«FAREMO ANCORA SHOPPING PER ENTRARE TRA I CAMPIONI MONDIALI»
IN 5 ANNI RADDOPPIAMO
Le aziende sono l’oro nero del Paese Non lascerei mai la Borsa: va bene per il gruppo e per gli azionisti che dall’ipo hanno avuto un ritorno medio del 13,4%
I piani del fondatore per la multinazionale di Sant’ilario con 1,3 miliardi di ricavi. «L’obiettivo è entrare nella rosa dei grandi gruppi mondiali della componentistica meccanica per l’industria. Ma l’italia resta il cuore della produzione». Governance più larga: spazio ai manager. I figli azionisti
Da Sant’ilario d’enza, a pochi chilometri da Reggio Emilia, nel cuore della meccanica tech, Interpump sorveglia le potenziali prede sul mercato mondiale dell’m&a. Una sessantina di aziende che il gruppo ha messo nel radar per continuare quel processo di crescita che l’imprenditore Fulvio Montipò, 75 anni, ha disegnato per la sua azienda fondata 40 anni fa e poi costruita pezzo dopo pezzo fino a farne il numero uno delle pompe ad alta pressione con il 50 per cento del mercato mondiale e a diventare uno dei primi nella produzione di prese di forza, valvole, cilindri, tubi e riduttori nel campo dell’oleodinamica. Da quando si è quotata nel 1996 il gruppo, che ha chiuso il 2019 con 1,368 miliardi di ricavi, ha concluso oltre 40 acquisizioni, un’ottantina da quando è nato. E non intende rallentare il ritmo. Anche perché a Piazza Affari gli investitori promuovono la sua strategia: da fine giugno Interpump è infatti entrata nel paniere Ftsemib e da allora il titolo è passato da poco più di 26 euro fino a sfiorare i 32 euro la scorsa settimana, un trend che la settimana scorsa ha portato la capitalizzazione a 3,44 miliardi. «La nostra attività di M&A continua, costante e intensa».
Chiuderete entro l’anno?
« Ci auguriamo di poter raccogliere qualche risultato come da nostro trend, ma è sempre difficile stimarne i tempi. L’obiettivo è portare Interpump nella rosa dei grandi gruppi mondiali della componentistica meccanica per l’industria, mirando a una crescita forte in linea con quella degli ultimi anni. Ma le radici restano salde in Italia dove realizziamo il 46% delle nostre produzioni a fronte dell’84% dei nostri ricavi realizzati all’estero. Non c’è bisogno di cercare solo alreddituale l’estero, le tecnologie più avanzate si trovano anche in Italia, dove quest’anno abbiamo acquisito due aziende a Bologna, non grandi ma che contribuiscono ad arricchire la nostra offerta di prodotti e a rafforzare il nostro quadro sinergico».
Può bastare?
« Se in circa cinque anni supereremo i 2 miliardi di fatturato, credo che la nostra stella continuerà a brillare. L’obiettivo è ampliare i ricavi a una media di 150-200 milioni l’anno. Certo, le due grandi conglomerate, le americane Parker e Eaton rappresentano uno stimolo, sono presenti in una moltitudine di settori, hanno una redditività inferiore a quella di Interpump, ma sono e restano esempi di realtà solide. Malgrado le ammaccature subite dal lockdown sul fronte dei ricavi, il gruppo ha mantenuto una struttura che è la sua forza: nel secondo trimestre abbiamo realizzato un ebitda del 22%, nonostante il calo dei ricavi del 17,8%. E i mesi successivi segnano un miglioramento. Le imprese sono l’oro nero dell’italia ma non sempre il Paese ha la giusta attenzione per questo straordinario patrimonio di conoscenze che ha pochi eguali al mondo». Montipò ha invece sempre visto in Piazza Affari un volano di crescita, soprattutto ora che Interpump è nel paniere dei grandi. Ha pianificato il passaggio alla seconda generazione («quel pacchetto di azioni è un’eredità fatta di impegno e di valori sociali profondi») e aperto proprio quest’anno le porte del board al management. La cabina di regia è la Ipg holding che ha poco sotto il 25% di Interpump: due terzi del capitale è di Montipò, un terzo è di Tip, la piattaforma di investimento di Giovanni Tamburi che scommette sui cavalli di razza.
