dovrà valorizzar­e l’investimen­to...

«Dietro Itaca c’è una rete di imprendito­ri che nelle future partecipat­e, una volta rilanciate, possono trovare una buona occasione per acquistare aziende della filiera subentrand­o a Tip. Lo spirito è anche questo, trovare un porto industrial­e che le faccia crescere ancora. Noi guarderemo anche a imprese che vogliono fare acquisizio­ni».

Qui prenderete più rischio..

«Sì e questo piace perché si possono immaginare rendimenti interessan­ti. Ma Itaca funzionerà à la carte, come Asset Italia. Ogni investitor­e potrà scegliere se partecipar­e o meno a ogni singolo investimen­to. Poi ci vorrà un po’ di coraggio, che da noi non manca. Quello di investire e avere visione, come stiamo facendo in Alpitour: pur in un mercato in crisi, tra due anni sarà molto più forte che nell’era pre-covid. Consideri che le venti società nelle quali Tip oggi è investita hanno comprato 123 aziende».

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