L'Economia

GOVERNANCE & DONNE QUOTE PER TUTTE LE GRANDI

I rinnovi delle maggiori società quotate e non, rivelano che se non ci sono obblighi prevalgono i board maschili. La proposta di estendere la legge

- Di Maria Silvia Sacchi

Tante volte ci si è domandati in passato, e ci si domanda oggi, se davvero serva una legge per garantire parità di genere negli organi delle società, in primo luogo nel consiglio di amministra­zione. Le obiezioni sono molte, soprattutt­o ora che, si dice, «l’europa è in mano alle donne», con Ursula von der Leyen alla presidente della commission­e europea, Christine Lagarde presidente della Banca centrale europea e la sempre determinan­te Angela Merkel.

Se loro sono arrivate al vertice, perché riservare posti alle donne? Per quanto riguarda l’italia questo bisogno continua a esserci. La cartina di tornasole di questa necessità arriva dal confronto tra le società quotate (per le quali esistono quote, riservate al genere meno rappresent­ato, introdotte dalla legge Golfo-mosca del 2011) e non quotate (per le quali questo obbligo non c’è). Nello specifico si tratta di società a proprietà familiare. L’analisi è stata realizzata dall’osservator­io Aub dell’università Bocconi in vista della terza edizione di Family Business Festival (articolo a fianco). Sono state prese le prime 10 aziende (per dimensione) che nella primavera di quest’anno hanno rinnovato il proprio consiglio di amministra­zione. Le prime 10 quotate e le prime 10 non quotate, i cui risultati sono nella tabella pubblicata in pagina.

Elcin Barker Ergun, ceo del gruppo della famiglia Aleotti

Numeri

Va ricordato che la legge Golfo-mosca prevedeva una quota dell’organo sociale pari a un terzo e per tre mandati. Dal 1° gennaio la quota è salita al 40% per ulteriori sei mandati. Le società soggette alla legge e che hanno rinnovato in primavera Cda e/o collegio sindacale (per quest’ultimo organo il calcolo si fa per difetto, secondo l’indicazion­e della Consob) sono, dunque, dovute passare a questo tetto più alto. «Se si esaminano le società di maggiore dimensione andate a rinnovo nel 2020 la legge è stata rispettata — dicono Guido Corbetta e Fabio Quarato, docenti Bocconi autori della ricerca —. Al contrario, sempre guardando i dati relativi alle prime 10 aziende non quotate più grandi, non si può dire altrettant­o». Anzi, «i dati mostrano come in diversi casi le donne siano completame­nte assenti dai consigli di amministra­zione, e solo in un caso l’incidenza arriva alla quota di un terzo». Ben 5 società su 10 hanno, infatti, Cda completame­nte maschili e la società che arriva al terzo del consiglio è Menarini, che si segnala anche per avere una amministra­trice delegata esterna alla famiglia, Elcin Barker Ergun.

«Per le aziende non quotate non esiste obbligo normativo (e nessuna best practice del Codice di corporate governance) che preveda regole a favore del genere meno rappresent­ato. Pertanto — proseguono Corbetta e Quarato — queste imprese rappresent­ano probabilme­nte il contesto ideale per misurare la rappresent­anza “reale” del genere femminile, e per “misurare” il progresso culturale in atto nel Paese. La lettura di questi dati sembra dunque portare alla conclusion­e che, nonostante il clamore mediatico e il dibattito sulla necessità/opportunit­à di prorogare gli effetti della legge Golfo-mosca (per ulteriori sei mandati), ci sia effettivam­ente ancora bisogno di una imposizion­e normativa per assicurare la rappresent­anza di genere».

Infatti, laddove non c’è un obbligo (tra le società non quotate), la presenza delle donne continua a rimanere molto bassa, «al di sotto probabilme­nte di quanto ci si aspettereb­be. Tralascian­do i potenziali effetti positivi sulle performanc­e, peraltro già dimostrati da studi in materia anche tra le aziende non quotate, come il »Gender Interactio­n within the Family Firm» , oltre agli stessi risultati dell’osservator­io Aub, i dati sembrano indicare che il Paese non sia ancora pronto a fare a meno di una imposizion­e normativa sul tema della parità di genere». Quindi, che fare? Gli studiosi arrivano a una conclusion­e che farà discutere. «Ci si dovrebbe forse chiedere se non sia necessaria una disposizio­ne normativa anche per le società non quotate, per lo meno in quelle di una certa dimensione. Potrebbe essere la strada per compiere un percorso di crescita culturale, al pari di quanto avvenuto negli ultimi 9 anni, anche nelle altre grandi aziende del Paese. Un percorso di crescita di cui il Paese avrebbe certamente bisogno».

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Menarini
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Brembo Nicoletta Giadrossi, consiglier­a indipenden­te

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