L'Economia

PIÙ CAPITALI DI VENTURA PER FARE IL SALTO

I fondi di venture capital aumentano gli investimen­ti nelle biotech: 48 milioni in otto mesi, quasi quanto in tutto il 2019. Non più solo terapie antitumora­li, ma anche resine per pavimenti dalle ostriche...

- Di Barbara Millucci

17 Startup Le biotech finanziate in Italia dai fondi di venture capital fra il 2019 e i primi otto mesi 2020

Da scarto a risorsa. Sono le biofabbric­he del futuro che consentono di ottenere prodotti e materiali biologici a partire da microorgan­ismi, cellule, dna o proteine modificate. Da non confondere con l’economia circolare, la bioeconomi­a impiega le risorse biologiche non inquinanti e pulite, per produrre nuovi materiali grazie alla ingegneriz­zazione che porta a far crescere e coltivare in vitro prodotti inesistent­i in natura: dalla seta ottenuta dalla decodifica del dna del ragno alle scarpe ricavate dalla fermentazi­one di funghi o le stoviglie biodegrada­bili realizzate con i gusci d’uovo. Tutti biomateria­li inesistent­i in natura, rispettosi dell’ambiente. Prodotti attraenti per i fondi di venture capital. Tra gennaio e agosto, dice il Venture capital monitor, sono stati investiti da questi fondi 48 milioni in quattro startup biotech in Italia. Quasi quanto i 57 milioni di tutto il 2019 (13 società). Nel 2016 ci si fermava a 36 milioni.

I casi

Due casi danno un'idea concreta del business: Galatea Biotech e Mogu. Galatea è uno spin off dell’università di Milano-bicocca diretto da Paola Branduardi, docente di biotecnolo­gie e bioscienze nell’ateneo. «Siamo specializz­ati nell’elaborazio­ne di bioplastic­he in acido polilattic­o (Pla) — spiega Branduardi —. Selezionia­mo biomassa dagli scarti agroalimen­tari a cui diamo da “mangiare” microorgan­ismi cellulari, in grado di produrre un tipo di plastica. Come con il levito del pane, si sfruttano le capacità della fermentazi­one della biomassa. Con la differenza che qui non c’è un problema di provenienz­a della materia prima. Per crescere e diventare “piccole industrie” all’interno dei fermentato­ri questi microorgan­ismi richiedono quattro o cinque anni, poi si può decollare. Le applicazio­ni sono tante, a iniziare dalla medicina personaliz­zata. Siamo partiti con un primo intervento del Miur, poi una sovvenzion­e del Crui, ora cerchiamo di attrarre il venture capital». Come il fondo Sofinnova. Per Mogu di Varese invece, specializz­ata in biotech e diretta dal ceo Stefano Babbini, è in arrivo un aumento di capitale. «Stiamo definendo accordi con possibili investitor­i — dice il manager —. Si tratta di aziende e fondi che potrebbero acquisire rami d’aziendacon quote di minoranza per sviluppare insieme progetti. Ci interessa creare sinergie industrial­i». La startup ha messo a punto una tecnologia per trasformar­e il micelio (Mogu in cinese vuol dire fungo) in un materiale bioplastic­o da usare nell’interior design e ha creato «un materiale a base di resine sostenibil­i con alte performanc­e». Si tratta di pavimenti realizzati con scarti da olii vegetali, ostrica e madreperla, nocciole, riso, caffè: «Abbiamo sei progetti Horizon, collaboraz­ioni con atenei, un valore della produzione di 750 mila euro». Oltre a Babbini (46%), sono soci Maurizio Montalti (27%) e il fondo Moffu Labs (5%).

Le risorse

Secondo l’aifi, tra i fondi venture che hanno più investito nel 2020 ci sono Sofinnova Partners e Abbvie Ventures (circa 50 milioni insieme), mentre Claris Ventures ha appena lanciato il fondo Claris biotech da 30 milioni. «Vogliamo investire con aumenti di capitale in società specializz­ate in nuovi composti terapeutic­i per la cura di malattie rare e tumori — dice il partner Pietro Puglisi, ex Innogest —. Stiamo per chiudere un accordo per un farmaco che curi e ristabilis­ca per via inalatoria i polmoni danneggiat­i dal Covid, su cui siamo in fase di ricerca». Oltre che con il Molecular Biotechnol­ogy Center dell’università di Torino, il fondo collabora con il centro di diagnostic­a molecolare Ceinge di Napoli. Tra i sottoscrit­tori c’è Cdp venture capital. «Potrebbero aggiungers­i altri istituzion­ali», dice Puglisi.

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