MACCHINE AVANTI TUTTA! MA VANNO DIFESE
L’ingegneria meccanica, cuore della manifattura, può farcela dice l’analisi Cdp-ey-luiss. Con finanza, digitale, innovazione. E un po’ di Fisco. Montanino: i rischi sono protezionismo e catene produttive corte. Boccardelli: più aggregazioni. Radoccia: Stato a sostegno delle aree strategiche
Se c’è un tema che oggi si pone nel Paese su tutti, è quello dell’occupazione nel settore manifatturiero. L’italia è in una specie di conto alla rovescia, anche se questa realtà resta ai margini di una conversazione nazionale occupata da leggi elettorali, equilibri interni al M5S, o esami di lingua di calciatori famosi. Fra gennaio e agosto di quest’anno le ore autorizzate di cassa integrazione (Cig) sono circa tre miliardi, il 988% superiori a quelle dell’anno scorso e quasi tre volte di più del record precedente segnato nel 2010.
Ma tutto questo naturalmente non potrà durare per esempio e, com’è noto, il blocco dei licenziamenti terminerà al più tardi dopo diciotto settimane di Cig legata all’emergenza della pandemia. È a quel punto che l’intensità della ripresa mondiale, lo stato di salute del settore manifatturiero italiano e in particolare il suo gioiello della corona — la produzione e l’esportazione di macchinari industriali — diventerà la battaglia del Piave della tenuta sociale del Paese. È questa la frontiera su cui l’italia si gioca il tutto per tutto, dopo un calo dell’occupazione di 585 mila unità fra fine gennaio e fine luglio scorso.
Anche per questo la radiografia del settore dei macchinari industriali presentata in un rapporto del centro studi di Cassa depositi e prestiti, di Ey e della Luiss Business School arriva al momento giusto. È in questi mesi che il Paese deve fare i conti con ciò che può nascondersi dietro l’angolo e valutare gli interventi necessari per sostenere un settore vitale per l’intera economia. Nel 2019 l’italia era sesta al mondo dopo Cina, Stati Uniti, Giappone, Germania e Corea del Sud per fatturato in quest’area — a 260 miliardi di dollari — grazie soprattutto all’ingegneria meccanica più che ai prodotti di tecnologia elevata o alle apparecchiature elettriche. Mentre infatti nell’ingegneria meccanica il «made in Italy» è quinto al mondo - benché messo sotto pressione in tutta l’asia emergente dalla concorrenza cinese - nell’high tech a più alto tasso di crescita siamo solo al 23esimo posto.
La cassetta degli attrezzi
L’intero settore dei macchinari industriali nel complesso in Italia ha oggi 860 mila addetti, un quarto di tutto il manifatturiero italiano, e di questi 466 mila appartengono all’ingegneria meccanica. E il problema adesso non è tanto che la gran parte degli addetti non ha potuto lavorare da casa in questi mesi, per la natura stessa delle produzioni, mentre il crollo delle ore lavorate in aprile ha raggiunto il 50%. Piuttosto, preoccupano le prospettive. Il rapporto Cdp-ey-luiss stima una caduta del fatturato delle imprese di ingegneria meccanica nel mondo del 5,3% quest’anno, seguito da un rimbalzo più o meno equivalente nel 2021. Non è detto però che la distribuzione delle quote di mercato fra i diversi Paesi resti la stessa e l’italia posso recuperare le proprie posizioni. I produttori cinesi hanno già dimostrato di saper approfittare delle fasi di crisi globale per rialzarsi prima degli altri e sottrarre loro i clienti tradizionali. Il risultato può essere un grande spiazzamento del manifatturiero «made in Italy», con una forte emorragia di posti di lavoro nell’ingegneria meccanica che da sola vale il 18% di tutto l’export italiano. Il rapporto Cdp-ey-luiss stima per il 2020 un aumento della disoccupazione nella mecca- nica industriale fra il 20% e il 26%: meno che in media nazionale, ma un impatto da centinaia di migliaia di posti di lavoro vista la dimensione dell’industria e il suo ruolo decisivo nel far girare attorno a sé fornitori domestici di beni e servizi. Osserva Andrea Montanino, capoeconomista di Cdp: «Questa filiera è un’eccellenza italiana nel mondo, bisogna però saperla proteggere da rischi incombenti: quelli di oggi, con il Covid, sostenendo le imprese per evitare che si deteriori il tessuto produttivo; e quelli di domani legati al protezionismo e all’accorciarsi delle catene produttive».
Paolo Boccardelli, direttore della Luiss Business School, raccomanda sia al governo che agli imprenditori del settore di fare il possibile per favorire le aggregazioni e le integrazioni verticali fra i diversi stadi delle filiere perché «non necessariamente piccolo è bello». Anche per questo Stefania Radoccia, responsabile della divisione mercati di Ey per il Mediterraneo, raccomanda l’intervento dello Stato a sostegno di alcune aree strategiche: sostegno finanziario, digitale e innovazione, nuove competenze fra questi. Gli strumenti sono quelli noti e già introdotti con il decreto Rilancio del maggio scorso: crediti d’imposta su ricerca, sviluppo, innovazione e design o più in genere per investimenti in beni strumentali; incentivi al rafforzamento patrimoniale; contributi a fondo perduto per le piccole e medie imprese. Il Recovery Fund dovrebbe poi aiutare a finanziare meccanismi sulla falsariga di Industria 4.0 per un certo numero di anni. Tutta questa cassetta degli attrezzi finanziari e fiscali dovrebbe consentire alle imprese di rafforzare il ricorso a nuove tecnologie come la stampa in 3D, l’uso dell’intelligenza artificiale per ottimizzare e rafforzare le catene del valore, il trasferimento su cloud dei dati per risparmiare risorse e accrescere la capacità di calcolo in azienda per assumere sempre più decisioni sulla base dei dati. Su questi assi il più tradizionale dei settori del «made in Italy» può ripartire. Se il Paese avrà le competenze e i capitali necessari, e se tutto questo basterà, lo capiremo però solo nel 2021.