Commerzbank alla prova dei fondi
Il nuovo numero uno Manfred Knof dovrà placare la rivolta degli azionisti, Cerberus in testa. La vera questione è il futuro delle banche tedesche dopo lo scandalo Wirecard. E della finanza in Germania
Il luogo in cui passeggiano le istituzioni della finanza e delle banche tedesche è un purgatorio. Dal quale si rischia di scivolare all’inferno e dove nessuno ha la certezza di salire in paradiso. Innanzitutto, Commerzbank, che ha appena nominato il nuovo amministratore delegato: Manfred Knof al posto di Martin Zielke, che si era dimesso in luglio e lascerà la banca a fine anno.
La nomina arriva dopo che il vertice del secondo istituto di credito del Paese, per capitalizzazione, era finito sotto l’enorme pressione di Cerberus, il suo secondo azionista con il 5% delle azioni. La società americana di private equity aveva criticato il management e chiesto due posti nel consiglio di amministrazione per «prevenire la scomparsa di Commerzbank». Dopo un braccio di ferro, in luglio Zielke e il presidente Stefan Schmittmann hanno rassegnato le dimissioni. A inizio agosto, come nuovo presidente è stato scelto Hans-jörg Vetter, in quel momento amministratore delegato della banca pubblica Lbbw. Scelta che ha sollevato i «seri dubbi» di Cerberus che non ritiene Vettel «la persona giusta per questo posto» in quanto non avrebbe l’esperienza adatta.
Tensione non placata, insomma. Ora, la nomina di Knof, ex manager del gruppo assicurativo Allianz e più di recente super ristrutturatore a Deutsche Bank, altro istituto da anni nel purgatorio di chi una volta era grande, è caduto a terra come un angelo ferito e fatica a riprendere il volo.
Tagli, Borsa e fusione
La nomina di Knof potrebbe portare aria positiva in Commerzbank. Non è considerato un rivoluzionario o un grande innovatore. Ma al momento alla banca serve qualcuno che sistemi il perimetro delle attività, il che nel concreto significa ridurlo. Alla Deutsche Bank ha condotto la ristrutturazione, in senso di semplificazione, delle operazioni domestiche: in concreto, il taglio del 20% delle filiali in Germania a cominciare dall’anno prossimo. Qualcosa del genere ci si aspetta che faccia nella nuova posizione.
Commerzbank ha registrato numerose false partenze negli ultimi anni. L’ultima nel 2019, quando il tentativo di fonderla con Deutsche Bank, sponsorizzato da una parte del governo di
Berlino, è fallito ancora prima di entrare in una fase di serio studio. Le continue delusioni degli anni scorsi ha decisamente depresso il prezzo di Borsa delle azioni, oggi attorno a un quinto del valore di libro degli asset.
Primo compito di Knof, almeno per riportare pace tra gli azionisti, sarà quello di fare riprendere il prezzo del titolo grazie a una buona ristrutturazione prima di pensare al futuro. Ma una delle problematicità che rendono la situazione un purgatorio sta proprio qui, nel futuro. Dopo i tentativi di espansione globale e dopo la sfida lanciata anni fa alle investment bank anglosassoni, in particolare americane, sia Commerzbank sia Deutsche Bank hanno dovuto condurre una poderosa ritirata geografica e di settore. Al momento, nuove strategie — cosa fare — per loro non sono chiare, tra l’altro in un ambiente, quello delle banche tedesche, sovrappopolato e bisognoso di un forte consolidamento.
E qui la mancanza di prospettive si sposa con la reputazione della Germania per quel che riguarda la finanza: finita sotto grande stress. Il caso Wirecard è il maggiore scandalo mai registrato dal Paese dalla fine della Seconda guerra mondiale. Al di là della frode per 3,2 miliardi di euro ai creditori (più di cento milioni pare li abbia persi anche Commerzbank) e a parte l’evaporazione del valore delle azioni per 13
Il secondo istituto del Paese da anni colleziona false ripartenze. Ora deve ridurre le sue attività E immaginare il domani
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miliardi, la vicenda ha aperto un’enorme finestra sugli intrecci tra banche, mondo degli affari, controllori e partiti politici, intreccio sotto al quale Markus Braun e altri membri del vertice della società hanno potuto organizzare una truffa durata anni, di fatto con la protezione (per quanto inconsapevole) di chi doveva vigilare e invece ha protetto l’imbroglio.
La truffa — in sostanza attività gonfiate e operazioni inesistenti — aveva già sollevato sospetti dal 2015, quando alcuni dipendenti avevano segnalato problemi e quando un’inchiesta condotta con ostinazione dal giornalista del Financial Times Dan Mccrum aveva reso pubblici i dubbi sulla sostenibilità di Wirecard. I regolatori tedeschi, la Bafin in testa, per anni non hanno approfondito la situazione e anzi hanno contribuito a una campagna di diffamazione contro Mccrum. Fino allo scorso giugno quando tutto è crollato e sono scattate le manette per i top manager del gruppo. Una storia nella quale gli organismi di controllo hanno clamorosamente fallito e nel quale la politica è stata cieca, al punto che, durante un viaggio in Cina nel 2019, la stessa Angela Merkel fece opera di lobby con le autorità di Pechino per sostenere un’acquisizione di Wirecard nel Paese asiatico: tutto quando le evidenze sulla situazione della società erano in buona misura pubbliche.
Ci sono problemi seri nel mondo finanziario e bancario della Germania. La strada per il paradiso sarà lunga e molto, molto difficile da trovare.