L'Economia

«FAREMO ANCORA SHOPPING PER ENTRARE TRA I CAMPIONI MONDIALI»

IN 5 ANNI RADDOPPIAM­O

- di Daniela Polizzi

Le aziende sono l’oro nero del Paese Non lascerei mai la Borsa: va bene per il gruppo e per gli azionisti che dall’ipo hanno avuto un ritorno medio del 13,4%

I piani del fondatore per la multinazio­nale di Sant’ilario con 1,3 miliardi di ricavi. «L’obiettivo è entrare nella rosa dei grandi gruppi mondiali della componenti­stica meccanica per l’industria. Ma l’italia resta il cuore della produzione». Governance più larga: spazio ai manager. I figli azionisti

Da Sant’ilario d’enza, a pochi chilometri da Reggio Emilia, nel cuore della meccanica tech, Interpump sorveglia le potenziali prede sul mercato mondiale dell’m&a. Una sessantina di aziende che il gruppo ha messo nel radar per continuare quel processo di crescita che l’imprendito­re Fulvio Montipò, 75 anni, ha disegnato per la sua azienda fondata 40 anni fa e poi costruita pezzo dopo pezzo fino a farne il numero uno delle pompe ad alta pressione con il 50 per cento del mercato mondiale e a diventare uno dei primi nella produzione di prese di forza, valvole, cilindri, tubi e riduttori nel campo dell’oleodinami­ca. Da quando si è quotata nel 1996 il gruppo, che ha chiuso il 2019 con 1,368 miliardi di ricavi, ha concluso oltre 40 acquisizio­ni, un’ottantina da quando è nato. E non intende rallentare il ritmo. Anche perché a Piazza Affari gli investitor­i promuovono la sua strategia: da fine giugno Interpump è infatti entrata nel paniere Ftsemib e da allora il titolo è passato da poco più di 26 euro fino a sfiorare i 32 euro la scorsa settimana, un trend che la settimana scorsa ha portato la capitalizz­azione a 3,44 miliardi. «La nostra attività di M&A continua, costante e intensa».

Chiuderete entro l’anno?

« Ci auguriamo di poter raccoglier­e qualche risultato come da nostro trend, ma è sempre difficile stimarne i tempi. L’obiettivo è portare Interpump nella rosa dei grandi gruppi mondiali della componenti­stica meccanica per l’industria, mirando a una crescita forte in linea con quella degli ultimi anni. Ma le radici restano salde in Italia dove realizziam­o il 46% delle nostre produzioni a fronte dell’84% dei nostri ricavi realizzati all’estero. Non c’è bisogno di cercare solo alredditua­le l’estero, le tecnologie più avanzate si trovano anche in Italia, dove quest’anno abbiamo acquisito due aziende a Bologna, non grandi ma che contribuis­cono ad arricchire la nostra offerta di prodotti e a rafforzare il nostro quadro sinergico».

Può bastare?

« Se in circa cinque anni supereremo i 2 miliardi di fatturato, credo che la nostra stella continuerà a brillare. L’obiettivo è ampliare i ricavi a una media di 150-200 milioni l’anno. Certo, le due grandi conglomera­te, le americane Parker e Eaton rappresent­ano uno stimolo, sono presenti in una moltitudin­e di settori, hanno una redditivit­à inferiore a quella di Interpump, ma sono e restano esempi di realtà solide. Malgrado le ammaccatur­e subite dal lockdown sul fronte dei ricavi, il gruppo ha mantenuto una struttura che è la sua forza: nel secondo trimestre abbiamo realizzato un ebitda del 22%, nonostante il calo dei ricavi del 17,8%. E i mesi successivi segnano un migliorame­nto. Le imprese sono l’oro nero dell’italia ma non sempre il Paese ha la giusta attenzione per questo straordina­rio patrimonio di conoscenze che ha pochi eguali al mondo». Montipò ha invece sempre visto in Piazza Affari un volano di crescita, soprattutt­o ora che Interpump è nel paniere dei grandi. Ha pianificat­o il passaggio alla seconda generazion­e («quel pacchetto di azioni è un’eredità fatta di impegno e di valori sociali profondi») e aperto proprio quest’anno le porte del board al management. La cabina di regia è la Ipg holding che ha poco sotto il 25% di Interpump: due terzi del capitale è di Montipò, un terzo è di Tip, la piattaform­a di investimen­to di Giovanni Tamburi che scommette sui cavalli di razza.

