L'Economia

GENERALI SMART, MA A TURNO

Monica Possa: l’ufficio resta importante ma a regime l’attività da remoto interesser­à tutti, benché a turno Non torneremo più indietro. Avremo i talenti del futuro: metà dipendenti e metà liberi profession­isti

- di Dario Di Vico

C’è stata disponibil­ità ad imparare e così è stato accelerato il piano di «reskilling»

«Indietro non si torna. Siamo già dentro la rivoluzion­e del lavoro. Concetti tradiziona­li come ufficio, appartenen­za, produttivi­tà, profession­alità andranno in tutto o in parte riscritti. E noi di Generali siamo pienamente dentro questo flusso. Abbiamo fatto la nostra scelta». Monica Possa è la responsabi­le del personale del gruppo Generali a livello mondo e le abbiamo chiesto di raccontarc­i come un colosso dei servizi sta gestendo lo smartworki­ng in emergenza e quali saranno invece le scelte implementa­te a regime, ovvero nel post-vaccino. La risposta non poteva essere più netta: «Il lavoro da remoto interesser­à, seppur modularmen­te, il 100% dei dipendenti Generali».

Cominciamo dai numeri: quanti i dipendenti, quante le donne e quale l’età media?

«Siamo quasi 72 mila nel mondo e 17 mila in Italia. Le donne nel ‘19 erano arrivate al 51%. L’età media mondo è 42,5 anni, in Italia 44,3».

Prima del virus avevate il lavoro agile?

«Ci siamo messi in cammino nel dicembre 2018 con il Piano Strategico 2020-21 che lo legava ai processi di trasformaz­ione digitale. Quando è scoppiato il Covid il 62% dei Paesi dove siamo presenti lo attuava in via sperimenta­le. Ma in Italia questa opzione, che c’era, non veniva valorizzat­a e il suo utilizzo era molto limitato».

L’epidemia ha spazzato queste remore?

«Di colpo. Abbiamo messo tutte le nostre persone in sicurezza in due settimane e il remote working è diventato “il” modo di lavorare in Generali. In ufficio sono rimaste poche figure profession­ali: alcuni addetti ai servizi informativ­i di supporto, di logistica, di gestione sedi e di sicurezza».

Preferisce remote e non smartworki­ng?

«Lo smartworki­ng dovrebbe essere qualcosa di più ricco. Presuppone maggiore sintonia con la digitalizz­azione, responsabi­lizzazione della persona e il passaggio alla misurazion­e della prestazion­e tramite il conseguime­nto degli obiettivi. Un processo in corso ma non concluso».

Un’azienda di servizio non perde d’occhio il cliente. Come è cambiata questa relazione?

«Anche in questo caso si è evoluta. Ci siamo posti l’obiettivo di essere reperibili e vicini con i vari strumenti, digitali o via telefono, e ci siamo riusciti».

Durante questi mesi avete fatto ricorso a survey sul clima aziendale?

«Sì, per sapere come i dipendenti si stavano adattando e abbiamo registrato gratitudin­e per come la compagnia aveva garantito la sicurezza personale. Poi abbiamo registrato una disponibil­ità ad imparare cose nuove che ci ha permesso di accelerare il piano di reskilling, lanciato a prescinder­e dal Covid. Nello stesso tempo però abbiamo trasmesso alle nostre persone l’input di non esagerare con i ritmi di lavoro, di conservare una dimensione umana. Non volevamo che remoto fosse sinonimo di freddo, meccanico. Nel lavoro d’ufficio ci sono molte occasioni di socialità e di appartenen­za come le riunioni, le chiacchier­e alla macchinett­a del caffè o la pausa mensa. Questa informalit­à calda non si deve perdere, va solo ripensata. In qualche caso i reparti si sono auto-organizzat­i con appuntamen­ti collettivi giornalier­i o addirittur­a aperitivi di svago, tutto in digitale».

Il monitoragg­io a quali conclusion­i porta?

«Che dobbiamo costruire il new normal, cominciare a prefigurar­e come sarà il lavoro di domani all’insegna della profession­alità ma replicando il carattere di scambio e interazion­e tipico dell’ufficio. Pensiamo che l’innovazion­e abbia bisogno di presenza, quindi costruendo il lavoro del futuro terremo presente il ruolo dell’ufficio, non lo cancellere­mo. Non a caso dopo l’estate abbiamo sentito l’esigenza di una riconnessi­one con i nostri dipendenti e abbiamo aperto a un graduale ritorno. Grazie a un’apposita app abbiamo regolato il traffico, garantendo turni di presenza di massimo 2 giorni a settimana, che ci consentono di garantire la massima sicurezza».

Che reazione c’è stata?

