PIÙ CULTURA, MENO LOCALISMI L’ALTRO PIANO PER L’ITALIA
Per la ripartenza del Paese The European House Ambrosetti ha elaborato un progetto — il primo di un osservatorio privato — in otto punti. Dall’aumento degli stipendi al riequilibrio dei poteri fra Stato, Comuni e Regioni. Eccolo
Un piano per la ripartenza dell’italia. Un altro? Sì, ma questo è diverso, «perché si ragiona sul medio-lungo periodo», dice Valerio De Molli, amministratore delegato di The European House Ambrosetti, la società che l’ha elaborato. Non «pezze per tappare i buchi dell’emergenza», insomma, ma un progetto «organico e sistemico» che il governo «può iniziare ad attuare da subito», dice De Molli, per vedere il Paese almeno «da qui a 12 anni», perché l’italia arrivi pronta al 2030, scadenza dell’agenda Onu per lo sviluppo sostenibile.
Si va dalla riforma del sistema educativo, con l’università 5.0, alla «nuova governance del Paese» con limitazione dei diritti di veto territoriali, per esempio dei Comuni sulle grandi opere (vedi Tav e Tav): magari seguendo, suggerisce De Molli, «il modello francese del débat publique, un dibattito fra autorità, istituzioni ed esperti con un meccanismo che obblighi a decisioni rapide»; e poi dalle concentrazioni d’imprese alla «ridefinizione del rapporto fra aziende e lavoratori» a partire dai salari «più bassi di Francia e Germania, per esempio di medici, infermieri, insegnanti, operai, anche alcuni dirigenti: non a caso i nostri consumi sono fermi da dieci anni». Per superare il «divario inaccettabile» fra ricchezza e povertà. «Bisogna guardare il Paese in modo organico e sistemico», dice De Molli.
L’osservatorio
Il paper (164 pagine) si chiama «Rilanciare l’italia. Le 8 proposte del Club The European House Ambrosetti», è stato avviato prima del tavolo Colao, raccoglie le proposte di un comitato guida di 80 persone, nella comunità dei 350 aderenti, fra amministratori delegati e imprenditori, di Ambrosetti club (da Alessi a Blackrock, da Intesa Sanpaolo a Sisalpay e Basf, Novartis, Hitachi Italia). Più altri esperti. «È il primo osservatorio italiano privato, la ricerca sarà offerta al sistema politico perché ne porti avanti i contenuti — dice De Molli —. Stiamo anche lavorando a supporto di Palazzo Chigi per orientare l’agenda del prossimo G20 che avrà per la prima volta la presidenza italiana».
Ma quali sono questi otto punti per la ripartenza? L’economia del Corriere della Sera li racconterà in dettaglio, uno per volta, nelle prossime settimane. Eccoli:
1) interrompere il circolo vizioso indotto dall’analfabetismo funzionale (l’italia è tra i Paesi Ocse con la più alta incidenza di popolazione adulta senza istruzione secondaria superiore); 2) avere una visione strategica per coordinare gli sforzi;
3) trattare con l’europa da pari e con proposte per migliorarla; 4) riprogettare la pubblica amministrazione attorno a cittadini e imprese;
5) decidere e attuare una strategia industriale per il nuovo contesto; 6) rafforzare la struttura industriale del Paese;
7) investire nella ricerca scientifica e in ambiti chiave per il rilancio; 8) organizzarsi per eseguire bene quanto si decide.
I settori da cui partire? Turismo, meccanica, moda e design, mezzi di trasporto, agroalimentare, sanità, farmaceutica (con il biotech e le scienze della vita) e istruzione. Li distingue un «elevato moltiplicatore economico». Dietro gli otto punti ci sono tre principi-guida: primo, avere un orizzonte di medio-lungo termine; secondo, «decidere una strategia coerente con il Dna dell’italia, che permetta di rendere sinergiche le attività di tutti i campi»; terzo, «scegliere delle priorità per concentrare le energie su pochi programmi di azione ben definiti e ben governati».
Proposte velleitarie, da tempi biblici? «No, è sufficiente partire con la decisione di un governo, questo, che metta subito in campo le scelte necessarie», dice De Molli.
La geopolitica
Il tutto in uno scenario geopolitico in mutazione dove «è probabile lo spostamento verso una nuova Guerra fredda, in cui tuttavia la leadership delle due superpotenze (Usa e Cina) risulta indebolita»: c’è spazio per l’europa, in particolare attraverso la Belt and Road initiative, il progetto infrastrutturale con l’asia che lo studio ritiene uno dei punti centrali (600 progetti solo nella parte marittima, su 29 Paesi che coprono il 9% dell’export italiano). Sempre che la Ue non si faccia marginalizzare sul fronte digitale.
Gli otto punti individuati derivano da dieci problemi strutturali che l’italia aveva già prima del Covid: analfabetismo funzionale, bassa digitalizzazione, bassa produttività, pochi laureati in materie tecnico-scientifiche, divario di ricchezza, consumi stagnanti, sottodimensionamento delle imprese, delocalizzazione, frammentazione del sistema di governance nazionale (enti, regioni, comuni). E la lentezza dell’apparato pubblico, la burocrazia. Su questi punti deboli la pandemia ha accelerato i processi. Sono aumentati smart working, studio a distanza e ecommerce; si sono impoverite le famiglie; si è ridefinito il rapporto centro-periferia; si è snellita la pubblica amministrazione. Non significa però che l’italia sia in ginocchio. «Siamo un Paese straordinario,con risorse, intraprendenza, reattività — dice De Molli — . Un esempio è il ponte di Genova,ma anche le mascherine. In sei settimane siamo passati da zero a due milioni di pezzi prodotti al giorno». La ripartenza è possibile.
Il ceo Valerio De Molli: «Proposte velleitarie? No, è sufficiente partire subito con la decisione di un governo, questo»