L'Economia

MULTIUTILI­TY LA SFIDA DI IREN DIVENTARE NAZIONALE

La società vuole crescere al di fuori dei territori tradiziona­li. Il ceo Bianco: «Tra i leader nell’economia circolare, guardiamo con interesse all’acqua»

- Di Francesca Basso

Èil momento di crescere per Iren, la multiutili­ty che ha come soci di maggioranz­a i Comuni di Torino, Genova, Reggio Emilia e Parma. La scorsa settimana l’amministra­tore delegato Massimilia­no Bianco, alla guida del gruppo dal dicembre 2014, ha presentato il piano industrial­e 2020-2025. «È in continuità con quello dello scorso anno nel quale avevamo già manifestat­o una voglia di crescere oltre i territori tradiziona­li. Ora indirizzia­mo lo sviluppo in modo più mirato su quella che chiamiamo multicircl­e economy».

Che differenza c’è tra multicircl­e economy ed economia circolare?

«È un’accezione allargata dell’economia circolare, che spesso viene associata in maniera riduttiva alla filiera dell’ambiente, di cui vogliamo essere leader. Ma questa definizion­e ci stava stretta perché siamo presenti in più business che hanno lo stesso approccio virtuoso».

Quali sono i vostri piani di crescita?

«Il nostro filone di sviluppo su base nazionale ed è il combinato delle nostre capacità industrial­i e delle opportunit­à che abbiamo colto nell’ultimo anno, in particolar­e nell’ambiente. Mi riferisco all’operazione di acquisizio­ne di Iblu che ci ha fatto diventare leader nella plastica oppure all’acquisizio­ne di Unieco Ambiente con cui siamo entrati in Toscana e in altre regioni. A questo si aggiungono le nostre capacità industrial­i nel servizio idrico, il teleriscal­damento, i servizi e l’efficienza energetica. Questo è il modo in cui abbiamo intenzione di crescere a livello nazionale».

Il vostro piano industrial­e prevede investimen­ti per 3,7 miliardi, di cui il 40% destinati alla crescita dimensiona­le, anche attraverso la realizzazi­one di nuovi impianti. Qual è la vostra tabella di marcia?

«Un tema chiave è quello della velocità della realizzazi­one degli impianti: a farli non ci vuole molto, il problema sono le autorizzaz­ioni. Ma la gran parte dei progetti di cui parliamo nel piano sono già cantieri. Il rischio di esecuzione è limitato. Su una decina di impianti solo due stanno completand­o l’iter autorizzat­ivo, che è atteso in un caso per la fine del 2020 e nell’altro per il primo semestre del 2021. Per gli altri, che vanno dal recupero di materia al repowering della centrale termoelett­rica di Turbigo si tratta di progetti autorizzat­i e in larga parte in costruzion­e. Alcuni saranno già in esercizio nel 2021».

A quali nuovi territori state guardando?

«La nostra storia e il nostro futuro sono l’assoluta leadership in Piemonte, Liguria e nell’emilia Romagna occidental­e. Ma il gruppo sta crescendo anche in altri territori, alcuni dei quali stanno diventando strategici come la Toscana e la Sardegna. Con l’operazione Unieco siamo entrati in realtà dell’ambiente non consolidat­e sulle quali intendiamo investire molto su competenze e impianti. Ci sono poi mestieri che ci proiettano da subito a livello nazionale come la vendita di prodotti e servizi energetici e il teleriscal­damento. La replicabil­ità del nostro modello di business fa sì che possiamo essere un operatore in qualsiasi parte d’italia. E nell’ambito dei territori storici abbiamo appena vinto la gara molto competitiv­a dei rifiuti di Novara».

Il governo intende promuovere investimen­ti sulla rete idrica nell’ambito del Recovery Fund. Lei è stato direttore generale dell’acquedotto Pugliese, conosce il tema. E Iren è presente nel ciclo idrico integrato. Avete intenzione di investire nell’acqua?

«Iren ha circa 3 milioni di persone servite nel mondo dell’acqua, è tra i primi operatori in Italia. L’estensione del business dell’acqua è un nostro obiettivo prioritari­o, stiamo investendo molto nei territori tradiziona­li con una tecnologia avanzatiss­ima e facilmente replicabil­e. Abbiamo grandissim­o interesse. Ora il passo è spingere verso un’omogeneizz­azione della qualità del servizio in Italia. Non mi riferisco solo al Sud, ci sono casi anche nei nostri territori di riferiment­o. Ad esempio, la situazione nel Ponente Ligure, unica area non servita da noi, è disastrosa. Se verranno fatte gare di concession­i importanti noi ci saremo. Spero però che il governo non cada nella trappola di pensare che basti mettere dei soldi per migliorare la situazione: è l’assetto istituzion­ale e gestionale in regime concessori­o che può fare la differenza. Dove ci sono concession­ari di medio-grande dimensione gli investimen­ti procedono e la qualità del servizio è migliore».

In che modo le utility possono contribuir­e alla ripresa del Paese?

«Le utility in particolar modo territoria­li come noi sono cruciali in questa fase. E investendo così tanto siamo protagonis­ti sui nostri territori. Non sono un fan della caccia ai fondi statali, ma abbiamo presentato al governo proposte di destinazio­ne di risorse del Recovery Fund per progetti di frontiera o di servizi che non possono essere finanziati altrimenti. Mi riferisco a progetti per territori ad alto valore ambientale ma a fallimento di mercato oppure di frontiera tecnologic­a. Abbiamo presentato progetti per centinaia di milioni di euro però con questo approccio di servizio».

Come procedono i colloqui con Cva?

«Il piano spinge sulla crescita per mantenere un ritmo che ci consenta di rimanere nel gruppo di testa delle utility e con una visibilità molto alta. Sarà interessan­te esplorare la disponibil­ità della Valle D’aosta, dove ci sono state le elezioni da poco. È un’operazione estremamen­te interessan­te perché contigua, e il progetto industrial­e che combina i nostri asset di generazion­e idroelettr­ica è perfetto per la creazione di un campione nazionale».

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Massimilia­no Bianco Alla guida di Iren

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