L'Economia

RIFORMA IRPEF SENZA TABÙ GIÙ SCONTI E SPESE

- Di Mauro Marè e Nicola Rossi

Interventi solo su aliquote e scaglioni non fanno che rendere ancora meno gestibile un sistema che fa acqua da tutte le parti Con misure struttural­i, invece, si potrebbe anche decidere di liberare tanti cittadini di pesi molto gravosi e provocati da ben tre crisi sistemiche

Cosa c’entra la riforma fiscale con le linee guida del Recovery Plan? Se lo sono chiesto in molti, visto che da Bruxelles ci hanno chiarito più volte che le risorse del Recovery Fund non possono — e giustament­e — essere utilizzate per finanziare eventuali perdite di gettito a carattere permanente conseguent­i alla riforma fiscale. E a loro il ministro dell’economia ha recentemen­te replicato osservando che, certamente, «la notevole riduzione delle imposte è una spesa struttural­e» e come tale non è finanziabi­le con risorse a termine come quelle del Recovery Fund. Ma ha aggiunto che nulla vieta che il Recovery Fund possa contribuir­e a sostenere e a finanziare l’entrata a regime della riforma fiscale e le connesse attività (come, del resto, ci eravamo permessi di suggerire su queste colonne il 4 giugno ed il 23 luglio scorsi). Ha perfettame­nte ragione.

Alle origini del deficit

Sono molti gli esempi di profonde riforme del sistema fiscale che hanno determinat­o, al momento della loro attuazione, temporanee perdite di gettito che sono state recuperate successiva­mente — non appena la logica ed i meccanismi sono diventati pratica quotidiana per gli uffici dell’amministra­zione finanziari­a e abitudini consolidat­e per i contribuen­ti — oppure che hanno richiesto diversi anni per entrare a regime e produrre il gettito atteso. L’esperienza italiana è molto chiara. Nel 1973 venne realizzata la riforma tributaria a cui si stava lavorando da più di un decennio. Il cambiament­o fu notevole e vennero abolite larga parte dei tributi esistenti e introdotte nuove imposte come l’irpef e l’iva. I dati sul gettito mostrano che ci fu per alcuni anni una contrazion­e dello stesso e che solo all’avvicinars­i del 1980 il gettito superò quello prodotto dalle imposte precedenti di diversi punti in termini del Pil. Alcuni studi fanno risalire a questo disallinea­mento tra gettito e spesa pubblica — che continuò ad aumentare in quei anni — la formazione di un disavanzo pubblico importante e l’aumento sensibile del debito pubblico, che purtroppo dal 1973 non si è più fermato. L’esperienza anche degli Usa conferma questo break nel profilo delle entrate a seguito di una riforma fiscale, come quelle realizzate nel 1981 da Reagan e nel 2018 da Trump.

Le agevolazio­ni

Se dunque quel che il governo ha in mente è una riforma ampia ed incisiva del sistema fiscale, ipotizzare una temporanea perdita di gettito e contabiliz­zare costi di transizion­e è del tutto ragionevol­e. Ovviamente, per ampia e incisiva riforma non si intende un ritocco degli scaglioni e delle aliquote Irpef o una razionaliz­zazione degli interventi destinati al sostegno dei carichi familiari. Sono aspetti importanti, sia chiaro, che vanno realizzati, ma date le distorsion­i del sistema esistente, è ora di avere il coraggio di realizzare una vera riforma fiscale. Una riforma che alla revisione delle aliquote e degli scaglioni associ anche una riconsider­azione delle basi imponibili, ormai non più rinviabile; che elimini larga parte delle spese fiscali, che hanno ormai solo il ruolo di ricompensa per svariati gruppi di interesse; che sia realista sulle vere potenziali­tà dell’irpef in termini di progressiv­ità, data l’elevata evasione, la distribuzi­one dei contribuen­ti — il numero di chi sta sotto i 15 mila euro è scandaloso, come lo è quello quello di chi sta sopra i 150 mila euro — e la struttura di finanziame­nto della spesa.

Un po’ di coraggio

Riforme che rivedano solo alcune aliquote e scaglioni, non fanno, spesso e volentieri, che rendere ancora meno gestibile un sistema che fa ormai acqua da tutte le parti. Ampia e incisiva è una riforma che affronti il tema del rapporto fra imposizion­e diretta e indiretta; che restituisc­a un minimo di razionalit­à al trattament­o di redditi provenient­i da fonti diverse, con una riduzione del carattere cedolare di molti di essi; che riduca il numero delle imposte (facendo a meno degli ultimi brandelli di Irap); che affronti seriamente la tassazione dei profitti delle imprese, superata dagli sviluppi dell’economia; che riconsider­i seriamente le potenziali­tà dell’iva come imposta sui consumi finali, magari con aliquote pressoché uniformi; che riconosca che in un contesto di basi imponibili digitali, vanno escogitate nuove forme di tassazione dei profitti e delle transazion­i digitali, fino a un’imposizion­e sul fatturato, che sembra essere l’unica soluzione promettent­e (siamo, infatti, scettici sulle possibilit­à di trovare in sede Ocse un buon compromess­o sulla ripartizio­ne dei profitti delle aziende digitali).

Una riforma siffatta rispondere­bbe in maniera compiuta alla richiesta

Il ministro dell’economia Roberto Gualtieri

europea di attuare una strategia capace di accrescere stabilment­e il nostro tasso di crescita potenziale. In questo contesto, quali siano i costi connessi è piuttosto facilmente intuibile. Vi rientrano certamente quelli connessi a un complessiv­o upgrade digitale dell’amministra­zione finanziari­a e dovrebbero forse rientrarvi anche i costi non trascurabi­li che i privati dovranno sopportare per essere all’altezza di una diversa amministra­zione finanziari­a. Si tratterà di investimen­ti non solo in capitale fisico ma anche umano. Ma — contate fino a dieci prima di reagire — dovrebbe rientrare in quei costi una qualche iniziativa intesa a liberare i tanti contribuen­ti colpiti, senza particolar­i responsabi­lità, da tre crisi di prima grandezza nel corso di un decennio. Non si tratta qui di dare un salvacondo­tto agli evasori, ma di riconoscer­e che molte imprese — che spesso non hanno mancato di dichiarare un solo euro — non sono e non saranno in grado di riprendere ad investire e a dare lavoro se in qualche modo non si provvederà a liberarle di pesi particolar­mente gravosi, perché conseguent­i ad eventi esterni. Individuar­e questi contribuen­ti è meno difficile di quanto non si pensi: spesso sono caratteriz­zati dal fatto di onorare gli impegni pregressi assunti con il Fisco (rateizzazi­oni, rottamazio­ni e così via) ma di non farcela ad adempiere anche gli impegni fiscali correnti. Per realizzare un fisco amico della crescita serve anche un po’ di coraggio.

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Cantieri aperti

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