L’INFLAZIONE «BUONA»? TORNA SOLO CON LA FIDUCIA
Da otto anni a questa parte è scomparsa dai dati e non più ritenuta fondamentale dalle banche centrali per decidere la politica monetaria: la grande sfida dei governi è rimettere in modo la ripresa recuperando i redditi persi col Covid
Secondo le stime preliminari dell’istat, nel mese di settembre l’indice dei prezzi al consumo ha fatto registrare una diminuzione dello 0,6% su base mensile (rispetto ad agosto) e dello 0,5% su base annua (rispetto al settembre 2019). Sono dati in linea con quelli osservati nei mesi precedenti: sono infatti ormai cinque mesi che i prezzi in Italia seguono un andamento discendente rispetto ai dati di dodici mesi prima. Come negli altri grandi paesi dell’eurozona. Per vedere aumenti dei prezzi di una certa entità (vicini al 2%) bisogna tornare al 2012. Da allora (dal gennaio 2013, per la precisione) l’inflazione in Italia e in Europa è sempre stata al di sotto del due per cento. Da otto anni a questa parte l’inflazione è scomparsa dai dati.
Una parte delle oscillazioni negli indici di prezzo ha a che vedere con l’andamento del prezzo del petrolio. Nel tempo, famiglie e imprese hanno imparato a consumare prodotti e servizi meno intensivi nell’uso di petrolio e altri prodotti energetici, il che ha crescentemente isolato le economie dal turbolento mercato del greggio. Ma le oscillazioni nel prezzo del petrolio continuano ad essere la causa prima delle variazioni dell’inflazione nel breve periodo. A inizio anno il prezzo del Brent — il greggio estratto nel Mare del Nord — era arrivato a sfiorare i 70 dollari al barile, mentre oggi le sue quotazioni — dopo mesi di prezzi calanti — oscillano tra i 20 e i 30 dollari. E dato che la deflazione nel prezzo della materia prima più importante si trascina dietro anche il costo del trasporto e della consegna dei prodotti (i prezzi dei beni energetici regolamentati dallo Stato sono in calo del 13%, quelli non regolamentati del 8 per cento, quelli dei trasporti del 2%) non è certo un caso che la dinamica dell’indice generale dei prezzi si sia ulteriormente raffreddata, scendendo dal picco del due per cento dei primi mesi del 2017 ai valori negativi per circa mezzo punto degli ultimi mesi. Una volta che si depuri l’indice dei prezzi dai prodotti energetici e dalle altre componenti più volatili come i prodotti alimentari la deflazione scompare. Ma rimane l’evidenza di un’inflazione «di fondo» essenzialmente uguale a zero da molti mesi a questa parte. Un riflesso — forse solo iniziale — della gelata invernale sui consumi indotta dal Covid.
I prezzi risentono anche di fattori stagionali che, a cavallo dell’estate, dipendono essenzialmente dal verificarsi dei saldi estivi.
La deflazione scompare se si depurano le rilevazioni dal calo del petrolio e dalle oscillazioni degli alimentari
In luglio e agosto nei negozi arrivano le occasioni di fine stagione ma poi con il mese di settembre la stagione dei saldi finisce e ciò determina di per sé un aumento dei prezzi dell’abbigliamento e delle calzature a fine estate che quest’anno è stata superiore al 25%.
In alcuni casi (ed è successo anche quest’anno) i saldi estivi si protraggono e questo spalma nel tempo la durata della mini fiammata inflazionistica, rendendola più duratura ma meno evidente nelle rilevazioni mese per mese. In più, tuttavia, i dati 2020 risentono in modo evidente delle ampie oscillazioni nelle decisioni di acquisto e di spesa di famiglie e imprese indotte dal susseguirsi del lockdown dovuto all’emergenza sanitaria — prima — e delle successive riaperture degli esercizi commerciali — dopo.
Durante i mesi di chiusura l’inflazione dei prodotti alimentari — inclusivi di bevande alcoliche e tabacchi — è arrivata a sfiorare il 3% nel mese di aprile (quando i fenomeni di accaparramento di acquisto dagli scaffali dei negozi e dei supermercati hanno toccato il picco) ed è rimasta sopra al 2,5% anche in maggio e giugno. A partire dal mese di giugno e durante l’estate si è viceversa osservata una normalizzazione che nel mese di agosto ha riportato l’inflazione giù all’1,4 per cento, un dato del tutto in linea con quello registrato un anno fa nell’agosto 2019. Nell’insieme, al netto delle ampie oscillazioni indotte negli ultimi mesi dai comportamenti di acquisto delle famiglie e dalle menzionate circostanze stagionali, il quadro macroeconomico — in Italia come nel resto dell’europa — rimane caratterizzato da una sostanziale assenza di inflazione.
I cali osservati nell’indice generale dei prezzi – come quelli registrati nell’ultimo semestre — possono durare qualche mese a seconda dell’andamento dei mercati delle materie prime ma non evidenziano una marcata tendenza verso la deflazione. L’interrogativo principale per i mesi che vengono rimane associato all’efficacia — tutta da verificare — delle misure messe in atto dai governi (compreso quello italiano) nell’alimentare una ripresa duratura, fatta necessariamente del recupero dei redditi persi durante il lockdown e del ritorno della fiducia che devono caratterizzare la ripartenza dell’economia.