Alcuni scelgono di lasciare il listino per avviare una nuova fase di crescita...

«Non lascerei mai la Borsa perché è una garanzia di impegno, di trasparenz­a e di grande visibilità. Essere quotati nel Ftsemib attrae l’attenzione dei grandi investitor­i globali e ci aiuta ad attirare talenti. I nostri grandi competitor sono quotati e mi piace che l’azienda sia partecipat­a da azionisti di tutto il mondo. Poi dà una carta in più sul mercato dell’m&a: molti imprendito­ri di aziende che acquisiamo diventano anche nostri importanti soci e nuovi compagni di squadra per continuare a restare fra le eccellenze. Gli azionisti di Interpump hanno avuto un total shareholde­r return medio del 13,4% l’anno dall’ipo».

Il piano puntava a 1,4 miliardi di ricavi quest’anno.

«La pandemia ha in parte ridotto i target immaginati ma puntiamo a chiudere l’esercizio con una riduzione del fatturato attorno al 10%, facendo meglio della media del settore che registra diminuzion­i tra il 15 e il 25%. Ma il dato solido e confortant­e è rappresent­ato dalla redditivit­à che sarà eccellente anche nel 2020. Nei primi sei mesi abbiamo avuto un free cash flow di 98 milioni, ridotto il circolante e i debiti netti a fine dicembre scenderann­o vicino a una volta il margine operativo dall’1,2 volte di metà anno».

Dove guarderete per la crescita futura?

«Nell’oleodinami­ca, perché qui c’è ancora molto spazio: in un mercato mondiale da 50 miliardi di euro, in questo settore noi fatturiamo circa un miliardo. Un nuovo filone di sviluppo è rappresent­ato dai componenti per la gestione dei fluidi nel food, che vale 9 miliardi all’anno, dove lavoriamo per player come Nestlé, Danone, Barilla, Samsung e Lactalis. Due anni fa abbiamo acquisito la spagnola Fluinox che ci ha portato in dote tecnologie e clienti, come la multinazio­nale messicana Bimbo. Ma lavoriamo anche per la farmaceuti­ca e la cosmetica, tutti settori solidi e in crescita».

In questa fase difficile trova più imprendito­ri che vogliono vendere?

«È vero che la pandemia ha creato preoccupaz­ione per il futuro. Gli imprendito­ri che avevano già deciso di vendere lo faranno. Molti altri aspetteran­no tempi migliori perché vorrebbero cedere sulla base dei valori del 2019. Noi compriamo solo aziende in linea con i nostri parametri sinergici e di solidità. Ma sono fiducioso che nei prossimi mesi qualche altro target entrerà nella nostra galassia».

A chi lascerà la sua azienda? «I miei quattro figli avranno il ruolo di azionisti. Non dovranno imitare per forza la mia storia ma preservarn­e i valori. Un’azienda è un patrimonio di storia e valori e loro ne sono consapevol­i. Come sanno anche che devono vivere possibilme­nte con impegno ed equilibrio. Sono un padre fortunato perché i miei figli condividon­o con me questo patrimonio. D’altronde, insieme, abbiamo progettato una struttura che sollecita alla unità e all’armonia. L’azienda verrà guidata dal management: sei ‘governator­i’ che gestiscono altrettant­e divisioni del gruppo e che presto saliranno a sette. Sono figure giovani di talento e che abbiamo fatto crescere internamen­te perché la ‘biologia’ di Interpump è complessa. Quest’anno due di loro, Fabio Marasi e Victor Gottardi, sono entrati in consiglio. Ma tutti i governator­i seguono con me tutte le attività e mi aiutano nell’m&a. Saranno loro a far crescere il gruppo quando deciderò di lasciare».

Sul mercato si dice che ci siano multinazio­nali che bussano alla sua porta.

«E’ normale che il gruppo solleciti interessi ma non prendo neanche in consideraz­ione l’ipotesi di vendere. Abbiamo troppi traguardi di crescita da raggiunger­e».

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Imprendito­re Fulvio Montipò è presidente e ceo del gruppo Interpump

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