CINA E «TIGRI» SONO AVANTI MA IL FUTURO PASSA DA TOKYO
C’è sempre un primo, un apripista. Oggi, nel mondo, si torna a parlare di Giappone un po’ perché a molti sembra il precursore dei malanni delle economie occidentali — a bassa crescita e sull’orlo della deflazione —, un po’ perché è finta l’era, otto anni, di Shinzo Abe ed è iniziata quella di Yoshihide Suga. Ma per cogliere appieno il ruolo passato, presente e futuro del Paese occorre considerare che è stato l’iniziatore dell’emergere dell’asia moderna, in economia e non solo. Se questo è e sarà il Secolo asiatico, quella nipponica è l’economia che l’ha aperto. Che ha posto le basi per la nascita del terzo polo di crescita, dopo quelli americano ed europeo.
Il suo balzo, dalla sconfitta nel secondo conflitto mondiale a terza potenza economica di oggi, racconta molto, anche qualcosa d’interessante della Cina. Come sappiamo noi italiani, pure per il Giappone il boom economico che seguì la fine della guerra mondiale si è fondato sull’apertura di economie in precedenza chiuse in regimi autoritari, con tendenze imperialiste, in certa misura autarchici e caratterizzati da economie «arretrate», dal punto di vista tecnologico ma anche da quelli istituzionale e sociale. La chiave del miracolo economico giapponese è stata proprio nell’apertura ai modelli di organizzazione dell’occidente più avanzato. Copiare: ma non solo transistor.
L’eredità
Per molti versi quel boom, che in Giappone è durato fino alla bolla dei primi Anni Novanta, è stato un classico «recupero» rispetto al livello dei Paesi più avanzati. Alla fine del 1945, il Pil pro capite nipponico era crollato al 47% di quanto era nel 1940, all’inizio delle ostilità, ed equivaleva all’11% di quello degli Stati Uniti. Nel 1956, il Pil pro capite era già tornato al livello prebellico, nel 1973 al 69% di quello americano e nel 1991 all’85% di quest’ultimo.
Da allora, la stagnazione seguita allo scoppio della bolla degli Anni Ottanta ha fermato la tumultuosa crescita. Ma resta il fatto che il miracolo è stato un fenomeno di catch-up, di recupero da Paese arretrato a Paese avanzato, in tecnologia come nell’apertura (relativa ma maggiore che in passato) dell’economia. Più che la pianificazione del ministero del Commercio e dell’industria, il Miti, il successo nipponico sta probabilmente in questa combinazione di spazio da recuperare e di modernizzazione economica e istituzionale.
È un cartamodello di sviluppo che in parte vale per le ondate successive di crescita dei Paesi asiatici. Prima le quattro famose tigri — Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong — hanno ulteriormente aperto le prospettive di crescita dell’asia. Poi, la terza ondata continentale, la più massiccia e di grande portata, quella della Cina che ha aperto la propria economia a partire dagli Anni Ottanta e poi ha condotto uno sviluppo poderoso. Oggi, la quarta ondata riguarda Vietnam, Thailandia, Indonesia e gli altri Paesi dell’asean.
Tutti casi spinti dall’«effetto recupero» e dall’ingresso come economie aperte nel mercato libero internazionale.
Sicuramente, i vertici di Pechino hanno abilità tecniche e politiche notevoli nella gestione del loro Paese, anche strumenti sbrigativi: ma la base del boom è stato l’ingresso di un’economia arretrata, con grandi potenzialità, nel mercato globale e l’apertura (almeno parziale) dell’economia domestica. Lo stesso vale per le quattro tigri e per le economie emergenti di oggi (il Vietnam e la Tailandia sorpasseranno entro fine decennio la Cina nella produzione di notebook Pc, secondo un recente studio taiwanese).
Il Giappone che eredita il nuovo primo ministro Suga è dunque, nel Sudest
Asiatico, un modello perché ha fatto da apripista all’emergere del continente. E, nonostante gli scorsi trent’anni di stagnazione della sua economia, in Asia rimane una forza economica e un riferimento più ampio. Il primo viaggio all’estero di Suga non sarà il tradizionale volo a Washington: andrà prima in Vietnam e in Indonesia e segue le orme della «diplomazia medica» di Tokyo, iniziata in estate, rivolta ai Paesi del bacino Indopacifico, con l’obiettivo di bilanciare il potere economico e politico cinese nell’area.
In altri termini, Tokyo ha aperto l’epoca dell’asia moderna e le ha dato il segno: ora, dopo la guida di Abe e la staffetta con Suga, torna a essere un punto di riferimento per quei Paesi della regione, la maggioranza, che fanno affari con la Cina ma da Pechino vogliono mantenere una certa distanza. Forse, si può essere apripista per sempre.