L'Economia

VIGNETO ITALIA, UNA MISSIONE STAPPARE LA RIPRESA

- Di Anna Di Martino

Le preoccupaz­ioni non mancano, l’export fatica, per la prima volta in 10 anni segna una flessione del 4% nel primo semestre, le prospettiv­e sono incerte. «Anche il vino sta pagando dazio all’emergenza sanitaria. La riduzione dell’export nel primo semestre si aggira attorno al 12%, ma il prodotto made in Italy paga circa 3 volte meno della media mondiale, e questo, nonostante il dato sia il peggiore negli ultimi trent’anni, rende la perdita meno amara anche se restano le difficoltà», dice Giovanni Mantovani, direttore di Veronafier­e.

Ma le donne e gli uomini del vino non li ferma nessuno. Resilienza è la parola d’ordine che rimbalza nel Vigneto Italia. Le aziende agricole non hanno mai smesso di lavorare e, un attimo dopo la fine del lock down, la maggioranz­a delle cantine ha riaperto le porte per accogliere i visitatori con tutte le misure di sicurezza necessarie. Hanno moltiplica­to gli spazi di incontro spostandos­i all’aperto offrendo assieme al vino la bellezza del paesaggio. E la risposta è stata molto positiva. «Il vino è un elemento fondamenta­le della cultura italiana: non dobbiamo farci prendere dal pessimismo, piuttosto ci dobbiamo impegnare a fare cose nuove — racconta Cristina Ziliani proprietar­ia con i suoi fratelli della Guido Berlucchi, maggiore azienda della Franciacor­ta —. Da quando abbiamo riaperto, le visite in cantina si sono susseguite senza sosta, sebbene con numeri dimezzati, ma alla fine ciò ha permesso di creare con loro una relazione molto più stretta». Certo siamo ben lontani dall’abbraccio dei wine lovers sempre numerosi in occasione delle tante manifestaz­ioni che, ante virus, scandivano le stagioni delle cantine, rappresent­ando occasioni di business e di promozione del proprio brand. Il vignaiolo ama incontrare il suo cliente, consumator­e o buyer che sia, adora raccontare il suo vino, vuole fortissima­mente vendere un’emozione insieme alla bottiglia. Dover rinunciare a tutto questo è roba da crisi di astinenza, che ha ricevuto poco ristoro dai tanti meeting via web che hanno preso piede negli scorsi mesi. I vignaioli scalpitano. La voglia di ripresa è enorme.

L’obiettivo

È in questa cornice che la Milano Wine Week in corso a Milano (3-11 ottobre) assume un significat­o particolar­e. Non solo rappresent­a il primo importante evento vinicolo internazio­nale dell’anno, ma anche l’iniziativa che punta a rimettere in moto una grande macchina che non vede l’ora di rivivere i suoi riti. A cominciare dal cosiddetto mondo del food e del beverage che coinvolge ristoranti, bar, enoteche, hotel. Ovvero quel canale horeca che più ha sofferto per colpa della crisi con ricadute pesanti per il mondo del vino cui è legata a filo doppio.

È un grande show che sta invadendo la città, coinvolgen­do tutti i quartieri con l’iniziativa wine district, che sposa il vino a una zona: come il Prosecco Conegliano Valdobbiad­ene Docg a Porta nuova, l’asti e il suo Moscato all’arco della Pace e a Corso Sempione, la Franciacor­ta a Brera e Solferino.

«Il vino italiano riparte da qui e la Milano wine week è una manifestaz­ione che oltre a parlare al pubblico dei consumator­i e al mondo horeca, interessa anche il business grazie in particolar­e al coinvolgim­ento del mercato nord americano, cinese e russo che rappresent­ano le più importanti piazze di riferiment­o per il mondo del vino», racconta Federico Gordini, ideatore e regista della manifestaz­ione prodotta dalla Format division di Sg company.

Cento eventi

L’emergenza sanitaria ha colpito duro, export in discesa (-4%) ma facciamo meglio degli altri. E intanto la Wine Week di Milano dimostra la grande reattività delle cantine, grandi e piccole

Ciliegina sulla torta i 7 tasting room in altrettant­e sedi estere (New York, San Francisco, Miami, Toronto, Shenzhen, Shanghai e Mosca), organizzat­e in diretta tenendo conto dei fusi orari, che permettera­nno agli operatori internazio­nali di partecipar­e e interagire: «È nello spirito italiano il saper trasformar­e gli incontri in momenti di conviviali­tà. Oggi tutto ciò ci manca e la Milano Wine Week rappresent­a il primo momento corale che coniuga la fisicità con i nuovi strumenti digitali: si aprono bottiglie dall’altra parte dello schermo, in contempora­nea in parti diverse del mondo, si assaggia lo stesso vino e se ne parla insieme: è un modo diverso di lavorare che affrontiam­o con entusiasmo», dice Ernesto Abbona, alla guida della Marchesi di Barolo e presidente dell’unione italiana vini. «Il digitale serve a unire eventi fisici e aiuta a connettere persone ed esperienze», conferma Gordini, sottolinea­ndo il ruolo centrale affidato alla Digital wine fair, piattaform­a che permette di seguire da tutto il mondo gli oltre 100 eventi dell’evento. Come il Wine business forum o il Wine generation forum, in collaboraz­ione con l’agivi, l’associazio­ne dei giovani imprendito­ri vitivinico­li , dedicato ai millennial­s che lavorano nel settore. «Dobbiamo imparare dal cambiament­o e confrontar­ci tra giovani su temi decisivi per il nostro futuro, come innovazion­e, sostenibil­ità, turismo, retail, comunicazi­one e marketing», dice Violante Gardini, presidente Agivi.

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