LOGISTICA, SI PUÒ SALPARE SE IL FISCO SALE A BORDO
Persi venti miliardi di fatturato, la resilienza dei porti container La richiesta di sgravi per il settore che, con l’indotto, dà lavoro a 1,5 milioni di addetti
Annus horribilis il 2020 per il settore del trasporti e della logistica. L’impatto della pandemia del coronavirus e del blocco delle attività economiche ha provocato il crollo del fatturato degli operatori del settore. «L’italia è un Paese che vive di esportazioni e dunque non può che risentire negativamente della contrazione del commercio internazionale — spiega Ivano Russo, direttore generale di Confetra, la confederazione nazionale dei trasporti e della logistica —. Secondo i dati dell’organizzazione mondiale del commercio, gli scambi globali hanno toccato nel trimestre giugno, luglio e agosto punte al ribasso del 14%, mentre per fine anno la previsione è di una diminuzione dei volumi trasportati compresa tra il 18 e il 22%». In questo scenario, la logistica si avvia a chiudere il 2020, secondo le proiezioni del centro studi di Confetra, «con una diminuzione dei volumi trasportati del 20%, il che significa circa 80 milioni di tonnellate di merci in meno rispetto ai circa 450 milioni che sono movimentate ogni anno nel nostro paese in entrata ed in uscita.
Le cifre
Applicando la stessa percentuale negativa al fatturato, il settore dovrebbe chiudere l’anno con un giro d’affari di 65 miliardi, ovvero 18/20 miliardi di perdite rispetto agli 85 miliardi del 2019». Analizzando il comparto, «ci sono attività che stanno subendo meno i contraccolpi della pandemia, come i porti container ad esempio, per i quali prevediamo una chiusura d’anno con una diminuzione dei volumi trasportati di circa il 10-15%. Il calo per le ferrovie merci sarà compreso tra il 20% e il 25%, quello dei corrieri b2b oltre il 30%, mentre per il trasporto su gomma la contrazione dovrebbe superare il 40%. L’impatto è stato poi molto duro sul cargo aereo: le merci trasportate hanno subito flessioni fino al 70% e diminuiranno tra il 50 e il 60%, anche perché sempre più spesso i carichi viaggiano nella pancia degli aerei passeggeri, la maggior parte dei quali sono stati cancellati a partire dallo scorso febbraio», dice ancora Russo. Il rimbalzo della produzione industriale a partire da maggio e giugno, rafforzatosi a luglio con un aumento del 7%, ha permesso al settore di ripartire, «ma la vera incognita è quello che succederà questo inverno: se i traffici internazionali non torneranno a livelli normali, per l’economia italiana e di conseguenza per la logistica sarà dura». Anche perché nel nostro paese le imprese del settore sono in grande prevalenza di piccole dimensioni e hanno dunque le spalle meno larghe dei competitor internazionali: delle circa 90 mila aziende operative in Italia, oltre l’85% fattura infatti meno di 5 milioni e ha in media un numero di addetti inferiore a dieci.
«Il nostro è un settore ad alta intensità di manodopera, con una forza lavoro composta da corrieri, autisti, macchinisti, portuali, operatori di magazzini, oltre che da quadri, data scientist, manager, addetti alle scorte, manutentori delle flotte, lavoratori delle officine. Gli addetti diretti sono circa 800 mila, mentre se si conta il primo cerchio dell’indotto arriviamo a 1,5 milioni. Il costo del lavoro è dunque spesso la prima voce nei bilanci delle nostre aziende», spiega Russo.
I meccanismi
Durante il lockdown, le imprese della logistica sono rimaste aperte per garantire il trasporto delle merci consentite, tanto che l’emergenza ha dato al settore una maggiore visibilità rispetto al recente passato, come si evince da una ricerca realizzata da Ipsos. «D’altro canto, le aziende hanno potuto così fruire molto poco degli ammortizzatori sociali e il costo del lavoro è rimasto uguale a fronte di un fatturato in forte diminuzione, creando grandi difficoltà agli operatori», afferma Russo. Partendo da questa considerazione, le associazioni del settore stanno premendo perché il governo e il Parlamento riducano in maniera significativa il cuneo fiscale, potendo tra l’altro presto contare sulle risorse del Recovery Fund. «Sarebbe necessario introdurre un taglio degli oneri contributivi a carico delle imprese di almeno il 20-30%. Se no il settore non sarà in grado di mantenere il livello occupazionale, soprattutto dopo la fine del blocco dei licenziamenti», conclude Russo.