La ripartenza del biotech
Mai come ora le biotecnologie sono state al centro dei progetti del Paese, per l’emergenza Covid e la sicurezza alimentare «Uniscono produzione di ricchezza e tutela dell’ambiente», dice Assobiotec. Che sollecita il governo ad accettare tutti i fondi Ue
Per la bioeconomia — intesa come economia basata sulle risorse biologiche, naturali, dalla terra, dal mare, dai rifiuti e supportata dalle biotecnologie — è il momento della riscossa. Finora chiusa in un ruolo secondario, sta diventando centrale dopo le due emergenze contemporanee, la sicurezza sanitaria (Covid, ma non solo) e quella ambientale. Il settore cresce, ha in programma eventi a raffica: in testa, settimana prossima, la Biotech week dal 28 settembre al 4 ottobre, con dentro l’1 e 2 ottobre l’ifib, il forum internazionale sulle biotecnologie industriali e la bioeconomia.
Il patto
Ora cerca la collaborazione pubblicoprivato per accelerare sui progetti per l’industria, la salute, l’agricoltura. E confida nell’accoglimento delle risorse del Mes per il rilancio della sanità, territoriale e innovativa. Sui temi urgenti del settore verrà presentato un documento al governo il 9 novembre da Assobiotec Federchimica, l’associazione confindustriale di categoria. Nasce dai tavoli di lavoro del «Progetto biotech, il futuro migliore», è centrato sulle scienze della vita e altre parti della bioeconomia come la «plant based economy», l’economia basata sulle piante. Verrà affiancato da un manifesto con proposte concrete per la ripartenza del Paese. Vi è impegnato il presidente dell’associazione e amministratore delegato di Molmed, Riccardo Palmisano, con altri rappresentanti come Elena Sgaravatti, cofondatrice di Dembiotech e nel consiglio di presidenza di Assobiotec Federchimica. Entrambi chiedono al pubblico «un’alleanza». Significa facilitazioni fiscali, snellimento burocratico, coinvestimenti, ma anche impianti comuni di sperimentazione, per produzioni biotech più efficienti. Perché il biotech aumenti l’occupazione e il Pil. Secondo l’ultimo studio di Intesa Sanpaolo con Assobiotec Federchimica e il cluster Spring, già nel 2018 la bioeconomia in Italia valeva 345 miliardi, terzo posto in Europa dopo Germania (414 miliardi) e Francia (359 miliardi): +2,2% dal 2017, cioè 7 miliardi di euro in più. «Ora gli occupati superano i 2 milioni — dice Sgaravatti —. La rivoluzione della bioeconomia è in corso, ma richiede uno sforzo comune. Serve un piano concreto e integrato fra governo e imprese». La novità è che «con le biotecnologie si concilia la crescita economica con il rispetto dell’ambiente», due concetti fino a ieri divergenti. «Prima la produzione di ricchezza coincideva con l’aumento dell’inquinamento — dice Sgaravatti —, poi anche l’ocse ha detto che l’uso delle biotecnologie, che nell’alimentare si sono sganciate dagli Ogm, aumenta il benessere generale insieme con la tutela dell’ambiente. È un cambio di paradigma». Ma le biotech sono costose. «Vero — dice Sgaravatti —. Ma anche il passaggio dalla candela alla lampadina ha avuto un costo. Serve visione, il risparmio si vedrà più avanti. Non possiamo permetterci di aspettare». È chiaro comunque che per sviluppare le biotecnologie serve denaro. Perciò Palmisano auspica che il governo italiano accetti i 40 miliardi di prestito dal Mes, il fondo europeo di stabilità, denaro che andrebbe destinato alla sanità: «Spero che si mettano d’accordo». Soldi a tasso negativo o zero che andrebbero ad aggiungersi a Recovery fund da 208,8 miliardi per l’italia.
«Il flusso di denaro che arriverà è irripetibile — dice il presidente di Assobiotec —. Queste risorse liberano liquidità che può andare nelle imprese e nell’occupazione». Non direttamente, certo, o «sarebbero aiuti di Stato».
Ma «nel sistema, perché il ruolo delle biotech diventi davvero un motore». La leva è il trasferimento tecnologico, sull’esempio di progetti come lo Humane Technopole. Dietro, c’è sempre un investimento in ricerca fermo all’1,3% del Pil, contro l’obiettivo del 3% dell’agenda Ue 2020. Fra gli esempi d’investimento, Palmisano cita i «centri catapulta» britannici e svedesi: incubatori comuni a disposizione delle startup con strumenti, personale, laboratori, anche nelle scienze della vita. «In Italia si potrebbero costituire a Milano, a Bagnoli con l’università Federico
II, a Torino dove c’è già il parco scientifico». Lo scopo è «riconvertire il tessuto farmaceutico in biotech», , anche partendo dai siti che ci sono già. Il metodo, «non solo la detassazione, ma anche «i coinvestimenti pubblicoprivato. Pure con gruppi esteri come in Francia, dove Astra Zeneca costruirà uno stabilimento biotech: il governo Macron la supporta». Certo anche le italiane, «come Menarini che sta costruendo un nuovo impianto», vanno aiutate. Ma «sugli investimenti bisogna essere laici e competitivi».