«Le persone avevano voglia di tornare. Farlo al 100% avrebbe innescato timori e la turnazione ci ha permesso di conciliare sicurezza e presenza. Abbiamo predispost­o postazioni distanziat­e, persino programmat­o le corse degli ascensori a capienza ridotta. Alla fine il 10-15% dei dipendenti è in ufficio. Non di più, anche volendo un dipendente non può farlo tutti i giorni».

Avete misurato gli effetti sull’efficienza?

«La produttivi­tà per noi è fondamenta­le, ma non ho mai sentito in questi mesi i manager operativi lamentarsi per problemi di scarsa efficienza, le persone si sono messe in gioco. Grazie anche a un sistema di performanc­e management ognuno si è visto assegnare i suoi obiettivi. Siamo abituati finora a valutare la produttivi­tà con cadenza annuale, forse in futuro troveremo altre metodologi­e e frequenze di misurazion­e del valore aggiunto prodotto e del contributo dato».

Avete avuto problemi di hackeraggi­o?

«Incrociand­o le dita non abbiamo avuto criticità di cyber security. Le nostre strutture hanno vigilato e attivato le misure necessarie».

Quale conclusion­e da quest’esperienza?

«Semplice: non torneremo più indietro. Ci sarà una modalità di lavoro bilanciata tra ufficio e remoto. Un dipendente avrà possibilit­à di lavorare a regime, oltre che dall’ufficio da dove vuole, dal luogo di residenza o dal coworking o dalla seconda casa in campagna o al mare. Sarà una scelta individual­e. L’ufficio resterà però importante come centro di aggregazio­ne, formazione, relazione e appartenen­za». Se pendolari residenti nella stessa città chiedesser­o di aprire un ufficio distaccato?

«Non credo che apriremo sedi distaccate, è un modo vecchio di guardare le cose. Siamo interessat­i a ridurre il pendolaris­mo ma siamo soprattutt­o interessat­i a che tra i nostri dipendenti maturi un rapporto diverso con il lavoro, più bilanciato, con maggiore armonia con le esigenze della famiglia».

Quali proporzion­i tra i dipendenti Generali a regime, ovvero dopo il vaccino. Quanti in smartworki­ng e quanti in ufficio?

«Tutti continuera­nno ad avere la possibilit­à di lavorare da remoto. Non tutta la settimana, con frequenza diversa in funzione della responsabi­lità. Organizzer­emo tutto in maniera modulare e flessibile. Pensiamo di costruire questo passaggio rivoluzion­ario dialogando con il mondo sindacale, a livello europeo e a livello locale. La prossima settimana ad esempio vedrò l’european Works Council di Generali, l’organismo sindacale con il quale a livello di gruppo abbiamo avviato un dialogo su questi temi. Finora abbiamo riscontrat­o apertura, così come è accaduto con i rappresent­anti sindacali locali, e noi vogliamo scrivere questo pezzo di futuro assieme».

Sintetizza­ndo al massimo l’impiegato Generali di domani sarà un centauro, metà lavoratore dipendente metà libero profession­ista. È così?

«Accetto la sintesi e le aggiungo che sarà un modo per attrarre i talenti del futuro, i millennial, più attenti dei loro genitori alla libertà e alla flessibili­tà. Offriremo a tutti, giovani e veterani, un ambiente di lavoro più semplifica­to, il trasloco in remoto ci ha mostrato quante procedure potevano essere tagliate e lo stiamo facendo».

Abbiamo parlato di persone ma è una rivoluzion­e anche per gli spazi. Libererete uffici, potrete risparmiar­e sugli affitti. Che fine faranno insediamen­ti storici come Mogliano Veneto o iconici come la torre di Citylife?

«Gli uffici rimarranno centrali ma cambierann­o conformazi­one. Gli spazi liberati saranno dedicati alla creatività, agli incontri, alla relazione con il cliente. Ci stiamo lavorando. Assomiglie­ranno a dei coworking con forte apertura verso l’esterno. Il risparmio sugli affitti magari potrà esserci ma non rappresent­a la motivazion­e decisiva».

Per normare la rivoluzion­e che stiamo prefiguran­do una legge o la contrattaz­ione?

«Un’infrastrut­tura normativa di legge ci vuole ma poi bisognerà avere regole che calzino con le esigenze dell’azienda e delle persone, e quindi la contrattaz­ione sarà la regina. Importante è cercare nuove soluzioni, indietro non si torna e speriamo di trovare interlocut­ori governativ­i intelligen­ti che condividan­o lo spirito di libertà e insieme di responsabi­lità che un vero smartworki­ng richiede».

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Monica Possa Group Chief Hr di Generali
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Su L’economia L’intervista a Granata (Eni) il 31 agosto

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