Alcuni scelgono di lasciare il listino per avviare una nuova fase di crescita...
«Non lascerei mai la Borsa perché è una garanzia di impegno, di trasparenza e di grande visibilità. Essere quotati nel Ftsemib attrae l’attenzione dei grandi investitori globali e ci aiuta ad attirare talenti. I nostri grandi competitor sono quotati e mi piace che l’azienda sia partecipata da azionisti di tutto il mondo. Poi dà una carta in più sul mercato dell’m&a: molti imprenditori di aziende che acquisiamo diventano anche nostri importanti soci e nuovi compagni di squadra per continuare a restare fra le eccellenze. Gli azionisti di Interpump hanno avuto un total shareholder return medio del 13,4% l’anno dall’ipo».
Il piano puntava a 1,4 miliardi di ricavi quest’anno.
«La pandemia ha in parte ridotto i target immaginati ma puntiamo a chiudere l’esercizio con una riduzione del fatturato attorno al 10%, facendo meglio della media del settore che registra diminuzioni tra il 15 e il 25%. Ma il dato solido e confortante è rappresentato dalla redditività che sarà eccellente anche nel 2020. Nei primi sei mesi abbiamo avuto un free cash flow di 98 milioni, ridotto il circolante e i debiti netti a fine dicembre scenderanno vicino a una volta il margine operativo dall’1,2 volte di metà anno».
Dove guarderete per la crescita futura?
«Nell’oleodinamica, perché qui c’è ancora molto spazio: in un mercato mondiale da 50 miliardi di euro, in questo settore noi fatturiamo circa un miliardo. Un nuovo filone di sviluppo è rappresentato dai componenti per la gestione dei fluidi nel food, che vale 9 miliardi all’anno, dove lavoriamo per player come Nestlé, Danone, Barilla, Samsung e Lactalis. Due anni fa abbiamo acquisito la spagnola Fluinox che ci ha portato in dote tecnologie e clienti, come la multinazionale messicana Bimbo. Ma lavoriamo anche per la farmaceutica e la cosmetica, tutti settori solidi e in crescita».
In questa fase difficile trova più imprenditori che vogliono vendere?
«È vero che la pandemia ha creato preoccupazione per il futuro. Gli imprenditori che avevano già deciso di vendere lo faranno. Molti altri aspetteranno tempi migliori perché vorrebbero cedere sulla base dei valori del 2019. Noi compriamo solo aziende in linea con i nostri parametri sinergici e di solidità. Ma sono fiducioso che nei prossimi mesi qualche altro target entrerà nella nostra galassia».
A chi lascerà la sua azienda? «I miei quattro figli avranno il ruolo di azionisti. Non dovranno imitare per forza la mia storia ma preservarne i valori. Un’azienda è un patrimonio di storia e valori e loro ne sono consapevoli. Come sanno anche che devono vivere possibilmente con impegno ed equilibrio. Sono un padre fortunato perché i miei figli condividono con me questo patrimonio. D’altronde, insieme, abbiamo progettato una struttura che sollecita alla unità e all’armonia. L’azienda verrà guidata dal management: sei ‘governatori’ che gestiscono altrettante divisioni del gruppo e che presto saliranno a sette. Sono figure giovani di talento e che abbiamo fatto crescere internamente perché la ‘biologia’ di Interpump è complessa. Quest’anno due di loro, Fabio Marasi e Victor Gottardi, sono entrati in consiglio. Ma tutti i governatori seguono con me tutte le attività e mi aiutano nell’m&a. Saranno loro a far crescere il gruppo quando deciderò di lasciare».
Sul mercato si dice che ci siano multinazionali che bussano alla sua porta.
«E’ normale che il gruppo solleciti interessi ma non prendo neanche in considerazione l’ipotesi di vendere. Abbiamo troppi traguardi di crescita da raggiungere».