«IL MADE IN ITALY FUNZIONA ANCHE NELL’HI-TECH ORA L’EUROPA DEVE CONTARE DI PIÙ»
«La pandemia ha mostrato quanto investire nelle nuove tecnologie sia l’unico modo per rendere solido il sistema Lavoreremo per una federazione di cloud Ue che renda indipendente il Vecchio Continente», dice l’ad Cecconi
La pandemia che ha investito il mondo negli ultimi mesi ha accelerato la «rivoluzione digitale»: smart working, lavoro agile, ecommerce hanno reso il cloud un asset irrinunciabile della nuova normalità. Ma si può già affermare che l’italia abbia intrapreso un irreversibile processo di digitalizzazione? La domanda va rivolta a Stefano Cecconi, amministratore delegato di Aruba, la prima società in Italia per i servizi di data center, web hosting, email, Pec (posta elettronica certificata) e registrazione domini. «Sicuramente ciò che è successo in questo periodo ha reso indispensabile accelerare un processo di digitalizzazione che in molti casi fortunatamente era già in atto, ma spesso portato avanti con molta cautela. Al tempo stesso ha indubbiamente contribuito a far avviare nuovi progetti, superando dubbi e reticenze che fino ad oggi non avevano permesso di considerare la digitalizzazione come una priorità. Sia per il settore privato che per la pubblica amministrazione, la pandemia ha infatti reso evidente in modo purtroppo traumatico che investire sulla digitalizzazione è uno dei pochi modi validi a nostra disposizione per rendere il sistema economico più solido».
E quale potrà essere il ruolo di Aruba all’interno di questo cambiamento?
«Continueremo, come abbiamo fatto fin dalla nascita della nostra azienda, a offrire servizi abilitanti per il digitale a condizioni accessibili per tutte le imprese italiane, dalle micro aziende alle corporate fino alla pubblica amministrazione. Un così grande processo di digitalizzazione generale renderà necessari grandi data center e grandi infrastrutture cloud per supportare la crescita ed è per questo che stiamo facendo ingenti investimenti quali il nuovo Data Center campus di Roma, l’espansione del campus tecnologico di Bergamo o il potenziamento del nostro cloud in modo da essere pronti a soddisfare le esigenze del prossimo futuro di cittadini, aziende e pubblica amministrazione».
Sin dall’inizio della vostra avventura avete fatto dell’agilità e della rapidità di scelta i vostri punti di forza. Finora non avete mai cercato investitori esterni. Sarà così anche nel processo di internazionalizzazione che avete intrapreso?
«Aruba è nata come azienda privata e familiare ed è mantenendo inalterata questa sua caratteristica che è riuscita a crescere fino ad oggi. Non aver fatto ricorso ad investitori esterni o a una quotazione in Borsa ha probabilmente reso la nostra crescita iniziale un po’ più lenta, ma al tempo stesso ci ha permesso di essere solidi, liberi da debiti e molto rapidi nelle decisioni. Il processo di internazionalizzazione di business quali il cloud, i certificati Ssl, il Registro dei domini cloud o anche gli investimenti in infrastrutture di altissimo livello che stiamo facendo in Italia vengono finanziati sfruttando la liquidità disponibile accumulata nel corso degli anni».
Avete annunciato un maggiore impegno in tema di sostenibilità e di energia rinnovabile. Come realizzerete questi progetti?
«Da anni tutte le nostre infrastrutture vengono alimentate da energia che acquistiamo dalla rete con provenienza certificata Go (Garanzia di origine) proveniente quindi al 100% da fonti rinnovabili, anche se questo ha rappresentato per noi un extra costo. L’efficienza energetica in molti dei nostri servizi rappresenta un fattore differenziante sul mercato e quindi ha da sempre rappresentato una questione di concorrenza e innovazione che si sposa in modo perfetto con la nostra filosofia aziendale in tema di sostenibilità».
E i nuovi progetti?
«Nelle ultime settimane abbiamo
Non ci sentiamo prede: non venderemo Ma nemmeno predatori, perché puntiamo su una crescita organica
ulteriormente accelerato sul tema e concluso un’importante acquisizione relativa a una società che possiede 4 impianti idroelettrici sparsi fra Lombardia, Veneto e Friuli. In questo modo siamo riusciti a portare la nostra produzione di energia rinnovabile oltre la soglia dei 10 Megawatt raggiungendo l’obiettivo di un negative carbon footprint. In altre parole, stiamo producendo più energia pulita di quanta ne consumiamo in totale riuscendo quindi non solo ad annullare gli effetti delle nostre attività energivore come i data center, ma anche contribuendo a ridurre l’impatto ambientale di attività di altri utilizzatori di energia. Per il futuro prevediamo di fare ulteriori investimenti nel settore della produzione con lo scopo di mantenere questo tipo di equilibrio virtuoso». La dematerializzazione e la digitalizzazione delle aziende su scala globale sarà la prossima sfida di Aruba? Guardate più al mercato italiano o a quello straniero? Verso Oriente o Occidente?
«Al momento siamo molto concentrati sulla forte domanda a livello nazionale, proprio perché questa situazione ha davvero dato una forte spinta ai vari settori e alle realtà nazionali. Stiamo giocando anche un ruolo chiave di supporto a grandi realtà internazionali che sia da Oriente sia da Occidente necessitano delle nostre infrastrutture per erogare i propri servizi in Europa e in particolare al mercato italiano. Per quanto riguarda il prossimo futuro, ci attendono sfide di livello europeo come il progetto GAIA-X, a cui aderiamo e contribuiamo, per la creazione di una federazione di operatori e servizi cloud europei che possano rendere i paesi e le imprese dell’unione molto più indipendenti dall’utilizzo di piattaforme extra-ue. Anche i nostri servizi Trust come PEC o Firma digitale vedranno un’evoluzione in chiave europea, un settore questo che vede il sistema Italia all’avanguardia in Europa. La pandemia ha sicuramente dimostrato l’esigenza di accelerare ulteriormente su questi progetti internazionali e noi siamo già all’opera».
Avete resistito per anni alle offerte di multinazionali e grandi player. In questa fase storica vi sentite più prede o predatori? Vi state guardando intorno per acquisizioni nel prossimo futuro? «Sinceramente direi che non ci sentiamo né l’uno né l’altro. Non ci sentiamo prede semplicemente perché non abbiamo intenzione di vendere. Inoltre, non essendo un’azienda quotata o con un azionariato frammentato, siamo immuni al rischio di qualsiasi operazione ostile nei nostri confronti. Non ci sentiamo neanche predatori perché la nostra strategia attuale punta sulla crescita organica e non su quella per linee esterne, ciò nonostante guardiamo con interesse ad eventuali occasioni di acquisizione di aziende, italiane o europee, potenzialmente utili per tecnologia o per settore, allo sviluppo del nostro business».