Santoni: il lockdown? Occasione di crescita
I piani del calzaturificio che punta di più sul web La collaborazione col designer Andrea Renieri
Era stata una conversazione, un’idea appena accennata. È diventata un progetto durante il lockdown in un continuo scambio di telefonate, disegni, messaggi mail tra Andrea Renieri, designer che si è formato al Politecnico di Milano e negli uffici stile di marchi giovani ma di grande successo, e Giuseppe Santoni, amministratore delegato del calzaturificio fondato dal padre Andrea a Corridonia, nel cuore delle Marche. Apprezzato per la lussuosa linea maschile, Giuseppe Santoni — che si può dire sia cresciuto in fabbrica divertendosi, a soltanto sei anni, a scegliere le pelli — era da tempo alla ricerca di nuovi sviluppi per la collezione donna: «Volevo concentrarmi di più su questa difficile fascia della clientela, non limitandomi ai modelli da sera ma valorizzando quelli da giorno», spiega Santoni nel suo ufficio di via Montenapoleone, in attesa di trasferirsi nello spazio della Galleria Vittorio Emanuele, all’ottagono, che si è aggiudicato all’asta durante il periodo di quarantena.
L’incontro
A dargli la possibilità di esplorare questi nuovi territori è la collaborazione con Renieri, che ha interpretato il savoir faire artigianale dell’azienda in una capsule collection, Galleria 0.1, che si ispira al Rinascimento, esplorandone l’arte e l’architettura. «Lo dico a voce bassa, quasi con cautela. La nostra è un’azienda che cura la bellezza in ogni aspetto. Ci proviamo in tutti i modi, non sempre ci riusciamo, ma le intenzioni ci sono. Perché la qualità — spiega Santoni maneggiando con cura una scarpa — deve essere sviluppata continuamente, in tutto ciò che si fa». Un’attenzione che viene espressa anche nel rispetto dell’ambiente, essendo la sede di Corridonia totalmente ecocompatibile, con materiali riciclabili al 90% e le cui risorse naturali permettono di abbattere il consumo energetico. Mentre il riciclo della acque piovane consente di raccoglierne a sufficienza per alimentare scarichi e rubinetti.
Dotata di una centralina fotovoltaica, la struttura — che ospita 700 dipendenti — ha ricevuto il premio Sistema d’autore Metra 2011, nella categoria tecnologie innovative. In questo mondo di 30mila metri quadri viene realizzata l’intera produzione. «Siamo l’unica azienda italiana che produce tutto internamente, e a mano. E che non produce per altri marchi. Qui entrano le pelli ed escono le scarpe. Proprio per garantire continuità e competenza, abbiamo fondato l’accademia interna, che fornisce maestri calzolai. Gli unici che garantiscono il nostro approccio ragionato al lusso, che esprimiamo con lavorazioni esclusive create in casa. Come la velatura, che si ottiene applicando il colore a strati finché non si vede la sfumatura desiderata».
Era una tecnica applicata in pittura durante i secoli d’oro dell’arte: quel Rinascimento che ha trasformato in una dimensione attuale immagini senza tempo e il piacere della manualità. «Credo di avere assimilato queste sensazioni in fabbrica. Perché sembra strano ma io lì ho passato i miei pomeriggi al lavoro, non perché dovevo ma perché mi piaceva. A vent’anni con il diploma di ragioniere ho iniziato a lavorare e a 21 mio padre mi ha nominato amministratore delegato, tramandandomi anche una grande cultura tecnica. Quale è indispensabile nel prodotto d’eccellenza perché devi saperla dominare, capire che cosa si può, e non si può fare». Una riflessione che in questi mesi ha cambiato l’intera gestione dell’azienda.
Il tempo
Durante la sosta imposta dal Covid,
Produciamo tutto a mano e internamente. Qui entrano le pelli ed escono le scarpe. Per garantire la continuità abbiamo un’accademia
Si dice «aiutati che Dio ti aiuta». Noi ci siamo arrangiati. Siamo un’azienda stimata, ma in questo momento non ci sentiamo sostenuti
il tempo è stato prezioso per avviare una nuova formazione dei dipendenti, affinare tecniche e pensare a nuovi investimenti, impiegati maggiormente sul digitale che è cresciuto dell’80% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. «Stiamo sperimentando i cosiddetto phygital, quella mescolanza tra fisico e virtuale che è uno dei cambiamenti più importanti. Tutto sommato, questa è un’azienda di famiglia il cui fatturato — 90 milioni di euro l’anno — può ancora crescere. Come tutti abbiamo avuto una flessione, ma è naturale e vedremo una ripresa nel prossimo anno». Senza contare su aiuti politici o industriali? «Siamo un’azienda che si è arrangiata. Aiutati che Dio ti aiuta. Gli interventi sono i soliti, gli sgravi qualcosa, ma nulla di più. Nella Regione siamo un’azienda apprezzata, diamo lavoro, abbiamo rispetto e rispettiamo le istituzioni. Ma in questo momento non ci sentiamo sostenuti».