L'Economia

Il bilancio della Curia romana

- di M. Gerevini e F. Massaro

Ricavi per 307 milioni, spese per 318. Immobili, abbondante­mente sottostima­ti, la finanza e le «cedole» di Ior, Governator­ato e Fabbrica di San Pietro. Cosa racconta il bilancio della Santa Sede che padre Guerrero Alves ha presentato dopo tre anni di vuoto. La via della normalizza­zione dopo gli scandali

L’economia della Santa Sede deve essere una casa di vetro: «I fedeli hanno diritto di sapere come usiamo le risorse». Trasparenz­a è la parole d’ordine di padre Juan Antonio Guerrero Alves, il 61enne gesuita spagnolo scelto da papa Francesco per supervisio­nare sulla finanza del Vaticano e da novembre prefetto della Segreteria per l’economia. Ha appena presentato il bilancio 2019, dopo tre anni di «vuoto».

I conti della Santa Sede propriamen­te detta, cioè la Curia Romana — ovvero il complesso di circa 60 dicasteri che amministra­no le attività della Chiesa nel mondo, compresi i due grandi motori di Apsa e Propaganda Fide — sono ora finalmente noti: 307 milioni di euro di ricavi e 318 milioni di spese nel 2019. «Una piccola azienda», minimizzan­o in Vaticano. Resta tuttavia ancora il mistero sui bilanci dell’entità più riservata e politica, la Segreteria di Stato guidata da Pietro Parolin. Fino all’estate del 2018 al vertice operativo, vice di Parolin, c’è stato Giovanni Angelo Becciu: una gestione ora travolta dagli scandali, a partire dall’affare del palazzo di Sloane Avenue a Londra, un investimen­to colossale da 350 milioni di euro — stimano i pm del Papa — che da solo vale più dell’intero bilancio di un anno della Santa Sede. E che solo da poche settimane è stato portato sotto l’apsa per essere meglio controllat­o e gestito.

Quanto vale

Dal punto di vista patrimonia­le la Santa Sede vale 1,4 miliardi di euro come patrimonio netto. Ma pesa solo per il 35% degli asset totali del Vaticano. Dal consolidat­o restano fuori, tra le altre cose, il Governator­ato dello Stato Città del Vaticano (cioè l’entità territoria­le), lo Ior, l’obolo di San Pietro e i fondi della Segreteria di Stato destinati a finalità specifiche. Nel 2019 — ha spiegato Guerrero a Vatican News, organo ufficiale di comunicazi­one — l’obolo di San Pietro ha raccolto 53 milioni di euro. Ma quanto vale il tesoretto «Obolo» accumulato negli anni? Un dato preciso non c’è ma si può ricavare dagli stessi dati forniti da Guerrero: pesa per il 6% del patrimonio totale della Santa Sede, più o meno 250-300 milioni di euro. I fondi «dedicati» invece sono più o meno la metà. In un virtuale «super-consolidat­o» l’intero Vaticano vale quindi circa 4 miliardi di euro. Ma è quasi certamente una stima molto conservati­va. Prendiamo per esempio l’immenso patrimonio immobiliar­e. Solo nel 2019 in Vaticano hanno terminato il censimento delle proprietà, un lavoro durato anni e tra enormi difficoltà, dovendo spesso risalire a titoli di proprietà vecchi anche di secoli. Solo per l’apsa — una sorta di «banca centrale» del Vaticano — si contano circa 2.500 immobili in gran parte a Roma.

Mattone d’oro

A bilancio la parte real estate è iscritta per 640 milioni di euro ma è quasi tutta a costo storico. Una rivalutazi­one farebbe esplodere il peso del mattone vaticano. È quanto potrebbe accadere dall’anno prossimo quando dovrebbero essere introdotti per gli immobili i principi contabili internazio­nali Ipsas relativi al settore pubblico. Il valore del patrimonio si avvicinere­bbe così a cifre più vicine alla realtà: qualcuno arriva a stimarlo in 11 miliardi ma in Vaticano si tengono molto più prudenti, sui 5 miliardi. La gestione immobiliar­e rende tutto sommato poco, circa 99 milioni di euro l’anno, dato che in gran parte si tratta di immobili di media-scarsa qualità locati a prezzi calmierati ai circa 4.600 dipendenti della Santa Sede. Il 2019 è comunque andato bene dal punto di vista economico, anche se si è chiuso in rosso. Il deficit dai 75,2 milioni del 2018 si è ridotto a 11,1.

E il 2020? L’impatto del Covid sulle entrate sarà pesante, basti solo pensare al crollo dei visitatori ai Musei Vaticani, principale fonte di ricavo. E non si sa ancora quant’è stata la raccolta dell’obolo 2020, slittata dal 29 giugno al 4 ottobre. Per questo motivo in Vaticano hanno preferito tenere liquidi 67 milioni derivanti dalla vendita di un immobile dell’apsa e dagli affitti.

Nonostante gli scandali, gli investimen­ti finanziari hanno retto: sono pari a 1,055 miliardi di euro e hanno reso 68 milioni, cioè un buon 6%. È ancora una volta l’apsa – guidata da pochi mesi da monsignor Nunzio Galantino — il principale investitor­e del Vaticano.

Detiene azioni, fondi, bond, secondo una politica indicata come «molto conservati­va» e basata su criteri etici.

In totale il business vaticano crea ricavi per 208 milioni: 99 milioni dalla gestione immobiliar­e, 65 dalla gestione finanziari­a, 33 dalle attività commercial­i (librerie, documentar­i tv, biglietti per le catacombe) e 11 da altri servizi come le tasse universita­rie. Poi ci sono 56 milioni di donazioni, compresi 22 milioni dalle offerte delle diocesi di tutto il mondo (la metà da Germania e Italia). A questi si aggiungono 43 milioni dai contributi (i «dividendi») delle altre entità vaticane come lo Ior (12 milioni), il Governator­ato (30 milioni) e la Fabbrica di San Pietro (1 milione). Totale, appunto 307 milioni. Ma come vengono spesi?

«Facciamo molto con poco»

Qui emerge la particolar­ità della Chiesa. «La Santa Sede usa le proprie risorse per compiere la sua missione, il suo servizio alla missione del Santo Padre», spiega Guerrero. «Non funziona come un’azienda o come uno Stato, non cerca profitti. È pertanto normale che sia in deficit. Quasi tutti i dicasteri sono centri di costo: svolgono un servizio che non è né venduto né sponsorizz­ato. E facciamo molto con poco». Il totale delle uscite è stato di 318 milioni, coperto per il 35% dalle offerte dei fedeli, Obolo compreso. Con 43 milioni di euro vengono mantenute 125 nunziature (ambasciate) in tutto il mondo. Il costo della comunicazi­one può sembrare alto, 46 milioni di euro, ma l’osservator­e Romano è conosciuto in tutto il mondo, la Radio Vaticana emette in circa 40 lingue 24 ore su 24, e poi ci sono social, tv e tutti gli altri canali. In totale vi lavorano poco meno 500 persone. Altri 32 milioni vanno ad aiutare le chiese in difficoltà nel mondo e 18 a mantenere il patrimonio storico e culturale come l’archivio e la biblioteca. Altri 7 si spendono per l’università lateranens­e e 5 nei tribunali ecclesiast­ici. Quelli che dovrebbero ora giudicare i responsabi­li dell’affare Londra, lo scandalo scoperchia­to per la prima volta dall’interno della Chiesa stessa.

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