IL PETROLIO VERSO LA PENSIONE LE MAJOR INVESTONO NEL VENTO
L’annuncio di Bp, che ha investito un miliardo nell’eolico di Stato norvegese e vuole dimezzare la produzione fossile, ha sconvolto un mondo ancora abituato a orientarsi su nuovi giacimenti. Nella stessa direzione si muovono anche Shell e Saipem. Il nodo delle infrastrutture per la condivisione digitale nel nostro Paese
Nulla sarà più come prima. In base all’energy Outlook di Bp, uscito con sei mesi di ritardo proprio per includere gli effetti della pandemia sullo scenario energetico mondiale, i consumi globali di petrolio hanno già raggiunto il loro picco e non riprenderanno a salire dopo la fine di questa crisi. Anzi, sono destinati a calare e potrebbero dimezzarsi da qui al 2040, tornando ai livelli di 50 anni fa, secondo l’analisi di Carbon Brief sui dati forniti da Bp. È probabile che anche il braccio energetico dell’ocse, l’international Energy Agency, raggiunga conclusioni analoghe nell’outlook in uscita domani. Con un crollo della domanda di energia primaria del 6%, sei volte più ampio del calo imputato alla crisi del 2008, il 2020 potrebbe così passare alla storia come l’anno della svolta, anche se nel 2021 è atteso un rimbalzo importante rispetto alla caduta di quest’anno, dovuta ai blocchi della produzione un po’ in tutto il mondo.
Il rimbalzo
Il rimbalzo, però, potrebbe non essere così marcato da farci tornare ai 100 milioni di barili di petrolio al giorno consumati nel 2019. La parabola dell’oro nero, che sembrava destinato a crescere ancora per decenni e invece ora potrebbe avere già scollinato, coincide specularmente con quella delle fonti rinnovabili, che negli ultimi anni hanno preso l’abbrivio e nei prossimi potrebbero decollare, sull’onda dell’elettrificazione di tutti i settori, compresi i trasporti e la climatizzazione domestica, ultimi bastioni delle fonti fossili. Si vede dal flusso crescente degli investimenti mondiali importante quasi quanto l’estrazione di idrocarburi, e su cui ha recentemente siglato un accordo in Adriatico. Perfino l’unione petrolifera italiana ha appena cambiato nome in Unem e sfoggia lo slogan «per decarbonizzare davvero!». Goldman Sachs stima che lo sforzo raggiungerà i 16 mila miliardi di dollari di investimenti complessivi in questo decennio, portando a un salto di qualità infrastrutturale analogo a quello che ha sospinto l’ascesa dei Brics negli ultimi vent’anni.
La gara
Tutto sta a vedere chi riuscirà a conquistare posizioni di leadership in questa gara a ridurre i consumi di fonti fossili, che nel 2019 hanno prodotto ancora i quattro quinti dell’energia utilizzata per alimentare l’economia mondiale. L’impegno della Cina ad azzerare le sue emissioni nette entro il 2060, il Green New Deal dell’ue e il programma di energia pulita da 2 mila miliardi di dollari proposto dal candidato democratico Joe Biden porteranno, se vincesse, le tre maggiori economie a remare nella stessa direzione.
Per partecipare a questa corsa saranno essenziali gli investimenti nell’innovazione energetica. «Le grandi direttrici di transizione verso la mobilità elettrica, la generazione distribuita da rinnovabili, la digitalizzazione dell’energia, le tecnologie di accumulo e di sfruttamento dell’idrogeno sono tutti segni di un passaggio verso nuove modalità d’interpretare l’energia», spiega Davide Chiaroni, dell’energy & Strategy Group del Politecnico di Milano.
Dall’energy Innovation Report del Politecnico emerge che