MULTIUTILITY LA SFIDA DI IREN DIVENTARE NAZIONALE
La società vuole crescere al di fuori dei territori tradizionali. Il ceo Bianco: «Tra i leader nell’economia circolare, guardiamo con interesse all’acqua»
Èil momento di crescere per Iren, la multiutility che ha come soci di maggioranza i Comuni di Torino, Genova, Reggio Emilia e Parma. La scorsa settimana l’amministratore delegato Massimiliano Bianco, alla guida del gruppo dal dicembre 2014, ha presentato il piano industriale 2020-2025. «È in continuità con quello dello scorso anno nel quale avevamo già manifestato una voglia di crescere oltre i territori tradizionali. Ora indirizziamo lo sviluppo in modo più mirato su quella che chiamiamo multicircle economy».
Che differenza c’è tra multicircle economy ed economia circolare?
«È un’accezione allargata dell’economia circolare, che spesso viene associata in maniera riduttiva alla filiera dell’ambiente, di cui vogliamo essere leader. Ma questa definizione ci stava stretta perché siamo presenti in più business che hanno lo stesso approccio virtuoso».
Quali sono i vostri piani di crescita?
«Il nostro filone di sviluppo su base nazionale ed è il combinato delle nostre capacità industriali e delle opportunità che abbiamo colto nell’ultimo anno, in particolare nell’ambiente. Mi riferisco all’operazione di acquisizione di Iblu che ci ha fatto diventare leader nella plastica oppure all’acquisizione di Unieco Ambiente con cui siamo entrati in Toscana e in altre regioni. A questo si aggiungono le nostre capacità industriali nel servizio idrico, il teleriscaldamento, i servizi e l’efficienza energetica. Questo è il modo in cui abbiamo intenzione di crescere a livello nazionale».
Il vostro piano industriale prevede investimenti per 3,7 miliardi, di cui il 40% destinati alla crescita dimensionale, anche attraverso la realizzazione di nuovi impianti. Qual è la vostra tabella di marcia?
«Un tema chiave è quello della velocità della realizzazione degli impianti: a farli non ci vuole molto, il problema sono le autorizzazioni. Ma la gran parte dei progetti di cui parliamo nel piano sono già cantieri. Il rischio di esecuzione è limitato. Su una decina di impianti solo due stanno completando l’iter autorizzativo, che è atteso in un caso per la fine del 2020 e nell’altro per il primo semestre del 2021. Per gli altri, che vanno dal recupero di materia al repowering della centrale termoelettrica di Turbigo si tratta di progetti autorizzati e in larga parte in costruzione. Alcuni saranno già in esercizio nel 2021».
A quali nuovi territori state guardando?
«La nostra storia e il nostro futuro sono l’assoluta leadership in Piemonte, Liguria e nell’emilia Romagna occidentale. Ma il gruppo sta crescendo anche in altri territori, alcuni dei quali stanno diventando strategici come la Toscana e la Sardegna. Con l’operazione Unieco siamo entrati in realtà dell’ambiente non consolidate sulle quali intendiamo investire molto su competenze e impianti. Ci sono poi mestieri che ci proiettano da subito a livello nazionale come la vendita di prodotti e servizi energetici e il teleriscaldamento. La replicabilità del nostro modello di business fa sì che possiamo essere un operatore in qualsiasi parte d’italia. E nell’ambito dei territori storici abbiamo appena vinto la gara molto competitiva dei rifiuti di Novara».
Il governo intende promuovere investimenti sulla rete idrica nell’ambito del Recovery Fund. Lei è stato direttore generale dell’acquedotto Pugliese, conosce il tema. E Iren è presente nel ciclo idrico integrato. Avete intenzione di investire nell’acqua?
«Iren ha circa 3 milioni di persone servite nel mondo dell’acqua, è tra i primi operatori in Italia. L’estensione del business dell’acqua è un nostro obiettivo prioritario, stiamo investendo molto nei territori tradizionali con una tecnologia avanzatissima e facilmente replicabile. Abbiamo grandissimo interesse. Ora il passo è spingere verso un’omogeneizzazione della qualità del servizio in Italia. Non mi riferisco solo al Sud, ci sono casi anche nei nostri territori di riferimento. Ad esempio, la situazione nel Ponente Ligure, unica area non servita da noi, è disastrosa. Se verranno fatte gare di concessioni importanti noi ci saremo. Spero però che il governo non cada nella trappola di pensare che basti mettere dei soldi per migliorare la situazione: è l’assetto istituzionale e gestionale in regime concessorio che può fare la differenza. Dove ci sono concessionari di medio-grande dimensione gli investimenti procedono e la qualità del servizio è migliore».
In che modo le utility possono contribuire alla ripresa del Paese?
«Le utility in particolar modo territoriali come noi sono cruciali in questa fase. E investendo così tanto siamo protagonisti sui nostri territori. Non sono un fan della caccia ai fondi statali, ma abbiamo presentato al governo proposte di destinazione di risorse del Recovery Fund per progetti di frontiera o di servizi che non possono essere finanziati altrimenti. Mi riferisco a progetti per territori ad alto valore ambientale ma a fallimento di mercato oppure di frontiera tecnologica. Abbiamo presentato progetti per centinaia di milioni di euro però con questo approccio di servizio».
Come procedono i colloqui con Cva?
«Il piano spinge sulla crescita per mantenere un ritmo che ci consenta di rimanere nel gruppo di testa delle utility e con una visibilità molto alta. Sarà interessante esplorare la disponibilità della Valle D’aosta, dove ci sono state le elezioni da poco. È un’operazione estremamente interessante perché contigua, e il progetto industriale che combina i nostri asset di generazione idroelettrica è perfetto per la creazione di un campione nazionale».