UN FUTURO PER PIAZZA AFFARI SE IN EUROPA VINCE LA CONCRETEZZA
Tra buoni propositi e proposte troppo generiche, cosa suggerisce il Piano d’azione di Bruxelles sul mercato unico dei capitali mentre il London Stock Exchange avvia la cessione di Borsa Italiana
Il 24 settembre scorso la Commissione europea ha pubblicato un nuovo Piano d’azione per la creazione di un mercato unico dei capitali in Europa. Il documento, che intende tracciare le direttive di prossimi sviluppi normativi, si collega al precedente piano del 2015 e raccoglie molti — ma non tutti — i suggerimenti recentemente offerti da un gruppo di studio istituito a livello europeo (High Level Group). L’obiettivo è quello di facilitare l’accesso ai mercati dei capitali (essenzialmente, alle borse) riducendo gli ostacoli e i costi per le imprese che intendono raccogliere risorse finanziarie e, almeno in parte, per gli intermediari, cercando tuttavia di assicurare una forte protezione degli investitori. Parte essenziale di questo sforzo è la riduzione di barriere per emittenti e investitori nell’accesso ai diversi mercati, ancora frammentati lungo i confini nazionali, anche tramite una maggiore armonizzazione delle regole nazionali e della loro applicazione. Come osserva la Commissione, si tratta di un passaggio reso ancor più urgente dalla crisi attuale che, lasciando imprese e Stati fortemente indebitati, e potendo incidere sulla propensione delle banche a concedere crediti, impone di mobilitare più facilmente il risparmio privato, convogliandolo sul capitale anche di rischio. Il quadro è ulteriormente complicato dalla Brexit che, portando i mercati londinesi fuori dall’unione e generando forti incertezze, rende cruciale rafforzare i meccanismi di incrocio tra domanda e offerta di fondi nell’europa continentale. In alcuni Paesi, come l’italia, il tema è ancor più delicato alla luce delle modifiche nell’assetto proprietario di Borsa Italiana, messa in vendita dal London Stock Exchange.
Un listino europeo?
Prima ancora di dare uno sguardo alle principali misure individuate, conviene accennare a una questione spesso sottaciuta, eppure fondamentale: la creazione di un mercato unico potrebbe condurre a un’unica borsa pan-europea, magari sotto l’egida di Euronext? A fronte di un’ipotetica e, invero, ancora lontana forte armonizzazione e riduzione delle barriere nazionali, ha senso la convivenza di numerose piazze finanziarie «locali»? Le borse minori sono destinate ad estinguersi e confluire in un unico o pochi sistemi di scambio centralizzati, come accaduto negli Stati Uniti decenni or sono, ma anche in Italia ancor prima? Insomma, la borsa di Milano è destinata a fare la fine che, nel secolo scorso, fecero quelle di Firenze, Genova e altri centri finanziari?
Se è innegabile che, in linea di principio, a fronte di un quadro normativo ed economico sempre più integrato, una concentrazione degli scambi in un unico foro può presentare vantaggi in termini di liquidità, efficienza e trasparenza informativa, questo risultato appare comunque remoto nel tempo. Anche ipotizzando la rapida e completa attuazione degli obiettivi del nuovo Piano d’azione, troppi sono ancora gli ostacoli di ordine giuridico, economico e non solo (infrastrutturali, culturali, linguistici) che si frappongono a una simile trasformazione. Ci pare quindi che eventuali preoccupazioni di stampo «protezionistico» siano, quantomeno, premature, anche se comunque è agevole sin d’ora affermare che i costi della frammentazione superano certamente i benefici dell’armonizzazione. Venendo al merito del documento, esso contiene una serie di indicazioni, formulate peraltro ancora in modo generico, eterogenee, che possono ricondursi a tre aree di intervento: favorire il finanziamento delle piccole e medie imprese, proteggere gli investitori retail e incentivarne la partecipazione diretta o indiretta ai mercati finanziari, e creare un mercato unico integrato. Lo spazio a disposizione non consente un esame analitico, ci limitano a qualche accenno alle proposte più rilevanti.
Punti fermi
Certamente e fortemente da sostenere sono le misure di semplificazione della quotazione, anche perché esistono ingiustificabili differenze tra gli Stati membri che si traducono in vera concorrenza asimmetrica. Prospetti e istruttorie possono e devono essere ulteriormente alleggeriti, in particolare nel sistema italiano, che certo non brilla per rapidità e mancanza di burocrazia senza necessariamente essere più tutelante di altri per i piccoli investitori. Positivo anche l’obiettivo di un mercato delle operazioni di securitization e cessione dei crediti più integrato, così come appare essenziale sostenere l’investimento di azioni e attività a lungo termine di compagnie di assicurazione e banche, anche rivedendo i limiti prudenziali che attualmente penalizzano tali opzioni.
Condivisibile e necessario uniformare sempre più le regole del gioco in caso di insolvenza, circostanza che può aumentare la fiducia degli investitori, e qui è da valutare l’idea di tribunali fallimentari «federali», come accade negli Usa, accessibili almeno su base opzionale. Non si può che concordare anche su ogni forma di creazione di punti di accesso unici alle informazioni finanziarie e non, ai dati societari e di mercato, un po’ come si è cercato di fare con i registri delle imprese, evitando però di imporre ulteriori oneri agli emittenti (e anzi, cogliendo magari l’occasione per eliminare duplicazioni davvero insopportabili). Molte di queste informazioni sono già pubbliche e, pur esistendo un problema di comparabilità e infrastrutturale non banale, l’obiettivo non è irraggiungibile. È naturalmente anche corretto intervenire sull’esercizio dei diritti sociali attraverso i confini nazionali, magari sfruttando le nuove tecnologie (blockchain?).
Un listino unico è lontano, ancora molti ostacoli
Sull’esma le proposte europee sono ancora timide
Un’authority unica
La questione forse più importante, e delicata, è quella della supervisione. Qui il documento della Commissione è, come anche il rapporto dell’high Level Group da cui trae spunto, davvero troppo timido. I tempi sono maturi per una vera integrazione delle autorità di controllo e per un deciso rafforzamento dei poteri dell’esma (l’autorità di controllo europea), come accaduto per l’unione bancaria. Non ci nascondiamo le difficoltà tecniche e politiche, anche in ragione delle diverse architetture nazionali. Ma senza una scelta coraggiosa nella direzione di un regolatore unico, in grado di contemperare armonizzazione con valorizzazione delle competenze e conoscenze locali e sul campo, il mercato unico resterà un miraggio.
Il giudizio finale è misto: buoni i propositi, ancora troppo vaghe le proposte concrete.