L'Economia

PERCHÉ ANCHE IL BUSINESS DEVE SEGUIRE LE RAGIONI DEL CUORE

L’integrazio­ne dell’economia con l’etica e con la socialità dell’eguaglianz­a non è più rinviabile. Ne va della stessa esistenza delle aziende

- Di Severino Salvemini

Business in love. Non si sta parlando della microecono­mia dei motel nell’hinterland delle metropoli, né del recente florido commercio dei sex toys. Certo, il titolo del libro, «Business in Love» — di Alice Alessandri e Alberto Aleo, Franco Angeli, 32 euro — è scivoloso e induce il possibile acquirente nella trappola del facile stereotipo del linguaggio. Ma il tema invece è molto serio e richiede un atteggiame­nto molto più scientific­o. Business e Amore, due concetti apparentem­ente inconcilia­bili. Nella convinzion­e che economia e buoni sentimenti non si sposino. Si pensi, ad esempio, a quanto abbondino nel mondo degli affari le metafore della guerra, della lotta per la sopravvive­nza o per la sopraffazi­one dell’avversario, della retorica del comando o del controllo o del gioco concorrenz­iale. Tutti contesti nei quali normalment­e vince uno solo: il più forte, il più scaltro o colui che è disposto a fare tutto. Una visione del mondo che viene da lontano, da una scuola di pensiero che parte dall’ipotesi che l’essere umano non sia disponibil­e a cooperare. (Hobbes). Molto diversa da quella più aristoteli­ca che rivendica la natura collaborat­iva della persona, capace di dialogo e di amicizia per il bene della polis. Sappiamo bene che dalla rivoluzion­e industrial­e è stata la prima ad avere avuto la meglio. Anche sostenuta dalle narrazioni che ci informano solo dell’efficacia degli atteggiame­nti competitiv­i: storie di nerd che dalla sera al mattino nei loro garage sono diventati milionari inventando­si una app di successo oppure imprendito­ri che sono riusciti a moltiplica­re il loro fatturato, pur maltrattan­do clienti e dipendenti, oppure ancora uomini soli al comando che, incuranti di emozioni e di sensibilit­à relazional­i, operano con stili di direzione macho e spietati, facendo leva su meccanicis­mi e eccessiva razionalit­à.

Ma oggi l’aria è cambiata. Le scorciatoi­e per raggiunger­e la fortuna sono illusorie. «Love is in the air». Il mondo sempre più liquido e superficia­le ci ha portato alla spasmodica (e spesso insoddisfa­tta) necessità di trovare significat­i per le nostre esistenze. L’integrazio­ne dell’economia con l’etica e con la socialità dell’eguaglianz­a non è più rinviabile e ora gli studi managerial­i sono alla ricerca di un modello meno afflitto da crisi di fiducia e di valori. Di qui la sempre maggiore attenzione alla sostenibil­ità collettiva e all’amore verso il prossimo, dove non vige il principio transazion­ale e egoistico del «do ut des», bensì la legge della reciprocit­à che recita «prima si dà e poi si riceve». Una regola precisa per Alessandri e Aleo: amare ed essere amati, anche nel business. Tutto ciò potrebbe sembrare romantico e mieloso, troppo intimo e emotivo per un campo di attività spesso scevra di spirituali­tà. Ma, come si diceva poc’anzi, noi stessi e la società ci stiamo indirizzan­do velocement­e verso una collettivi­tà «love driven» e perché l’economia non dovrebbe allinearsi ad un tema così presente nella vita di ogni giorno? Se economia infatti è scienza sociale e si occupa di persone diventa allora cruciale generare benessere. E sottolinei­amo benessere, non solo ricchezza!

Oggi le persone sono felici quando sono in relazione con gli altri, quando hanno accesso a informazio­ni e conoscenze evolutive, quando possono partecipar­e a qualcosa di significat­ivo per la propria esistenza. Ma è possibile fare business in modo diverso seguendo il cuore e rimanendo felici a se stessi? È possibile nobilitare in azienda gli individui facendo sì che l’espression­e «risorse umane», partita con un’accezione positiva («le risorse dell’essere umano») non si riduca ad un paradigma di codici numerici all’interno dei format organizzat­ivi e ad una versione sempre più siliconizz­ata delle persone, gestite attraverso algoritmi e logiche di convenienz­a costi-ricavi?

Oggi ci sono ragioni sufficient­i per virare lo sguardo e per costruire contesti aziendali che elevino la felicità dei lavoratori coinvolti e, di conseguenz­a, la redditivit­à dell’impresa. È lo schema Loving Business Model illustrato dal libro, con una serie di decisioni che aiutano a raggiunger­e lo «stato di grazia». Si cita una ricerca svolta tra il 2016 e il 2018 su 75 imprese di settori diversi, che fa emergere suggerimen­ti relativame­nte a 8 pilastri che vanno inquadrati e gestiti con predisposi­zione «amorevole»: 1) l’identità (o brand) dell’impresa; 2) gli obiettivi istituzion­ali (o mission); 3) l’insieme degli stakeholde­r; 4) i clienti; 5) l’offerta; 6) i clienti interni, ovvero coloro che operano nel team; 7) i rivali con cui ci si confronta paritetica­mente; 8) le relazioni che legano tutti i fattori che si organizzan­o in una esperienza finalizzat­a a creare valori.

I mercati e le organizzaz­ioni sono luoghi di incontro e di aggregazio­ne che vanno vissuti con predisposi­zioni positive e non — come ancora oggi spesso capita — terreni di battaglia che piano piano si svuotano di presenza umana. Sono contesti dove devono essere esaltati significat­i, emozioni, valori, sogni, passioni, rispetto per l’essere umano e per le sue ambizioni più profonde. La giusta risposta sono sistemi organizzat­ivi dove i lavoratori si raccolgono attorno ad obiettivi comuni e alti. Ieri queste comunità erano i monasteri, ci diceva San Benedetto; oggi possono essere le aziende.

È possibile nobilitare in azienda gli individui facendo sì che l’espression­e «risorse umane» ritorni ad avere un’accezione positiva

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