FONDI EUROPEI, TUTTO DA SCRIVERE PURE CHI COMANDA
Partiranno giovedì, 15 ottobre, le consultazioni informali con Bruxelles sulle linee-guida del Recovery Plan italiano, che nel frattempo sono state inviate a Camera e Senato. Lo sforzo dell’esecutivo Conte resta quello di ottenere quanto prima il via libera informale sulla bozza di piano, per agganciare al più presto quel 10% dei finanziamenti che è anticipabile, e che andrebbe a coprire spese già previste che altrimenti ricadrebbero sul nostro bilancio. Una corsa contro il tempo che si scontra con le tante resistenze di molti Paesi europei. Preoccupa, ad esempio, il recente blocco al Parlamento europeo della discussione sul bilancio, che inevitabilmente comporterà ritardi anche per il piano straordinario.
Il freno alla discussione sul bilancio a Bruxelles porterà ritardi. E Conte con i meccanismi paralleli evita discussioni politiche
L’uso delle risorse Ue per la ripartenza Chi sceglierà e controllerà i progetti? Si accavallano comitati (Ciae e Ctv) e commissioni, si combatte sui commissari. Intanto l’ue litiga
La «taskforcite»
Ma mentre il governo serra i ranghi, l’attenzione generale è rivolta altrove. Chi sceglierà i progetti specifici? E chi ne controllerà l’attuazione? Il premier Giuseppe Conte ha spiazzato ancora una volta tutti ipotizzando, qualche settimana fa, la nomina di commissari. C’è chi ci ha scherzato, parlando di una «taskforcite acuta», una tendenza del presidente a creare organismi paralleli allo scopo di superare le lentezze burocratiche, ma anche le discussioni politiche. Lo si è visto in molte circostanze, ad esempio quando si è trattato di decidere chi avrebbe gestito la fase preliminare di scrematura dei progetti del Piano, dopo l’abbuffata degli Stati Generali. Era la fine di luglio e, al termine del negoziato da cui l’italia è uscita con 209 miliardi da spendere, Conte accennò in una conferenza stampa a una task force che, con ogni probabilità, corrispondeva alla cabina di regia «Strategia Italia», da lui voluta nel precedente governo,allo scopo di gestire i grandi progetti del Paese, ma mai entrata realmente in funzione. Bastarono due giorni di pressing delle forze politiche della maggioranza, preoccupate della verticalizzazione tentata dal premier, per indurlo a più miti consigli. Come è noto, dopo una sterile discussione su un’improbabile bicamerale, la scelta è poi ricaduta sul Comitato interministeriale per gli affari europei (Ciae), la cui origine risale ai primi anni 2000, premier Giuliano Amato, come organo di raccordo con la Convenzione europea. L’organismo assunse la forma attuale nel 2012, sotto il governo Monti e successivamente fu il ministro Paolo Savona, nel governo giallo-verde, a tentarne la rivitalizzazione. La scelta di Conte ha fatto ugualmente discutere: il comitato è presieduto dal ministro per gli Affari europei, Enzo Amendola, considerato uomo di fiducia del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Siedono nel Ciae, oltre a Conte, il ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, e quello degli Esteri, Luigi Di Maio. E a chi, soprattutto nelle opposizioni, ha fatto notare l’eccessiva carica politica dell’organismo, perdipiù sbilanciata a favore del Pd (il ruolo di Amendola e Gualtieri è operativo), è stato opposto che l’istruttoria dei progetti sarebbe stata curata dal Comitato tecnico di valutazione (Ctv). Di che si tratta? Di una sorta di preconsiglio tecnico del Ciae che negli ultimi mesi ha visto un upgrade straordinario della sua funzione. Dal suo sito si evince che, dalla sua costituzione, nel dicembre 2015, ha svolto 35 riunioni, la prima delle quali, per dare un’idea, riguardava la disciplina dei brevetti, le procedure d’infrazione e la presa d’atto di summit sull’immigrazione africana.
Poca trasparenza
Dal 4 giugno scorso invece il comitato, presieduto da Amendola e composto da esponenti dei vari ministeri (i cui nomi non è stato possibile rintracciare nella sezione «amministrazione trasparente»), tra cui Ferdinando Ferrara, capo dipartimento Politiche di coesione, e Francesco Cottone, direttore generale della Coesione al ministero della Giustizia, si sono occupati della materia più incandescente: la valutazione dei 558 progetti iniziali, ridotti a poco più di un centinaio. «In tempi straordinari servono strumenti straordinari — dice il presidente commissione Finanze della Camera, Luigi Marattin (Italia Viva) —: nulla da obiettare, purché si raggiunga lo scopo di concentrare le risorse su quei 6-7 problemi che ci impediscono di crescere da 30 anni».
E si arriva così ai commissari all’attuazione evocati da Conte per la prima volta all’assemblea di Confindustria di fine settembre: «Una struttura dedicata con norme specifiche e soggetti attuatori dedicati», dotati di poteri speciali che «dovranno verificare e monitorare» il rispetto del cronoprogramma per ciascuno dei sei cluster del piano. Conte ha ripetuto che si tratterà di una «struttura ad hoc» anche all’assemblea di Confcooperative, il 6 ottobre. Ma due giorni prima Amendola in un’intervista ha precisato: «Non si tratta di commissari ma di procedure di spesa più veloci», ancora da studiare. Una cosa è certa: i commissari, se ci saranno, saranno tecnici e interverranno a valle per vincere le resistenze della burocrazia. Ma la scelta dei progetti sarà stata fatta a monte con il meccanismo già descritto del Ctv. E su questo non è previsto alcun ripensamento.